Wilma morì per un delitto a Torvarianica Si accusò Piccioni per colpire suo padre di Guido Guidi

Wilma morì per un delitto a Torvarianica Si accusò Piccioni per colpire suo padre Resa pubblica da ieri la motivazione della sentenza sul caso Montesi Wilma morì per un delitto a Torvarianica Si accusò Piccioni per colpire suo padre Il testo sottoscritto dai tre giudici di Venezia comprende 130 pagine - Non esc, .00 che la Moritesi sia stata drogata - Giudizio molto severo per Anna Maria Caglio definita "amante prezzolata,, - ''L'operazione zio Giuseppe,, aveva un solido fondamento - Mai avvenuto il colloquio notturno al Viminale - Poche pagine dedicate all'ex questore Polito e ad Ugo Montagna ritenuti completamente estranei alla vicenda (Val nostro inviato speciale) Venezia, 7 ottobre. Mancavano esattamente 15 minuti alle sei del pomeriggio quando „è stato scritto ufficialmente l'ultimo capitolo della storia giudiziaria che ha avuto come protagonisti Piero Piccioni, Ugo Montagna e Saverio Polito. Tre minuti prima dell'orario stabilito in precedenza dal presidente dott. Mario Tiberl per il deposito della sentenza, il cancelliere capo del tribunale veneziano dott. Lido Lionti con fare solenne ha preso il fascicolo di 130 pagine dattiloscritte che giaceva sul suo tavolo sin dal mattino ed è andato a depositarlo in cancelleria. Prima preoccupazione dei magistrati (il testo della sentenza è stato redatto dal dott. Tiberi, ma ad esso hanno apportato alcune, seppur lievi, modifiche gli ultrl due giudici, dott. Villarara e dott. Alberghetti) è stata quella di affrontare un problema di carattere generale rispetto alla posizione processuale di Piero Piccioni: come, dove, quando cioè morì Wilma Montesi. La risposta è stata la stessa, all'incirca, che già venne data al quesito dal Pubblico Ministero dott. Palminteri nella sua requisitoria nel corso del dibattimento: ; £ 1) 'Wilma Montesi è morta in conseguenza di un evento delittuoso; 2) annegò lentamente non a Ostia ma a Tot Vaianica; 3) quando cadde in acqua era già in stato- d'incoscicma ed era esausta al punto da non poter avere alcuno reazione; 4) non è possibile stabilire con esattezza se l'incidente si sia verificato il giorno 9 o il giorno 10 aprile 1953. Per giungere all'affermazione di una responsabilità il tribunale è andato avanti per esclusione. Ha cioè preso in esame prima l'ipotesi di una eventuale disgrazia di cui sarebbe stata vittima Wilma Montesi ed ha concluso che « nessun elemento consente di ritenere che la ragazza nel pomeriggio del 9 aprile si sia recata ad Ostia per medicare i piedi nell'acqua del mare, allo scopò di curare l'eczema cutaneo al tallone- », e che « nulla fa supporre che ti cadavere della ragazza trovato a Tor Vaianica provenisse da Ostia-». Poi i giudici hanno affrontato la seconda ipotesi, quella di un suicidio. E tono arrivati alle medesime conclusioni che per la prima. « Nessuna prova H è raccolta — hanno spiegato — su un eventuale perturbamento morale della Montesi o comunque su un movente che possa averla spinta a gesti insani Era giovarne, bella, circondata dall'affetto dei suoi ■e del fidanzato, e i rapporti con quest'ultimo sono stati improntati a un affetto.pacato e sereno. Contro l'ipotesi del suidicio resta infine la inveri simigliamo della scelta di un luogo cosi distante da Roma come Tor Vaianica, il fatto che la ragazza il giorno deUa sua scomparsa fosse allegra e serena ed era uscita recando con sé le chiavi di casa. Circostanze queste in netto contrasto con la volontà di sopprimersi ». Escluso, dunque, il suicidio, esclusa la disgrazia è rimasta l'ipotesi del delitto, quella cioè che, a dire dei giudici, più si avvicina senz'altro alla realtà. E per quali motivi? Uno fra i tanti: la mancanza sul cadavere di alcuni indumenti come il reggicalze che la ragazza non può essersi tolto se non quando era in vita. Ma come Wilma è morta? Alla domanda i tre magistrati hanno preferito non rispondere in maniera diretta, ma si sono limitati soltanto a osservare che la ragazza non fu gettata con forza in acqua, ma che quando questo evento si verificò Wilma Montesi era già in stato di incoscienza provocato da qualcosa che non era un mezzo contun dente. E allora che fu a ori ginare questo stato di stordimento? Molto probabilmente le droghe. Stabilita la fondatezza dell'ipotesi di un delitto (il tribunale ha escluso però che Wilma Montesi possa aver avuto una « doppia vita >) i giudici hanno affrontato il secondo ostacolo incontrato 3ul loro cammino: chi è da ritenere responsabile della morte di Wilma Montesi? I magistrati istruttori sostennero a suo tempo che costui fosse Piccioni. Sennonché i giudici del tribunale veneziano hanno potuto trarre la convinzione che nessun elemento abbia provato come il musicista pos sa avere avuto un qualsiasi contatto con la ragazza, né che Piccioni abbia attraversato la tenuta di Capocotta nel pomeriggio del 9 aprile 1953 su una macchina a oordo del la quale vi era Wilma Montesì, come qualcuno ha sostenuto. « La realtà — hanno spiegato i magistrati — è che quel pomeriggio nella tenuta passò una sola macchina: quella con a bordo il principe d'Assia e la signorina Cesarini ». Ma — secondo la sentenza Istruttoria del dott. Sepe — ad accusare Piccioni vi sono le voci sorte sul suo conto. Le voci — hanno replicato 1 giudici di Venezia — nei confronti di Piccioni sono sorte dopo altre. Si era accennato già in preceden za a un < biondino >, a Calvi di 3ergolo, a Tuplni, a Rebecchini. Ciò induce alla considerazione che si tendeva senza al cun fondamento a colpire una qusecuposiPguchtre trvozidecuqumnlacqctoncoRta—tepsosodcmrlepcolenaAsehsctrdsecutct<di dgMcasmaApAplamdcsatmcpdlsdltrr«cpccse , , a ? a e i ? a n a, o a a e e e r i eul ee ia e ci noa s si é ael 53 l eueel slpe aza d oci di cSi n di iaal na qualsiasi personalità della classe dirigente senza scelta di sicuro bersaglio giungendo, dopo vani tentativi, ad appuntarsi sulla persona di chi, come Piccioni, per la preminente figura del padre e per la vita che conduceva dopo la sua introduzione nel mondo del jazz e del cinema, meglio degli altri si prestava alio scopo. Le voci d'altra parte ebbero inizio verso i primi di maggio cioè molto dopo la morte della Montesi ed ebbero per culla -.la sala di Montecitorio: questo spiega il loro scopo meramente politico ». E le accuse a Piccioni contenute nella lettera di < Gianna la Rossa > e il nome del musicista trovato nel taccuino di quella Corinna Versolatto suicidatasi ad Alessandria il 2 ottobre 1954? Neanche questi so- zdtnnatziqpaRmzs—Psueano elementi degni di rilievo, se- j econdo la sentenza. < Gianna !a Rossa » non è stata identificata — hanno spiegato i giudici — e di conseguenza bisogna ritenere anonima'la lettera che perciò non può trovare ingresso nel processo. Corinna Versolatto invece era dedita alla droga e 1 giornali i-ri quelj'epoca avevano collegato già al m'ondo degli stupefacenti Piero Piccioni. Nulla di più facile perciò che la donna si sia procurata il numero telefonico del musicista >. Inattendibile e megalomane è stato definito il veggente Del Duca. L'ultimo argomento prima di affrontare quello connesso con Anna Maria Caglio è stato Giuseppe Montesi. Ma il tribunale ha esaminato il personaggio soltanto di sfuggita per concludere che l'accusa mossa contro di lui durante, l'istruttoria del dott. Sepe non fu ' per distogliere 1 sospetti da Piccioni e convogliarli verso un innocente, ma fu la conseguenza di una denuncia precisa presentata nei suoi confronti da alcuni colleghi d'ufficio. Accertato che quell'indagine, definita < operazione Giuseppe », non fu determinata da Piero Piccioni, i giudici non hanno ritenuto di dover e poter esprimere alcun giudizio sul futuro di Giuseppe Montesi, ma si sono limitati a commentare che « spetterà ad altri accertare se le accuse a suo carico siano fondate o meno ». E così il tribunale è arrivato a esaminare la posizione di Anna Maria Caglio. «Se complessa appare la personalità di Anna Maria Caglio—— hanno precisato i tre magistrati nel» la loro sentènza — le risultanze acquisire inducono a gettare molte ombre sulla sua moralità di amante prezzolata, di donna che mentre riceveva cospicue somme di denaro da un suo amante non si peritava di mantenere- relazioni con altri uomini e di diffamare l'uomo che così largamente l'aveva compensata;- Va inoltre tenuto nel debito conto che nessuno di coloro che ascoltarono le' vane sue rivelazioni accusatorie credette aiy stesse senza sentire la necessità di effettuare controlli ». E dopo aver posto in rilievo come-varie circostanze riferite dalla ragazza siano « irrilevanti > ai fini del processo, i tre giudici hanno aggiunto: < Basterà accennare, per trarne il convincimento circa la sua fantasiosità.al rac. conto da lei fatto su taluni barconi carichi di donne provenienti dall'Africa e sbarcate sulle rive tirreniche, al pranzo e alla cena a Milano insieme al capo della polizia e al questore Agnesina; al famoso armadio in cui Montagna avrebbe custodito chissà quale arcano segreto, alla tabacchiera che sarebbe servita per la custodia degli stupefacenti, eco, Ma qualcuno aveva osservato nel corso del dibattimento che alla Caglio bisognasse ere dere perché le sue accuse erano state sempre costanti, vivaci, decise. < Il contegno della Caglio — hanno replicato 1 giudici a queste osservazioni — si spiega con la considerazione che la stessa Caglio si è trovata ad agire sospinta e sorretta da larghi strati dell'opinione pubblica che ancora oggi continua a ritenere verità ciò che si è dimostrato soltanto menzogna o artificiosa costruzione. Gli appellativi di " figlia del secolo ", di " Giovanna d'Ardi " fustigatrice di costumi " non devono aver lasciato indifferente questa donna ed è da pensare che abbiano influito, forse, a farle credere vero ciò che in un primo momento era stato per lei solo sospetto ».Dopo un simile giudizio la sentenza dimostra come non sia provata in alcun modo la pretesa visita notturna di Piccioni e Montagna a. Pavone il 29 aprile '53. Piccioni apprese d'essere accusato da false voci solo il 5 maggio e poi non aveva bisogno dì Montagna essendo nv .io amico di Pavone. « Oltre questi elementi che militano a favore di Piero Piccioni, i giudici hanno ritenuto poterne porre un altro e di notevole valore: l'alibi che il musicista ha fornito, dichiarando come una malattia lo abbia costretto a ietto dal pomeriggio dei 9 al 13 aprile 1953 e, che, logicamente, gli impedì comunque d'andare, come sosteneva l'accusa, insieme a Wilma Montesi il giorno in cui la ragazza si allontanò di casa« Nulla autorizza — hanno osservate ì magistrati — a dubitare sull'attendibilità di coloro i quali hanno confermato la malattia di Piccioni. Anzparticolari ragioni inducono ad attribuire ad essi la più assoluta fede». Esaurito l'esame della posilnnildsI zione di Piero Piccioni, concludendo che il ir.usicista è da ritenersi completamente estraneo alla vicenda, i gijdici hanno affrontato quello relativo a Saverio Polito e Ugo Montagna. Nella economia della sentenza quest'esame è di gran lunga inferiore, come ampiezza, a quello di Piero Piccioni. Per provare che infondate sono le accuse mosse all'ex-questore di Roma, sono state sufficienti ai magistrati solo alcune osservazioni. Nessun elemento è emerso per poter far ritenere che — ha premesso il Tribunale — Polito nella sua qualità di questore abbia prestato a Piccioni un qualsiasi aiuto destinato a eludere le investigazioni della autorità giudiziaria. Le prove? Numerose. Per esempio — <;■ stato spiegato nel- la sentenza — « tutti i funzionari di Pubblica Sicurezza hanno escluso una qualsiasi diretta ingerenza dell'ex-questore Polito nelle indagini sulla morte di Wilma Montesi, Anzi gli stessi funzionari hanno sempre dptrsgpzEsstghelsnmfidr—zlcptsg dichiarato di avere agito in\ piena libertà di iniziativa. Inoltre poiché il rapporto avvalorante la test della disgrazia risaliva al 16 aprile 1953, bisognerebbe ritenere che Polito sapesse fin da allora come indiziato del delitto fosse Piccioni. E invece è provato che le voci sul conto di Piccioni sono sorte soltanto in seguito». . Non molte maggiori quantitativamente sono state le argomentazioni che i giudici hanno ritenuto di dovere esprimere per motivare l'assoluzione di Ugo Montagna. La sentenza, con questo personaggio, se l'è cavata rapidamente, dopo la premessa sufficientemente esplicativa. « E' da escludersi qualsiasi ingerenza di Montagna nel fatto — si è sostenuto nella sentenza — e neppure può ritenersi l'ipotesi che Montagna abbia compiuto interventi diretti presso Polito, essendo mancata persino la prova che i due si conoscessero prima del 2 giugno 1953 >. Guido Guidi L'aw. Antonelli (al centro) legge ai giornalisti i punti più salienti della sentenza sul «caso» Montesi (Telefoto)