Gassman e l'Oreste

Gassman e l'Oreste Gassman e l'Oreste Asti, 3 maggio. I BH successo di Vittorio Gass- sman interprete dell'Orette qui 1ad Asti, ha un senso preciso, rdimostra ancora una volta che >le tragedie dell'Alfieri sono rappresentabilissime, e che a rivelarne la pienezza teatrale un solo modo serve. Le tragedie dell'Alfieri sono soprattutto un grande linguaggio, un altissimo stile, aspre contorte involute, e tuttavia balenanti, e colme di una violenza che erompe, tremenda. Molti credono che quello stile, quel linguaggio rettorico e desueto non si addicano più alle nostre orecchie, e che quella letteratura ispida non possa salire sul palcoscenico che edulcorata, o dissimulata in moderni preziosismi e artifici. E' vero il contrario: la tragedia alfieriana va affrontata nel suo estremo rigore, qual è; bisogna dire quei versi come furono scritti, coraggiosamente; bisogna capire che soltanto da quei versi, da quelle parole pronunciate con assoluta precisione prosodica, scaturisce l'agitazione, il grido che si espande e riecheggia, il tumulto delle sfrenate passioni alfieriane. Prima dello spettacolo, nel pomeriggio di ieri giovedì, Gassman parlò dell'Alfieri e del modo di intenderlo e rappresentarlo. E disse cose molto assennate e intelligenti, e appunto questo disse, che l'attore deve aderire totalmente al testo, frastagliato e irto, ripeterne e propagarne il suono con arditezza e slancio, e pur con accorto dominio di quei ritmi scoscesi, dei veloci trapassi che in poche battute esaltano i più vari e contrastanti e dirompenti stati d'animo. E noi, ascoltando, ammiravamo il gusto letterario vivace e fiducioso dell'attore che andava così cercando, sotto i fulgori della ribalta, il nodo profondo e drammatico di un poeta. E altro aggiunse: ossia, che l'atmosfera alfieriana si fa a tratti così densa e soffocante da diventare . irrespirabile, che vi è nell'Alfieri, e nell'Orette tipicamente, una tensione così fonda, così disperata, diciamo così assurda e impossibile confronti dell'umano, che sarebbe intollerabile se l'attore, giunto a quell'apice di densità psicologica, eroica e sanguinosa, non sapesse scoprire quelle zone di tenerezza, di soavità, che pur tra i clamori, Alfieri propone. E venne poi lo spettacolo, in questo bel teatro « littorio Alfieri », e la commozione incominciò a salire dal cuore degli spettatori, e' l'orrore il terrore l'angoscia già stringevano da vicino tutti noi, quando, al culmine dell'affanno, ecco innalzarsi e splendere ed effondersi, come un vasto lago di improvvisa pace, d'affetto dolente, di tragica dolcezza, l'incontro ai Oreste e di Elettra. Fu davvero scena bellissima e il pubblico per quel brivido d'amore, per quel soffio di purezza, mal trattenne le lacrime e proruppe in un'ovazione che non dimenticheremo. E fu questo il punto nel quale Gassman, avendo raggiunto il momento dell'elegia, della poesia pura fra il fragore dei delitti, dimostrò di aver ragione, di aver portato l'Alfieri al suo giusto respiro. Nella conferenza egli aveva anche detto che così, con quest'impeto e questa sensibilità a) testo ed al suo ben modulato fraseggio, dovevano recitare i nostri grandi attori dell'Ottocento. Certamente; e Gassman atteggiò il suo personaggio a un che di romantico, furente e languente, con subitanei pallori e smemoratezze e nobili fantasie di gesto, facendo trasparire nel sanguinario Oreste l'ombra svanente di un Amleto <t senza più dubbi a, com'egli nella conferenza aveva detto. Ma soprattutto Gassman liberò la sua voce, squillante e potente, a tutta la gamma dell'eloquenza alfieriana, dai toni più bassi ai sublimi, dal sommesso sussurro all'urlo, senza paura di forzare la parte, di sembrare un « gigione », ma anzi scatenando e rinsaldando via via e orchestrando quello che chiameremo il canto di Oreste. Perché questo avvenne, che quando i suoi compagni furono pari e concordi alle sue tonalità, quando la dizione di tutti si fuse in un vivo concerto, e le posizioni stesse degli attori, le loro mosse sospettose, irose, minacciami, imploranti disegnavano sempre più sciolta e sempre più avviluppata la figura scenica dell'imminente catastrofe, avvenne che lo spettacolo si apparentò fulgidamente al melodramma italiano ottocentesco, a quella grande gloria scenica. Sicché anche in questo senso la rappresentazione fu feliet: indicando e caratterizzando la profonda, la segreta unità dell'antico istinto teatrale degli italiani. Abbiamo cercato di definire un modo di interpretare l'Alfieri che ci è parso ottimo, l'unico veramente valido. Recitarono con Gassman, Elena Zaroschi, ch'era Elettra, ed Edmonda Aldini, il Feliciani, il sitbzlprloEf Bosetti. Le loro vesti neo-clas siche, che avevano' qualcosa dei 1Q stile « impero » e alcunché di romantico, e che soprattutto sintetizzavano gustosamente le immagini delle nòstre grandi tragiche di un tempo, le vesti ben si intonavano all'interpretazione. E la Zareschi fu eccellente atuice, fronteggiando l'impeto di Gassman con una fierezza e una soavità così ben temprate, così patetiche, da suscitare la passione e la pietà del pubblico. E tutti insieme si conqu.o^arono il successo, e quando Oreste rapito dalla follia se ne va verso un ignoto orizzonte, scortato dalla pietà di Elettra e di Pilade, e la tragedia si chiude su tanto dolore, fragorosi applausi proruppero, come già le cronache hanno detto, a sfogo della commozione. E si capì come sia proprio della poesia tragica, pur nei limiti brevi del palcoscenico, questo sconfinare ultimo, questo trasalire: l'uomo che si inoltra nel misterioso destino, e chiede a Dio o al fato la risposta suprema al lungo, efferato patire, al pianto e al delirio senza perché. Francesco Beruardelli uiilìii|iiiiiiiiiniliiiiiiimiiiiiiiiiiiiii iiiim