I gerarchi fascisti prima della fuga requisirono oro e danaro per motti miliardi

I gerarchi fascisti prima della fuga requisirono oro e danaro per motti miliardi Difficile ricerca per stabilire Pentita del tesoro di Dongo I gerarchi fascisti prima della fuga requisirono oro e danaro per motti miliardi L'ex-cassiere del capo della polizia ha dichiarato d'aver consegnato alla segreteria di Mussolini cinque o sei valige per un valore di 5-600 milioni di allora - Esse contenevano 66 chili di braccialetti, catenine, anelli e fedi matrimoniali e una grande quantità di valuta estera - // ritinto della Banca d'Italia di consegnare un miliardo al ministro Pellegrini - La deposizione dei giornalisti che fecero inchieste sulla vicenda subito dopo la Liberazione - Il Vergani scagiona l'on. Luigi bongo per l'omicidio di "Neri,, (Dal nostro inviato speciale) Padova, 7 maggio. Seconda settimana del processo di Dongo. Alle ore nove il presidente della Corte d'Assise di Padova, dott. Augusto Zen, ha ripreso l'Interrogatorio del testimoni il cui numero si aggira, come noto, su; trecento: una cifra suscettibile di una diminuzione, ma anche di un aumento considerevole, in quanto alcuni hanno già annunciato la loro intenzione di non presentarsi (così la vedova e la figlia di Mussolini, Rachele ed Anna Maria), mentre diversi altri stanno per aggiungersi a quelli citati in un primo momento, o di loro spontanea volontà o dietro richiesta delle parti o per nuovi accertamenti da parte dell'autorità giudiziaria. I quattro excomandanti partigiani — Bellini, Malinverni, Carnevali, Previdi — ad esempio, che han firmato il manifesto apparso venerdì nelle vie di Padova e nel quale si afferma che il vero mandante dell'omicidio di < Neri > non è l'imputato Vergani, ma l'on. Luigi Longo, hanno a quanto sembra raggiunto il loro scopo di interessare la GiuBti zia: il Proc. Gen. dott. José Schivo, ha infatti ordinato ai carabinieri di Milano — dove i manifesti risultano stampati — di procedere all'interrogatorio dei quattro firmatari per stabilire se le loro generiche asserzioni possano essere suffragate da una qualsiasi prova. Diciamo subito che queste accuse non sono nuove: nell'immediato dopoguerra, all'inizio delle indagini, l'autorità inqui rente era riuscita ad identificare il sospetto mandante dei delitti solo col misterioso nome partigiano di < Fabio > sotto il quale alcuni pensarono che si nascondesse lo stesso massimo esponente comunista del Corpo Volontari Libertà, l'on. Lui gi Longo. Fu solo dopo molti mesi che 1! attuale imputato Vergani si presentò al magi strato dichiarando di esser-lui « Fabio > e di assumersi quindi ogni responsabilità di quanto a carico di tale ex-comandante partigiano potesse risultare Conseguentemente, sia nella sentenza di rinvio a giudizio del 1949 sia nel supplemento di istruttoria del 1952, non si fa cenno alcuno dell'c ipotesi Longo > e si accetta l'identità Vergani-c Fabio >. L'assenza di alcuni testimoni, fra i quali 11 giornalista Ferruccio Lanfranchi, che ha chiesto di essere ascoltato domani, ha resa superflua la seconda udienza pomeridiana prevista dai programma fissato dal presidente Zen per sveltire il < processo di Dongo >. Fra le otto persone che han depoeto in mattinata, due funzionari repubblichini, Raffaele La Greca e Werther Samaritani, nel rispondere alle domande sulle origini prime di quello che doveva diventare il misterioso « tesoro di Dongo >, hanno fornito diversi, interessanti particolari sulle vicende finanziarie dell'ultimo periodo di Salò quando i capi fascisti, consci ormai dell'imminenza del crollo, sembravano preoccuparsi soprattutto di ammassar vaiori in vista, secondo la versione ufficiale, dell'ultima resistenza o, secondo una più verosimile e confermata dal fatti, della fuga all'estero. Raffaele La Greca, primo te ote della giornata, era cassiere del capo della polizia Tamburi ni e in tale sua qualità ebbe in consegna dal ministro delle Finanze Pellegrini, un paio di mesi prima della Liberazione; un tesoro costituito da 2150 sterline oro, 2675 sterline carta, 278 mila franchi svizzeri, 149 mila dollari, 18 milioni di franchi francesi, 10 mila pesetas, 15 mila escudos portoghesi, altri quantitativi di oro in lingotti e oggetti preziosi. Tutti questi valori erano contenuti In cinque o sei valige di cuoio marrone che, dopo breve tempo, furono consegnate alla se greteria particolare di Mussolini a Gargnano. DI questo e di altri fondi (la cassa del ministero degli Interni, ad esempio, divisa fra Brescia e Valda- gno) le fonti erano essenzial-tmente due: oro requisito alle popolazioni e valute straniere ricercate ed acquisite sistematicamente. Nel tesoro affidato al La Greca e da lui riconsegnato a Mussolini, c'erano — precisa il teste — 66 chilogrammi d'oro in braccialetti, catenine, anelli, fedi, ancora chiusi in tanti pacchettini col nome del proprietario, o meglio, ex-proprietario: tutta gente d'Abruzzo e delle Marche alla quale gli oggetti erano stati requisiti (dietro pagamento, dice 11 teste) dal console della milizia e poi questore di Roma, Caruso, quando quelle zone erano ancora sotto controllo fascista. C'erano inoltre vari lingotti di oro risultati dalla fusione di analoghi oggetti e rottami Quanto alle valute straniere di cui potè disporre negli ultimi giorni il governo repubblichino, il La Greca ha citato l'esempio di un solo mandato d'acquisto per ben 400 milioni d'allora l'ultimo colpo fu quello tentato in extremis lo stesso 25 aprile dal ministro delle Finanze Pellegrini, il quale cercò di incassare un suo mandato per 1 mi liardo di lire, riuscendo però ad incassare soltanto 82 milioni. Il curioso è che I gerarchi fascisti giustificavano con i loro collaboratori questa corsa all'oro degli ultimi mesi col dovere patriottico di non rimanere indietro al loro amici tedeschi che stavan facendo man bassa dovunque potevano: «Quest'oro — disBe Buffarlni al teste Samaritani — è sottratto alle razzie delle truppe germaniche >. Werther Samaritani, che depone dopo il La Greca, era addetto alla segreteria particolare di Mussolini sotto il prefetto Gatti: afferma con sicurezza che il < fondo speciale > descritto prima dal suo collega, fu consegnato in varie valige alla prefettura di Milano, dove Mussolini si era trasferito, il 23 aprile, per essere poi caricato sull'autocolonna di Dongo. Quanto al contenuto in valuta, il Samaritani non ricorda con esattezza; quanto all'oro, nel confermare l'esistenza di anelli, catenine ed altri oggetti, nega Invece che ci fossero i lingotti elencati dal La Greca. Un confronto diretto fra i due testi, che insistono nelle rispettive affermazioni, lascia l'Impressione che le partite di preziosi fossero due; e si tenga conto che 11 La Greca valuta i valori che ebbe In consegna a 5-600 milioni d'allora (molto approssimativamente, 10-15 miliardi di oggi). Al di fuori della vicenda del tesoro, il Samaritani afferma che il suo superiore diretto, il prefetto Gatti che- fu fucilato a Dongo e che era capo della segreteria parti colare del < duce », aveva l'intenzione di far passare Mussolini In Spagna attraverso la Svizzera. L'avv. Druetti — parte civile per il signor Giancarlo Cella, che acquistò da Mussolini II Popolo d'Italia versando 109 milioni che egli ritiene fossero a bordo della famosa autocolonna — chiede al teste se fra I valori di Dongo ci fossero anche fondi privati di Mussolini. Samaritani — Non mi risulta. Mussolini non aveva fondi privati. Si succedono quindi a deporre diversi giornalisti che nell'Immediato dopoguerra ebbero occasione di svolgere inchieste sull'«oro di Dongo». Brevissime le dichiarazioni di Al berto Giovannini, il quale nel '46 su un quotidiano diretto dall'ori. Patrissl e poi su un settimanale milanese scrisse sulla vicenda, basandosi però — ha detto stamane — su dati fornitigli dal . suo direttore e non su notizie dirette; l'avv. Toffanin ha quindi chiesto che venga a deporre il Patrissl. A Dongo, invece, aveva svolto un'inchiesta nell'autunno del '46, interrogando anche « Fedro » e « Bill », 11 giornalista milanese Arrigo Galli. Da un francescano di Gravedona, padre Alfonso, che a sua volta l'avrebbe appreso dalla vedova di Zerbino, il Galli seppe che nei giorni del crollo, Mussolini aveva chiesto il prelevamento di un miliardo e che, davanti al rifiuto del direttore della Banca d'Italia, avrebbe provveduto a firmare il mandato Io stesso ministro delle Finanze Pellegrini, senza però riuscire ad incassare che 286 milioni. E' l'episodio citato poco prima dal La Greca, il quale però ha parlato di 82 milioni effettivamente versati (e con questa cifra concordano le risultanze del processo Pellegrini). Alla contestazione del presidente, il giornalista insiste ed aggiunge che altri milioni, per un totale complessivo di 930, furono ottenuti con prelevamenti di forza presso altre banche e divisi fra i vari ministri. Aggiunge 11 Galli che mentre si trovava a Como per 10 svolgimento della sua inchiesta, gli vennero rubati tutti i taccuini che aveva riempito di appunti. Anche il giornalista Giulio Bergamo svolse una inchiesta sui fatti di Dongo già nell'agosto del '45 parlando con Pier Luigi Bellini Delle Stelle, «Pedro », e con Urbano Lazzaro «Bill»: 1 due — egli ha dichiarato oggi — oltre a descrivergli la rilevante entità del tesoro, gli mostrarono le ricevute che il capo garibaldino Siro Rosi aveva rilasciato ai partigiani di Chiavenna nel portarsi via la massima parte dei valori sequestrati alla vedova del ministro Romano nel suo fallito tentativo di espatrio. Il presidente chiede chiarimenti a «Bill», il quale ammette di aver parlato al teste anche del famoso « cofanetto rosa » della Petacci. Avvocato Bertasi (difesa) Quando fu fatto l'Inventarlo, il cofanetto c'era? Bill — All'inventario non ero presente: lo firmai fidandomi dei miei compagni. II Bergamo riprende e con elude la sua deposizione ac cennando al misterioso « carteggio Churchill - Mussolini » : egli riferisce che all'epoca della sua inchiesta, si occupava particolarmente della ricerca dei documenti, un ufficiale In glese, 11 capitano Anderson. Altri testi. Ettore Manzi è 11 brigadiere dei carabinieri di Dongo che, come hanno riconosciuto gli interessati, intervenne il 27 aprile a Campagnano, dove la folla aveva bloccato 11 tenente Pallottelli e l'< agente segreto » Rosario Boccadifuoco, mandati indietro dal ministro Zerbino a vedere se c'era qualche possibilità di scampo rivolgendosi al CLN di Como, o addirittura al cardinale Schuster a Milano, Stette un po' lì riuscendo a calmare i più agitati, ma poi il nostro brigadiere non ce la fece più a resistere: perbacco, in quel momento storico, non poteva restare tome era in borghese; corse a casa sua ad indossare la divisa dell'Arma, tanto ge losamente custodita per mesi e mesi; dopo di che si precipitò a Dongo ad occuparsi dei prigionieri grossi. Visto nel gruppo un ragazzo — il figlio quin dicenne del ministro Romano — lo condusse dal parroco di Musso; poi cercò di impedire eccessi nei confronti dei gerarchi; ed Infine, ritrovò i due a favore dei quali era Intervenuto all'Inizio, il Boccadifuoco ed il Pallottelli, senza poterli riconoscere subito tanto erano sfigurati dalle bastonate: potè però riconsegnare loro la borsetta che. fra l'altro, avevano sulla loro macchina, anche se con tre o quattro soltanto delle 63 sterline che aveva contenuto al mattino. Il Manzi l'aveva trovata e subito sequestrata tra le mani di un contadino del posto completamente ubriaco. In quelle ore drammatiche, il Manzi si prodigò per salvare vite umane; fece fuggire, ad esempio, un vice-brigadiere dei carabinieri che i partigiani ave vano chiuso nel municipio, ma nella notte del 28 aprile dovette assistere alla fucilazione di parecchi fascisti. Il 1° maggio, l'imputato Pietro Terzi « Francesco» si fece consegnare da lui cinque dei detenuti che custodiva < aillo scopo di interrogarli»: furono invece uccisi e gettati nel lago. Quando, il giorno dopo, il Terzi si presentò a chiedere altri cinque prigionieri, con lo stesso pretesto, il brigadiere rifiutò e fece appello ad ufficiali dell'Arma, a religiosi, alle autorità di Como. A Como non trovò il rappresentante alleato, capitano Anderson, 11 quale, a quanto si disse allora, era andato a Milano a chiedere il bombardamento di Dongo ove non si ponesse fine alle esecuzioni: vera o no la voce, tornò sul lago la calma anche se relativa, come dimostrano 1 casi del « Neri », della « Gianna », e delle altre vittime (e una bomba a mano lanciata una notte contro il nostro brigadiere, fortunatamente a vuoto). Quanto al tesoro, il Manzi non è in grado di fornire alcuna indicazione precisa: < Mi risulterebbe però — conclude — che molto oro e parecchi gioielli abbiano preso la via della Svizzera». Ultimi due testi di nessun rilievo, il maresciallo di P. S. Apriliti e la guardia di P. S, Giovanni Rizzi, il quale era a Torino quando lo Zerbino era prefetto e lo seguì poi in tutte le sue peripezie. Non sa dir nulla sul tesoro: secondo lui, Zerbino aveva a bordo della colonna soltanto una cassetta vuota. Giovanni Giovannini II teste Raffaele La Greca, che ricoperse, tra 11 '44 ed il '45, l'incarico di cassiere del capo della polizia Tamburini, entra nell'aula della Corte di Assise di Padova (Telefoto) Il teste Galli (a sinistra) redattore del giornale milanese «L'Italia» ed 11 teste Samaritani, ex funzionario della segreteria particolare del Ministero dell'Interno (Telefoto)