Unità e divisione della classe operaia di Luigi Salvatorelli

Unità e divisione della classe operaia Unità e divisione della classe operaia Non saprei dire con quale animo la classe lavoratrice italiana celebrerà quest'anno il primo Maggio. Codeste « coscienze collettive » hanno sempre qualcosa di astratto, e di empirico allo stesso tempo, difficilmente determinabile. Rimane tuttavia permesso formulare qualche cauta congettura sullo stato d'animo della parte più evoluta e cosciente del proletariato, quella che partecipa, non solo passivamente è saltuariamente, alla vita delle organizzazioni sindacali, e si alimenta precipuamente dal concorso degli operai qualificati. Così restringendo il quesito, noi pensiamo che, come festa del sindacalismo operaio italiano, il primo Maggio quest'anno non dovrebbe riuscire troppo allegro. La scissione sindacale avvenuta, dopo il triennio di sindacato unico, nella seconda metà del 1948 non solo sussiste sempre, ma si è approfondita e invelenita. In una serie non breve di agitazioni sindacali, le nuove organizzazioni scissioniste hanno collaborato con la vecchia, rimasta in linea di principio unitaria, di fatto socialcomunista, o meglio ancora comunista con appendice socialista. Potè quindi sembrare per qualche tempo che la scissione non avesse portato danno essenziale alla « resistenza» operaia. Ma su codesta cooperazione ha preso il sopravvento la rivalità e il contrasto, specialmente nelle nomine delle commissioni interne di fabbrica: nomine da cui è risultata una forte diminuzione della C.G.I.L., un avvio alla conquista della maggioranza da parte dei sindacati liberi (C.I.S.L.), notoriamente a prevalenza democristiana, e una ascensione notevole della U.I.L. (Unione Italiana del Lavoro) repubblicano - socialdemocratica. Si può parlare ormai anche di una rivalità, più in sordina fra C.LS.L. e U.I.L. Di codesta scissione, e delle lotte operaie interne conseguenti, la' prima causa risale alla politicizzazione di base del sindacato unico, istituito illogicamente (sotto la pressione immediata delle circostanze eccezionali) con la rappresentanza diretta, esplicita dei partiti nella direzione. Questa anomalia iniziale venne subito sfruttata e accresciuta dalla preponderanza assunta dai comunisti, e dalla « unità d'azione » funestamente perpetuata fra questi e i socialisti riul P.S.I.U.P., e poi del P.S.I. La pervicace politica comunista di opposizione corrosiva all'interno, in stretta dipendenza da Mosca, e l'assurda (perché a proprio danno) soggezione al P.C.I. da parte del P.S.I. ebbero ripercussione disastrosa in seno al movimento sindacale. Deve onestamente riconoscersi che supremi dirigenti sindacali come il Di Vittorio hanno fatto quel che potevano per ridurre gli effetti di codeste ripercussioni; ma essi non potevano risolvere la quadratura del circolo, di mantenersi sindacalmente indipendenti mentre erano prigionieri di un partito comunista di modello sovietico, e cioè prettamente negativo (come ben si vede in U.R.S.S. e nei Paesi satelliti) di qualsiasi autonomia operaia. Che, in simili circostanze, il confessionalismo cattolico abbia agito come propulsore, consolidatore e profittatore della scissione, può considerarsi come un fatto storico acquisito; ma codesta azione, logica dal punto di vista di quel confessionalismo, si è potuta svolgere con efficacia decisiva grafie al preesistente quadro socialcomunista. Così pure, era marxisticamente ovvio che della scissione sindacale operaia avrebbe cercato di trar vantaggio al possibile, insinuandosi nel gioco, l'opposto sindacalismo dei datori di lavoro. * * Con quale acutezza si sia posta ormai, all'interno della stessa C.G.I.L., l'esigenza di por fine alla dominazione comunista, è stato mostrato dall'esodo di taluni membri della C.G.I.L. appartenenti al P.S.I., passati ad altra organizzazione sindacale. Niente di più significativo, a caratterizzare lo spirito dominante nella nuova direzione del P.S.I., del fatto che codesti sindacalisti socialisti siano stati espulsi immediatamente dal loro partito. Se i filocomunisti del P.S.I. si fossero prefissi di giustificare in anticipo non soltanto la sostanza delle condizioni poste poco dopo dalla direzione del P.S.D.I. al P.S.I. per l'unificazione, ma anche la forma ultimativa di esse, non avrebbero potuto far meglio. E, anzi, è legittimo pensare che i più veri promotori del provvedimento abbiano agito con perfetta cosciènza e ben deliberata volontà di scavare il fosso fra P.S.I. e P.S.D.I., facendo contemporaneamente al P.C.I. una imploratrice genuflessione. Ma non è soltanto alla causa dell'unificazione socialista che quel provvedimento ha portato un colpo grave; altrettanto deve dirsi per quel movimento verso il ripristino dell'unità sindacale che si andava delineando. Ci si può domandare se la ripresa unificatrice non debba avvenire in questo secondo campo prima ancora che nel primo. La C.G.I.L. rimane ancora oggi la posizione più forte per la dittatura comunista gravante su tanta parte del proletariato italiano, a danno suo non meno che della Nazione. Sperare in un rinnovamento interno del P.C.I., è, presso a poco, cercar la luna nel pozzo. Né d'altra parte, è da contare sullo sgretolamento di questo, che — a. parte ogni previsione positiva o negativa in proposito (noi saremmo piuttosto per la seconda) — non risanerebbe affatto, da solo, la situazione. I lavoratori organizzati e non organizzati sono forzatamente indotti (soprattutto al momento delle elezioni) a domandarsi chi sostituirà per certi loro interessi il P.C.I., e chi sostituirà la C.G.I.L., quando l'uno e l'altra fossero in liquidazione. La risposta rassicurante non può venire che da un partito socialista autenticamente democratico e da un sindacato unitario autenticamente libero. I due postulati sono strettamente congiunti; ma debbono anche rimanere nettamente distinti. Niente di più antiquato, di più errato, di più dannoso per il proletariato e per il Paese di confondere unità sindacale operaia e unità politica dei cittadini lavoratori. Oggi che questi sono entrati in pieno nella vita della Nazione e dello Stato, una unità politica, e cioè partitica, della classe lavoratrice è un assurdo altrettanto grande quanto l'unità politica dei cattolici. Nel caso operaio, i tentativi di realizzare codesto assurdo hanno un solo sbocco possibile: la dittatura totalitaria del comunismo stalinista, con la soltanto parziale e forse precaria eccezione della Polonia. Di qui la ragione massima a favore del Sindacato unitario libero, veramente indipendente da tutti i partiti politici, a incominciare dal comunista e dal democristiano. Luigi Salvatorelli

Persone citate: Potè

Luoghi citati: Mosca, Polonia, U.r.s.s.