E' ritornata all'antica bellezza la reggia fastosa di Capodimonte di Marziano Bernardi

E' ritornata all'antica bellezza la reggia fastosa di Capodimonte Un capolavoro unico deità natura, e dell'arte E' ritornata all'antica bellezza la reggia fastosa di Capodimonte Carlo di Borbone volle che rivaleggiasse con Versailles, per il palazzo ed il parco; in più ha la vista incomparabile del Golfo - Ora vi sono stati raccolti i quadri della Pinacoteca di Napoli ed arazzi, armi, porcellane - Gronchi inaugura domani i nuovi musei (Dal nostro inviato speciale) Napoli, 3 maggio. Forse s'è ecceduto el dir male del Borboni di . Napoli; la storia ne salva almeno qualcuno, e qui a Capodimonte, oggi che la reggia è rifatta splendida quale non era più stata — da Vittorio Emanuele II ai Duchi d'Aosta — dopo i tempi loro, l'ombra di re Carlo, primo sovrano delle Due Sicilie e poi successore di Ferdinando VI sul trono di Spagna, può vagare placata e soddisfatta fra i capolavori raccolti nelle sale e il parco immenso cinto dal bosco che incorona quell'altro capolavoro, umano e naturale, di Napoli sterminata, distesa come la bionda Danae di Tiziano al centro del sublime arco del Golfo. Perché proprio adesso, trascorsi duecent'anni, s'è tornati alla primitiva idea di re Carlo: creare su quest'altura favolosa la reggia-museo che domenica il Presidente della Repubblica solennemente inaugurerà; un'idea ben degna delle visioni grandiose del monarca che al Vanvltelli chiese la creazione d'una città nuova da emulare Versailles nella piana sotto Caserta Vecchia, con un palazzo di milleduecento stanze. E propugnatore e regista della grande impresa che ora ha dato a Napoli un museo senza rivale al mondo per l'affascinante unione di tanti tesori artistici con una bellezza paesistica incomparabile, è stato il soprintendente alle Gallerie della Campania, Bruno Molajoli. Cordiale ed elegante, con degli occhi grigiazzurri che gli ridono maliziosamente nel volto aperto e decfso, non occorre che manifesti, come all'occorrenza sa fare, la sua cultura vasta ed agile: poche parole, una battuta spiritosa, un'allusione mordace, bastano a rivelare in lui, pur nell'affaccendamento d'una vigilia tanto impegnativa, prontezza di decisione, ampia concezione del lavoro, attività instancabile ma serena ed ordinata, gusto raffinato e indipendente da ogni schema o dottrina «di moda», larghezza di mente, signorilità spirituale sicura di sé, e soprattutto conoscenza perfetta d'ogni problema museograflco e capacità di risolverlo con pratica semplice Non meno di queste qualità ci voleva per dar vita elio stupendo complesso museale che da dopodomani sarà offerto a milioni (che l'afflusso entusiastico non potrà certo mancare) di visitatori italiani e stranieri; e poiché quando si parla di opere insigni, sia malignità o invidia o tiascuranza, di solito si sorvea sulle doti degli uomini che si prodigarono ad attuarle, diciamo ben chiaro che quelle di Mo lajoli e de; suoi valenti collaboratori, dall'architetto Ezio de Felice a Ferdinando Bologna e Raffaello Causa, della Soprintendenza alle Gallerie napoletane, sono ammirevoli. E la spesa di sistemazione relativamente alla grandiosità dei risultati, sorprende per la sua modestia: seicento milioni. Altra prova che molto si può fare anche con limitati mezzi quando l'intelligenza si allea con la praticità, le idee son limpide, e la vanità di predominare con allestimenti inutilmente estrosi sulle opere da esporre (vedi certi particolari nel nuovo ordinamento del museo del Castello Sforzesco a Milano) sa mettersi in disparte. Certamente non sono cam biàti dal 1950, allorché fu stu diato il progetto generale di trasformazione e riadattamen to, né il solenne impianto del palazzo, né l'azzurro di Napo li, né la straordinaria prospettiva aerea che si protende fino a Capo Miseno, né questa aria balsamica che consentiva all'ottantenne duchessa d'Aosta di respirare con un polmone solo come una giovinetta, né questo parco meraviglioso che porta a tre chilometri da piazza San Ferdinando la pace ed il mistero della profonda foresta: il bosco che ora, finalmente assicurato nella sua integrità da assurdi propositi di manomissioni e snaturamento, potrà essere immesso nel godimento vivo della grande città come un Bois de Boulogne, una Villa Borghese o un Prater, ricuperato amorosamente a Partenope come quegli altri boschi che rendevano incantevoli i dintorni di Ercolano, « inter duos fluvios », prima dell'eruzione fatale. Però tutti ricordano cos'era Capodimonte sei anni fa: una raccolta di pitture e sculture non eccelse, in prevalenza ottocentesche un insigne museo di porcellane e biscuits della vecchia fabbrica locale, di Sèvres, di Meissen, unito alla collezione farnesiana d'armi antiche, e infine una dimora già regale al quanto decaduta. La grande innovazione è stata il trasporto sul colle, in quarantaquattro adattate sale al secondo piano della reggia, della Pinacoteca già nel Museo Nazionale di Napoli, il nucleo della quale provenne dal Farnese di Parma e di Roma, e per la cui collocazione, appunto, re Carlo aveva ideato il palazzo di Capodimonte. Ma per far ciò, per ospitare nella più perfetta sistemazione museologica immaginabile Simone Martini e Masaccio, Mantegna e Bellini, Botticelli e il Pinturicchio, Tiziano e Lotto, il Correggio (oltre La Zingarella e il S. Antonio, un ritrovamento d'oggi nel depositi) e Raffaello, Velasquez e 11 Greco, Bruegel e Van Dyck, Bruno Molajoli, dopo una minuziosa visita ai più moderni musei d'Europa e d'America, è r'iorso a mezzi tecnici eccezionali che purtroppo lo spazio ci vieta d'illustrare. Girava ieri per la galleria un uomo che se n'intende, Roberto Longhi, e diceva stupefatto: « Mai visto nulla di simile. Non un solo quadro che abbia una minima zona d'ombra». Ma se a Capodimonte già corre un suggestivo slogan: «Tre musei in uno» perché su uno sviluppo di cento sale sopra c'è la Pinacoteca che termina, nientemeno, con Goya, e, sotto, la Galleria dell'Ottocento, e, suddiviso nelle magnifiche sale regali, 11 vero e proprio «museo» con gli arazzi, le porcellane (tutto in porcellana di Capodimonte il delizioso salottino della regina Maria Amalia, completato della parte ch'era rimasta a portici e ripristinato dai danni di guerra), l'armeria farnesiana, le collezioni dei bronzi, degli smalti, degli avori, dei mobili squisiti, e tutto ciò incanterà il pubblico; l'esperto nota il gusto indipendente del Molajoli che s'è ribellato all'attuale tendenza « purista » di fare dei musei altrettanti gabinetti scientifici per studiosi specialisti, i quali vogliono l'opera d'arte, antistoricamente, sulla tavola anatomica, é ira l'altro scorniciano con pretesi! vari 1 quadri -che furon « pensati » come stupendi arredi e quindi chiusi nelle loro cornici. Egli coraggiosamente ha voluto far risaltare a mo' di gemme su stoffe 1 pezzi più straordinari, dalla Trasfigurazione del Bellini ai nove Tiziano. E gran lode gli va data. Però qual cornice, per tutte queste meraviglie, più meravigliosa della natura che le circonda? Vista metà della Pinacoteca, si sale al belvedere creato sul sommo del palazzo per il riposo del visitatore. E Napoli di lassù, vecchia Ninon ellenica che resiste persino al selvaggio frastuono delle auto impazzite scatenate dal sindaco Lauro, ancora una volta ti prende e ti strugge, e ti consegna muto al logoro adagio. Marziano Bernardi