Rivive l'antica tragedia delle venticinquemila vittime di Marziano Bernardi

Rivive l'antica tragedia delle venticinquemila vittime RITROVITI ALTRI CORPI SOTTO LE CENERI DI POMPEI Rivive l'antica tragedia delle venticinquemila vittime La sapienza degli archeologi dà un nome ed una storia umana agli infelici periti nel cataclisma centi secoli fa - Una matrona riabilitata da un'ingiusta accusa - Solenni immagini di vita nel museo di Capua a o n a i i l a e r a . i a l e , (Dal nostro inviato speciale) Napoli, 6 maggio. Quasi la metà dei valenti uomini ai quali è affidata la grave tutela del patrimonio artistico e archeologico italiano si son trovati in questi giorni a percorrere una parte dell'antica Terra di Lavoro ed il malioso verdazzurro litorale che s'inarca da Napoli a Sorrento, visitandone musei e scavi fra l'unn. e l'altra seduta scientifica in luoghi dove il fiume solenne del tempo ha lasciato, si può dire, su ogni pietra un millenario sedimento di storia e di civiltà. Turisti d'eccezione, questi direttori ed ispettori di gallerie riuniti a congresso della loro associazione; cui bastava il ripresentarsi d'un frammento di stele, d'una epigrafe, di un avanzo di mura, d'un rudere d'anfiteatro, o d'una statua un affresco una medaglia una terracotta, perché arcani mondi di persone di cose di fatti, si ricreassero magicamente vivi nei più minuti episodi di una remota vicenda rifattasi per loro cronaca attuale, e genti e costumi scomparsi da secoli risorgessero dal sepolcro dell'erudizione a testimoniare ancora una volta con stupenda concretezza la misteriosa continuità, la fatale contemporaneità della sorte umana nelle epoche più varie. Era un incanto, ad esempio, ascoltare da Amedeo Maiuri fra gli avanzi della vasta dimora di Giulia Felice a Pompei, la sua ben fondata argomentazione sulla morte, il tragico 24 agosto del 79 d. C, della ricca matrona nel supremo tentativo di salvezza verso la prossima Palestra. Là infatti si erano trovati accanto a uno scheletro due bicchieri argentei con le immagini sacre di Iside, forse l'estrema reliquia recata con sé dalla donna che « prima di abbattersi al suolo, avrà invocato per l'ultima volta la grande dea egizia, sembrandole di udire nella tenebra il tintinnio dei sistri guidarla, con suoi compagni di fede, verso le oscure vie dei morti ». E proprio nella casa dissepolta di Giulia Felice erano apparsi gli stessi sacri segni del culto isiaco, figurati a sbalzo sopra quei due bicchieri argentei. Ci pareva di rileggere la descrizione del geniale archeologo nelle sue Passeggiate campane, dei fuggiaschi avvolti sospinti dal turbine funesto nel chiuso della Palestra — la grande palestra pubblica di Pompei, campo di giuochi cielo aperto nell'immensa area cintata, e campo di nuoto nel bacino della piscina centrale — come i dannati del girone dantesco, accecati e soffocati prima di aver valicato.le mura del portico. Povera Giulia Felice, già tanto calunniata per il noto documento che la dichiarava proprietaria, nei suoi ampi quartieri dati in parte in affitto, di un balneum venereum. Venereo in senso equivoco? Un bagno un po' troppo compiacente? Nient'affatto, spiegava sorridendo argutamente alla nostra piccola schiera di ascoltatori, ritto sul margine della incriminata vasca interrita, il Maiuri: « Giulia Felice era un'ottima signora, accorta ma onestissima, che approfittando dei danni recati ai pubblici bagni pompeiani dal terremoto dell'anno 63, aveva concesso che se n'aprisse uno nelle sue case, fornito tutto intorno di eleganti tabernae; e al pari d'ogni abile proprietario che sa fare una vistosa pubblicità dei propri beni lo proclamava e vantava, lei o il suo affittuario, venereum, perché adorno e splendido da essere degno del corpo divino di Venere. Una semplice e lecitissima reclame, male inter¬ phumeanardtttggcvVbo, a o o — i a l e e i à o a i pretata dai posteri; e perciò io ho tentato la riabilitazione di una donna stimabile, la cui memoria era stata infamata ». Così il potere d'una cultura evocatrice vinceva il nero abisso del tempo, la vita rinasceva coi suoi quotidiani aspetti domestici, semplici vari cordiali e persin pettegoli, daile gelide immagini di morte ed al di là delle smozzicate pareti del balneum la vuota città uccisa dal vulcano si gremiva dell'antica sua folla, gli abitanti di nuovo s'affacciavano alle soglie, percorrevano il gran quadrivio della Via di Nola con la Via di Stabia, s'interpellavano, scambiavano saluti e motti, insieme avviandosi al Foro o all'Anfiteatro, magari sostando a una caupona per sorbire un bicchiere di vin cotto melato; ciascuno col suo ricuperato profilo umano ch'era stato di un Vibio Restituto o d'un Popidio Prisco o d'un Marco Savio Rufo, e col celato bagaglio d'affanni di gioie di piaceri di rammarichi, ch'è poi dal più al meno il medesimo d'un qualunque signor Rossi o Ferrerò o Esposito del giorno d'oggi a Milano, a Torino o a Napoli. Ma l'immane tragedia rapì anche il nome dei tre infelici distesi adesso come i cadaveri di un obitorio sotto una provvisoria tettoia, colti dall'asfissia della pioggia di cenere ai piedi delle mura sannitiche nell'ultimo sforzo di salvamento verso il mare, un vecchio, una donna nel fiore dell' età, un uomo vigoroso e membruto. Eran fra loro parenti, un padre, un marito e una moglie? Quale fu l'invocazione che l'aria irrespirabile gli soffocò nella gola? Caddero che già quasi eran fuori dall'orrendo inferno, rotolarono insieme giù dallo spalto, e lì giacquero immoti sotto il lapillo bagnato dalla pioggia e levigato dal vento per riapparire alla luce dopo più di milleottocentosettant'anni. La drammaticità tremenda di quest'altre immagini di morte non è nella novità d'una documentazione impressionante. Si sa che da tempo gli abilissimi scavatori di Pompei avvertono i < vuoti » lasciati da corpi umani nell'indurito strato di cenere, e che con ingegnoso e semplice sistema in quelle « forme » rinvenute intatte si può colare gesso liquido che dà pressoché perfette le sagome dei defunti. E nemmeno quest'ultimo caso è inedito, essendo stato di recente illustrato. Però nessuna descrizione uguaglia la terribile icastica della testimonianza certo più atroce finora affiorata dal suolo di Pompei del cataclisma che in poche ore spense venticinquemila esistenze: fors'anche perché in quei corpi rattrappiti ir. quei lontani terrori e in quelle cieche fughe noi riviviamo rabbrividendo tragedie ahimè recenti che tristemente ci affratellano ad anonime vittime antiche delle quali nulla sap- pictrlc i à e . a e i n o è e - piamo, e le cui stesse concrete impronte non sono che il macabro stampo, la raccapricciante finzione archeologica d'una realtà umana perduta nell'ignoto. Così, sotto guide esperte, il congresso dei direttori di musei (e per chi non lo sappia i musei italiani statali e locali, compresi quelli storici, scientifici e variamente documentari, sono in cifra tonda seicento, e li curano, li difendono, si sforzano amorosamente di accrescerne le raccolte trecentosettantacinque persone che han consumato o s'apprestano o continuano a consumare la vita nello studio, mal pagate, spesso confinate al fondo di sperdute province, talora retribuite soltanto con un bel titolo onorifico, e tuttavia attaccate alle collezioni affidategli come a creature del proprio sangue) vagava per la terra campana satura di storia, di arte, d'ogni sorta dì straordinarie bellezze: Museo Nazionale di Napoli, Museo Provinciale di Capua, Anfiteatro e Antiquarium (quest'ultimo appena l'altro giorno inaugurato) di Santa Maria Capua Vetere; Sant'Angelo in Formis con la celebre basilica sorta sui ruderi del tempio di Diana Tiratina, con la sua vivace fioritura d'affreschi bizantineggianti; Reggia di Caserta che nelle sue milleduecento stanze racchiude il sogno sfarzoso di Carlo di Borbone e del sommo Vanvitelli; Caserta Vecchia che slancia al cielo dal colle, sul compatto agglomerato di case medioevali, la stupenda cattedrale romanica di decorazione siculo-normanna; il grazioso Museo Correale a Sorrento, zeppo di tesori dal marmoreo basamento romano con figure relative al culto di Vesta alle preziose porcellane di Napoli, della Cina, di Sassonia; e infine il capolavoro di Capodimonte, forse il più affascinante museo del mondo, di cui l'altro giorno s'è qui parlato. Su qual punto d'un simile panorama incomparabile con la memoria sostare? Se un consiglio è accettabile da chi legge, è di segnare buI taccuino dei desiderati viaggi una visita al Museo Campano di Capua, ricostituito con abnegazione mirabile da Luigi e da Salvatore Garofano Venosta nel quattrocentesco palazzo dei duchi di San Cipriano dallo sfacelo della guerra. Qui con la mutila statua di Federico II di Svevla, coi due ritenuti busti del suoi consiglieri Pier delle Vigne e Taddeo di Sessa, con le altre sculture federiciane, v'accoglie lo spettacoloso corteo delle statue votive tufacee, dal VII secolo a. C. all'Impero, tutte glorificanti la Mater Matuta: quasi duecento madri ieraticamente sedute coi pargoli in braccio a corale esaltazione della fecondità. A Pompei le cupe visioni di morte; a Capua la solenne perentoria immagine della vita che nulla può arrestare e che perenne risorge. Marziano Bernardi