Bill a Mussolini rannicchiato sul camion: "cavaliere vi arresto in nome del popolo italiani,, di Giovanni Giovannini

Bill a Mussolini rannicchiato sul camion: "cavaliere vi arresto in nome del popolo italiani,, La cattura e /a fucilazione dei gerarchi rievocate dai testi- ai processo di Bongo Bill a Mussolini rannicchiato sul camion: "cavaliere vi arresto in nome del popolo italiani,, L'ex-duce si era finto un militare nazista sperando di salvarsi - Miidò alla sua guardia del corpo ima borsa dicendogli: " Tenetela con cura, ci son dentro i destini d'Italia,, - Forse Marcello Petacci custodiva il carteggio dell'ex-dittatore con Churchill ed era incaricato di portarlo in Svizzera: sarebbe servito per trattare il rilascio dei fermati - Claretta e suo fratello uccisi dal col. Valerio contro il volere di Urbano Lazzaro - Confermata l'entità dei valori contenuti dall'autoblindo dei "capi,, (Dal nostro inviato speciale) Padova, 4 maggio. Dopo le due lunghe ed importanti udienze di ieri, una sola e brevissima stamattina. Davanti alla Corte d'Assise di Padova è sfilata una diecina di testimoni di scarso rilievo nell'ambito del processo, ma di un certo interesse storico in quanto tutti appartenenti alla famosa colonna Mussolini bloccata dai partigiani alle ore 8 del 27 aprile fra Musso e Dongo. Attraverso le loro deposizioni — ed alcune-dichiarazioni fatteci poi da Urbano Lazzaro « Bill », vice-commissario politico della brigata partigiana — possiamo, in particolare, ricostruire le fasi dell'unico « fatto d'armi » della giornata in cui soldati tedeschi e gerarchi fascisti si arresero senza opporre resistenza ad un pugno di ragazzi: la vicenda cioè della famosa autoblindo che, insieme ad ingenti valori, aveva a bordo Mussolini, la Petacci, Pavolini, Barracu, Casalinovi oltre all'equipaggio i cui membri hanno deposto stamattina. La qualità di persone e di cose che eran sull'automezzo è stupefacente ma — ha precisato un teste — si trattava di un grosso « Tre RO » corazzato. Al momento del blocco, l'autoblindo col suo carico, sotto diversi aspetti prezioso, procedeva in testa alla colonna. Le trattative, subito iniziate per la resa, si conclusero dopo qualche ora favorevolmente per i tedeschi che ottennero il permesso di proseguire verso la Svizzera. Mussolini, ancora non riconosciuto, scese a questo punto dall'autoblindo per nascondersi su un camion tedesco coperto da un elmo ed un cappotto nazista per dividere la Borte non dei suoi ma dello straniero. Anche Claretta Petacci — come ha raccontato ieri Zita Ritossa — si rifugiò nell'auto del fratello con addosso una tuta da meccanico. Mussolini fu scoperto da un partigiano, Giuseppe Negri, uno zoccolaio di Dongo, che stava perquisendo accuratamente gli automezzi tedeschi e che, datogli un'occhiata, corse tutto emozionato da Lazzaro «Bill » a sussurrargli: «L'è chi anche el crapun ». « Io — ci ha raccontato oggi «Bill» — non volevo crederci, ma naturalmente andai a ve¬ dere. Stava il « duce » tutto rannicchiato sul fondo del camion, infagottato nel cappotto, l'elmetto tirato sugli occhi «Camerata», lo chiamai: nessuna risposta; «Eccellenza» insistetti: nessuna risposta. Allora mi decisi e senza saper bene cosa dicessi — avevo ven t'anni, e toccava a me quel compito — pronunciai queste parole: « Cavalier Benito Mussolini, vi arresto in nome del popolo italiano ». Non reagì in nessun modo, due partigiani lo tirarono giù, lo accompagnammo nel municipio di Don go, dove gli offersi delle sigarette che rifiutò e un caffè che invece accettò. Lo lasciai accasciato e uscii con i valori sequestratigli, 160 sterline e un milione 700.000 lire, che versai prima di sera alla banca di Damaso. Tornai intanto ad occuparmi della colonna ». I tedeschi avevano finalmente ottenuto 11 permesso di muoversi ma la famosa autoblindo sbarrava in testa la strada; fu necessario con qualche difficoltà tirarla da parte, e 1 nazisti poterono avviarsi fra le grida dei gerarchi: «Vigliacchi, ci tradite un'altra volta >. Contemporaneamente, però, anche qualcuno dei fascisti trattava per conto suo segretamente: era Barracu che, vantando il suo passato di combattente e di medaglia d'oro e rievocando antichi legami col padre del comandante partigiano, riuscì ad un certo momento ad ottenere da Bellini Delle Stelle il permesso di tornare indietro verso Como per ricongiungersi a Graziani e consegnarsi agli alleati. Così l'autoblindo sj mosse alla ricerca di una piazzuola dove poter girare, ma altri par¬ i a i e a l e o l ì l o i i ¬ tigiani, arrampicati sulle alture, ignorando quanto succedeva, aprirono immediatamente il fuoco con mitra e con mortai. All'interno dell'autoblindo un membro dell'equipaggio fu subito colpito e morì di li a poco: gii altri fermarono l'automezzo, ed uno uscì agitando qualcosa di bianco ma fu abbattuto dalle ultime raffiche. Agitando un'altra bandiera bianca, gerarchi ed equipaggio schizzaron fuori balzando dietro qualche riparo: Pavolini rotolò addirittura sulla scarpata fino al lago dove 1 partigiani dovettero andare in barca a catturarlo. Fatti prigionieri tutti in questo modo clamoroso, le intese personali non valsero a nulla, ed anche Barracu dovette seguire la sorte comune. Questo l'episodio che vari testi facenti parte dell'equipaggio dell'autoblindo — il pilota sergente automobilista Merano Chiavacci, Giuliano Sebastiani, Ginese Del Grande, Giovanni Giorgi, Vincenzo De Benedictis — han rievocato sommariamente e concordemente davanti alla Corte. Al presidente dott. Augusto Zen, stava soprattutto a cuore — per l'accertamento dell'entità e della composizione del tesoro di Dongo — sapere qualcosa dei valori contenuti a bordo, ma l'unica indicazione dettagliata e precisa è venuta soltanto dal teste Carradori che, chiamato nuovamente a deporre, ha confermato che l'autoblindo trasportava 11 « fondo della Repubblica Sociale > consistente in 54 chili di oro in verghe, 16 chili di franchi francesi, pesetas ed altre valute, 36 chili di banconote italiane (mentre i vari gerarchi che l'occupavano avevano distribuite fra loro alcune diecine di milioni). I membri dell'equipaggio, invece, non han potuto o saputo aggiungere alcun particolare. Solo il Chiavacci ricorda di aver visto una valigia piena di danaroj gli altri invece non ricordano se non una grande confusione di oggetti e persone. E' ancora 11 Carradori, in una seconda deposizione, a far cenno di fatti importanti; egli afferma (e con lui concorda l'ufficiale dell'aviazione repubblichina, il teste Virgilio Pallottelll) che Mussolini gli ave va affidato una borsa dicen-' dogli: «Tenetela con ogni cura, ci son dentro i destini d'Italia >. Quando Mussolini abbandonò l'autoblindo per rifugiarsi sul camion tedesco, volle riavere la borsa che sarebbe, quindi, quella presa in consegna da < Bill > e nella quale però — stando allo stesso capo partigiano — non ci sareb be stato niente di notevole. In un'altra borsa sarebbero stati invece i documenti veramente importanti, ha sostenuto con noi il « Bill » nel rievocare la fine di Marcello Petacci in un racconto che merita di essere inserito a questo punto della cronaca del processo. Interrogato dai partigiani, Marcello Petacci sostenne in primo tempo di essere un diplomatico spagnolo, ma all'occhio esperto dell'ex-guardia di finanza Lazzaro « Bill », l'autenticità dei documenti esibiti parve subito dubbia; l'uomo fu quindi condotto davanti al col. Valerio che aveva assunto il comando assoluto e che gli rivolse la parola in spagnolo senza ottenere in risposta una parola in quella lingua; Audisio lo guardò un attimo poi lo colpì con un manrovescio gridandogli: «Ti riconosco, sei Vittorio Mussolini, portatelo via! ». A condurlo verso il luogo dell'esecuzione fu il < Bill », che lo sconosciuto scongiurava incessantemente di salvarlo affermando di essere un agente dell'* Intelligence Service ». Alla fine, quasi rassegnato, chiese un prete e fu dato il permesso di avvicinarlo a padre Aurelio Riva dei Frati Minori di Dongo, il quale, dopo la brevissima confessione, si avvicinò a «Bill» e gli disse: « Guardate che state commettendo un errore di persona: non è Vittorio Mussolini ma Marcello Petacci ». < Chiesi allora al misterioso individuo — racconta." Bill " — di darmi la prova della sua identità; mi rispose di non avere alcuna carta con sé, mi pregò di andare all'albergo di Dongo, dove avevamo sistemato la sua compagna Zita Ritossa con i loro due bambini e di farmi dare da lei una certa borsa. Andai, tornai: non era la borsa giusta. Petacci mi supplicò di andare a cercare quella giusta e io lo feci; la Ritossa però non l'aveva con sé, dovevano averla lasciata sulla macchina: infatti la trovai lì e la portai a Marcello il cui vero nome era effettivamente indicato in alcune carte. Convinto, porto indietro l'uomo, trovo soltanto Bellini Delle Stelle, gli dico chi è effettivamente. Il col. Valerio in quel momento non era a Dongo (stava procedendo all'esecuzione di Mussolini e di Claretta). Per maggior sicurezza, portiamo H Petacci davanti al gruppo dei gerarchi in attesa della esecuzione, chiediamo loro di confermare la sua identità, tutti tacciono, Marcello li supplica con angoscia, con ira: niente, solo Barracu girando il volto dice: lo conosco solo come un certo Fosco». « Bill » dice che al sentire questo nome Marcello Petacci si fece bianco in volto, e non aggiunse più motto. Altro particolare misterioso, il Petacci fu fucilato dopo gli altri da solo, perché i gerarchi non lo vollero con loro nel momento della morte. Alla fucilazione però « Bill » non era presente, era corso al vicino borgo di Damaso a raccoglier partigiani fidati suoi e del Bellini Delle Stelle per essere in grado di opporsi agli spadroneggiamenti del col. Valerio, al quale avevano soprattutto e inutilmente chiesto di non condannare a morte la Claretta Petacci, il Barracu per il suo passato di combattente, e il Calistri, un capitano d'aviazione. Raccolti uomini ed armi a Damaso, il « Bill » tornò rapidamente a Dongo ma in tempo soltanto per sentire l'ultima scarica del plotone d'esecuzione, quella che abbatteva Marcello Petacci nelle acque del lago. Il colonnello Valerio aveva fretta, disse a Bellini Delle Stelle: «L'ultimo raccoglietevelo voi»; replicò il comandante della 52* brigata che i suoi uomini non avrebbero partecipato in nessuna parte all'esecuzione. < Questi particolari sulla morte del Petacci, secondo il racconto ripetutoci oggi da «Bill», si ricollegano al mistero dei documenti scomparsi in quanto le carte più importanti sarebbero state non nella borsa dell'ex-duce ma in quella di Marcello. Mussolini, nel separarsi all'uscita dall'autoblindo da Claretta, le avrebbe affidate a lei perché: a) si trattava della persona a lui più fida; b) di una donna e quindi presumibilmente destinata a salvarsi; c) della sorella di Marcello che era l'uomo incaricato di estreme trattative con gli alleati dai quali si sperava la salvezza. «Bill» ritiene che il Petacci fosse sincero quando gli dichiarò di essere un agente del ['«Intelligence Service», di ave re per le 17 di quello stesso giorno un appuntamento in Svizzera con un diplomatico inglese — Sir Norton — per consegnargli importantissimi documenti contro l'assicurazione della salvezza per Mussolini e per i suoi. Ne è prova, sempre secondo quanto ci ha dichiarato oggi « Bill » quel misterioso nome di « Fosco » col quale Barracu sprezzantemente indicò 11 Petacci, il rifiuto dell'intero gruppo dei gerarchi di procedere al suo riconoscimento prima, e di ammetterlo in mezzo a loro al momento della fucilazione. ci 11 r 1 ì 111111111 ! 1M111111 ■ 1111111:111 ■ • M i ( 1111 [ 11 r 111T111 Fondata o meno questa ipotesi, rimane il mistero di questi particolari, ormai storicamente accertati. Ma i famosi documenti c'erano? Dice ti « Bill » che la borsa del Petacci fu da lui affidata in custodia al partigiano Lorenzo Bianchi, attualmente impiegato al Casinò di Campione, 11 quale avrebbe «dato un'occhiata» dentro e avrebbe visto scritto su dei fascicoli i nomi di Mussolini e di Churchill; aggiunge però subito il « Bill » che, quando riebbe la borsa, per consegnarla nel comune di Dongo dovevenivano ammassati 1 vari oggetti del tesoro, queste carte erano scomparse. Ci conferma infine il «Bill» un dato di cronaca: nell'estate stessa del '45, Churchill, venuto a soggiorno sul lago di Como, si recò un giorno a «Villa Miglio», vicino a Damaso, nella quale abitava ancora In quell'epooa lo stesso « Bill ». « Quel giorno — ci dice " Bill " — Io non ero In casa e non incontrai quindi lo statista inglese che però nella villa si fermò alcune ore ». Questo, il racconto che ci ha fatto oggi Urbano Lazzaro, che, a venti anni, arrestò il dittatore italiano: il comandante « Bill », oggi operaio alla centrale SIP di Chivasso, vive a casa della moglie a Cavagnolo, ha due figli e pochi mezzi tanto da non sapere come fare a stare tutti questi giorni a Padova. Torniamo infine alla cronaca dell'udienza odierna e alle deposizioni di due testi che si trovarono sulla colonna fascista, protagonisti di un unico episodio, Virgilio Pallottelll e Rosario Boccadifuoco. Pallottelli — Ero al seguito di Mussolini come ufficiale di aviazione. Quando fummo bloccati sulla strada di Dongo, Zerbino mi disse di tornare un po' indietro a vedere se c'era qualche possibilità di ritirarci. Partii insieme al Boccadifuoco sulla « 1500 » del ministro, e dopo qualche chilometro ci fermammo per informarci sulla strada da prendere. Un tizio ci consigliò di imboccarne una che viceversa si rivelò senza uscita: finimmo in un paesetto, a Garbagnano, dove centocinquanta persone infuriate ci attaccarono, ci picchiarono, ci portarono via le valigie di Zerbino e Mezzasoma, una borsa e 111111 ■ 1111 c 1111111 ri 1111111 r r 111111111 c 1111111111 ■ ■ 11111 u con un milione e mezzo e una con 63 sterline. Solo dopo un certo tempo, sopraggiunse, per fortuna, un brigadiere dei carabinieri con alcuni partigiani d.c. dal fazzoletto verde e ci accompagnò alle scuole di Musso, dóve rivedemmo in. distanza le valigie e ci fu restituita la borsa con qualche sterlina. Il Pallottelll ha esposto la sua versione dei fatti in modo chiaro e obiettivo: ecco ora il suo compagno d'avventura Rosario Boccadifuoco, piccolo tarchiato, occhiali nerC Presidente — Ci dica in che uiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiifiiiiiiiiitiiiiuMu qualità si trovava nella co-' lonna. Boccadifuoco (declamando) — Signor Presidente, io vengo da milleseicento chilometri, dalla Sicilia, per gettar luce su questa vicenda... Presidente — Esponga solo fatti concreti e precisi. Boccadifuoco (interdetto ma riprendendo sullo stesso tono) — Eccellenza, questo processo non è quello storico che noi aspettiamo da tanti anniPresidente (mite) — Bé, questo è quello nostro. Veniamo al fatti. Boccadifuoco — Eccellenza, ero agente del servizio segreto addetto all'eccellenza Zerbino che mi incaricò di tornare indietro a prender contatti coll'eminenza Schuster. Chiese di venire con me nella difficile missione il ten. Pallottelli ed io accolsi la di lui istanza. Partimmo all'indietro ma, purtroppo, l'indicazione di un-traditore ci fece prendere la strada sbagliata facendoci finire in quel di Garbagnano dove fummo catturati e bastonati e ci furono rubate le valige dell'eccellenza Zerbino e dell'eccellenza Mezzasoma. Presidente — Cosa c'era nelle valige? Boccadifuoco — Non so esattamente. Forse danaro, certo documenti scritti anche in lingua a me inaccessibile. A questo punto però, sento il dovere Imprescrittibile di accertare un particolare d'eccezionale importanza storica. E' falso ohe le eccellenze e i ministri si siano arrese ai partigiani: esse si sono consegnate al parroco di Musso. Invece di sorpresa e stupore, secondo quanto evidentemente si aspettava il teste che rotea attorno gli occhi, si diffonde nell'aula un'ondata d'ilarità. Boccadifuoco — Portato a Dongo, trovai finalmente un perfetto gentiluomo nella persona del conte Pier Bellini Delle Stelle: mi fu restituita la borsa delle sterline anche se vuota o quasi. Il teste non ha più niente da dire, ma vuol concludere in bellezza con un'informazione degna dell'agente segreto che egli è o era. Boccadifuoco (in tono tra¬ niiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiitiiiiiiiuiitiiiuiiiiiiiiiiiini gico) — Sento il dovere di fare una dichiarazione confidenziale nell'interesse dell'eccellentissimo Procuratore Generale: ieri, mentre sedevo fuori con gli altri testi, una signora molto elegante, credendo partigiani me e i miei amici, è venuta a parlarci male dell'illustrissimo Procuratore Generale insinuando che non dovrebbe essere al suo posto. Avv. Zeboli (difesa) — E invece noi siamo ben lieti che ci sia. Avv. Luzzani — Quella signora è una nota squilibrata che ha avvicinato tutti noi. Boccadifuoco questa volta è proprio costretto ad uscire di scena: vuol finire in bellezza e, mentre lascia il posto dei testimoni, butta là, con aria truce: «Ho visto i partigiani sgozzare i fascisti come capretti». Ma dato il tono generale della deposizione, nemmeno questa battuta riesce a sollevare una qualsiasi protesta. Un incidente, invece, era sorto all'inizio dell'udienza, quando il Carradori aveva accennato a « quei signori », forse alludendo ai partigiani, ma il Presidente aveva subito sedato il battibecco interpretando l'espressione in riferimento agli imputati e richiamando comunque il teste. Questi che abbiamo sentito oggi, sono solo la modesta avanguardia dei trecento e più testimoni che da martedì prossimo verranno a deporre a! ritmo di una ventina al giorno. Fra gli imputati vedremo forse comparire a Padova uno dei tre resisi sinora Irreperibili: quel Siro Rosi, « Lino », accusato d'essersi Impadronito della maggior parte delle ingenti ricchezze che la signora Romano Mittag tentò invano di trafugare in Svizzera. L'avv. on. Resini ha chiesto infatti, stamane, la revoca del mandato di cattura contro il suo cliente (« provvedimento assurdo — ha detto — in un processo che vede a piede libero degli imputati per omicidio»); il Procuratore Generale si è dichiarato d'accordo e la Corte, dopo essersi brevemente ritirata in camera di consiglio, ha accolto l'istanza. Giovanni Giovannini iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiii li teste Rosario Boccadifuoco Urbano Lazzaro « Bill » (a destra) signora Luzzani (Tel.)