Guardati in me

Guardati in me Guardati in me Quello specchio doveva essere magico. Quando si guardava lì dentro, era come se, magicamente, un velo d'illusione si frapponesse fra lei e la lastra. Fosse solo una questione d'abitudine? Certo è che ella si vedeva sempre uguale. Molti, chi per convenienza, chi per pura cortesia, conoscendo il suo debole, la mantenevano in quell'inganno. — Signora Irene, lei è sempre una signorina. Era una vedova e di signorine, in casa, non c'era che sua figlia Marisa. — Una bimba! — diceva di lei Irene, e non vedeva la smorfia amara e il crollar del capo della vecchia serva. Marisa non diceva nulla. Era una figuretta modesta, con un viso scialbo e la malinconica abitudine al silenzio che sembra la caratteristica delle figlie di quelle madri troppo ammirate, la cui vita fu un lungo trionfo e che non si decidono mai a considerare finità la loro giovinezza, accecate dal loro egoismo come da un sole. Marisa sembrava non esistere, come se un vampiro le avesse succhiato dalle vene ogni vita lità. Non possedeva nulla, quando usciva non aveva mai cento lire nalla borsetta, vestiva i vecchi abiti di sua madre raffazzo nati per lei da una sartina : giornata, e, per il suo viso, ado perava i fondi delle scatole di cipria e i mozziconi di rossetto che Irene dimenticava nei suoi cassetti. Aveva anche un fidanzato, da tempo immemorabile, fin da quando, giovinetta, andava a scuola. Ma, anche questo fidanzamento, era scialbo silenzioso, quasi inesistente come tutto quanto la concerneva, — E' presto per sposarsi! — diceva Irene, quando qualcuno accennava timidamente all'opportunità di concludere ■ quel matrimonio — perché metterla tanto presto nei fastidi, povera piccola? C'è tempo, c'è tempo! Marisa non osava protestare, il fidanzato nemmeno. Era un impiegatino modello, che da anni metteva da parte per le spese del matrimonio; orfano e senza alcun parente, non pensava che a far bella la sua casetta per - quando sua moglie avrebbe potuto finalmente entrarvi. — Quando, Marisa, quando? • —i Mamma dice che c'è tempo. . Così rispondeva Marisa à voce bassa, schiudendo appena le labbra sottili, senza alzare gli occhi dal capo di corredo che stava cucendo meticolosamente. Se s'interrompeva era per mettersi ad accomodare o a stirare qualche straccetto di seta rosa — un soffio — che apparteneva a sua madre. Il fidanzato lo fissava attentamente quello straccetto. Una camicia? Una sottoveste? Spesso, proprio in quei momenti, Irene li salutava passando. — Bravi ragazzi, vi fate un po' di compagnia? Tutta agghindata, con quel suo viso sfolgorante e artificiale, usciva colla sua antica andatura trionfale, che adesso l'età irrigidiva, senza che lei se ne accorgesse. Alzandosi deferente per rispondere al saluto, il fidanzato della figlia la guardava con la stessa attenzione strana e profonda con cui guardava quegli straccetti rosa. — Lei crede che il tempo non passi — diceva poi piano quando rimaneva solo con la fidanzata e sembrava riflettere sulla Stranezza di. quel fenomeno. — Così lei crede — confermava quietamente Marisa. Ma una volta lui si curvò su di lei e le mostrò le tempie, toccandosele con un dito. — Vedi, Marisa? Questi so no capelli grigi. — Sì — ella disse — anch'io li ho, ma li nascondo. — Non dovresti nasconderli — egli disse, guardandola fissa — dovresti anzi metterli ben in mostra, in modo che tutti li possano vedere. . I due fidanzati si guardarono a lungo, seri, come se in silen zio complottassero qualcosa, poi, ella tornò a chinare il capo so spirando, però era decisa. L'indomani venne una cugina a desinare. A un certo punto, guardando Marisa, non potè trattenersi dal dire: — Che faccia strana hai, Marisa... Sei stanca? . — No — fece Marisa con l'aria più innocente del mondo — forse ti faccio quest'effetto perché sono senza trucco. Né rossetto, né cipria. Il mio fidanzato non vuole. —' Ma qui... Che cos'è? — Sono capelli grigi. Ne ho tanti, sai. Ormai sono vecchia. La madre alzò su di lèi due occhi fiammeggianti. — Che sciocchezze vai dicendo, Marisa? Mi accorgo anch'iq che stamani non ti devi essere nemmeno lavata. — Non mi sono mai lavata tanto a fondo, mamma. Il desinare finì in un impacciato silenzio. Dopo,, nella sua camera, Irene appuntò sulla figlia l'indice grinzoso e tremante in cui l'unghia sembrava stillare sangue. — Mi sai dire la ragione di questa mascherata? — Non è una mascherata, mamma, è che mi son mostrata nella mia realtà. Non guardarti là nello specchio, mamma. E' lo specchio del diavolo quello. Guardati in me, che sono lo specchio più veritiero. Il tem¬ po passa, tra poco io sarò vecchia davvero, e tu... — Fuori di qui, vattene! Marisa uscì pianamente dalla stanza poi stette a origliare, tré"ia"-'ò. Temeva di udire un uro schianto, un fragor di .il .spezzati o di corpo caf i. Ma non udì nulla, solo un lugubre silenzio, ed ella comprese che là, in quella stanza, si svolgeva un muto, tragico colloquio, tra la donna e lo specchio... Un mese dopo i due fidanzati si sposarono nella più strétta intimità, senza feste né inviti. .La madre assistette alla cerimonia muta e velata e, mentre i due sposi si installavano subito nella loro casa, rinunciando al viaggio di nozze, lei partì per un luogo di cura dove certe acque — come dicevano i bollettini pubblicitari —. facevano miracoli, tanto per la salute, quanto per la bellezza. Carola Prosperi

Persone citate: Carola Prosperi, Signora Irene