Alla scomparsa dell'oro dei gerarchi seguì una tragica catena di omicidi di Giovanni Giovannini

Alla scomparsa dell'oro dei gerarchi seguì una tragica catena di omicidi DA LUNEDI' ALLE ASSISE DI PADOVA RIVIVE LA STORICA VICENDA DI DONGO Alla scomparsa dell'oro dei gerarchi seguì una tragica catena di omicidi Esattamente 12 anni fa la "colonna Mussolini,, in fuga veniva fermata dai partigiani Incerta l'entità e anche la destinazione del tesoro sequestrato - La misteriosa fine di "Neri,, e "Gianna,, forse gettati nelle acque del lago - 36 imputati e 300 testimoni (Dal nostro inviato speciale) Padova, 26 aprile. Esattamente dodici anni addietro, il 27 aprile 1945, sulla litoranea occidentale del Lago di Como, un pugno di partigiani bloccava fra Musso e Dongo un'imponente colonna di automezzi carichi di trecento armati • tedeschi e rt! lini/, ottantina di fascisti, li Mt mava quasi senza colpo ferire, catturava tutti 1 ministri repubblichini in fuga disperata e, nascosto sotto un cappotto nazista, il c duce ». Mussolini, l'infelice Claretta Petacci, i gerarchi finivano nel modo e nelle circostanze che tutti sanno (anche se molti particolari siano storicamente ancora da accertare). Alla loro trista mèta, questi uomini responsabili di infiniti lutti d'Italia, erari giunti non con le armi in pugno pronti a morire combattendo secondo i torbidi miti da essi per tanti anni predicati, ma carichi di ricchezze che in caso di salvezza avrebbero permesso loro di sopravvivere da na- n a o e l a — n - babbi al dolore, alla miseria, alla morte di coloro che essi avevano condotto all'ultimo disastro. Al momento della cattura — secondo quanto riferì un funzionario addetto alla persona di Mussolini — 18. milioni di lire di allora aveva addosso il ministro repubblichino degli interni Zerbino; 15, il ministro della cultura popolare Mezzasoma; 12, il ministro dei lavori pubblici Romano; 15, il ministro delle comunicazioni Livcrani; e cosi via tutti gli altri gerarchi. Insieme a tali valori eprivati » c'erano sulla colonna ingenti fondi pubblici del governo repubblichino: ricchezze tutte che venivano dal popolo italiano (particolare ignobile, i sacchetti pieni degli anelli donati dalle madri) e che al Paese risorto dovevano tornare. Miliardi e miliardi parvero invece d'improvviso liquefarsi misteriosamente fra le mani di pochi uomini e dì una fazione; e le uniche tracce furono, a dire di molti, quelle del sangue di coloro che sarebbero stati assassinati « perché sapevano e intendevano parlare ». Troppi 1 miliardi, però, e troppi i morti perché potesse esser mantenuto il silenzio su una slmile vicenda; già nel '45, per iniziativa di parenti delle vittime, di uomini politici, di ex partigiani, la lenta macchina della giustizia veniva sollecitata a mettersi in movi mento: prima la magistratura ordinaria, poi quella militare che col gen. Zingales comincerà a far luce attraverso mille difficoltà, poi ancora la sezione istruttoria della Corte d'Appello milanese. Ottobre '49 sentenza di rinvio a giudizio di noti dirigenti comunisti come Dante Gorrerì — tratto clamorosamente in arresto mentre era segretario della Camera del Lavoro di Parma — e Pietro Vergani — esponente lombardo — per concor so in omicidio aggravato insieme ad un'altra ventina di persone accusate di una serie di reati che vanno dall'omicidio alla ricettazione, dalla malversazione al furto. Il processo sembrava imminente ma proprio l'annuncio del rinvio a giudizio Infrangeva molte omertà, faceva' svanire paure, affiorare nuovi elementi di prova tali da giustificare un supplemento d'istruttoria. La nuova sentenza veniva emessa, sempre dalla sezione della Corte d'Appello .di Milano, il 12 dicembre 1952: nel confermare e completare la precedente, essa aumentava il numero delle persone rinviate a giudizio (36). Pochi mesi dopo però, il 7 giugno 1953, il partito comunista faceva eleggere alla Camera uno dei principali imputati, il Dante Gorreri: fu necessario chiedere e ottenere l'autorizzazione a procedere. Questa, In termini estremamente sommari, la risposta alla domanda sui motivi di tanto ritardo nel giudizio del la magistratura. E' infatti dopo dodici anni esatti che lunedì la Corte d'Assise di Padova (Pres. dott. Augusto Zen giudice a latere dott. Italo Ingrasci, procur. gen. dott. José Schivo) inizierà il processo per « l'oro di Dongo ». Un processo-fiume: trentasei impu tati, trecento testimoni, cin quanta avvocati, settimane < forse mesi di dibattiti. Inutile dire quanto sia arduo il compito che attende i giudici di Padova. La stessa entità del «tesoro* è oggi di problematica valutazione: lo si riconosce esplicitamente nelle dqsblgurmg due sentenze istruttorie nelle quali però l'elenco dei valori icuramente o probabilmente a bordo della « colonna Mussoini » occupa pagine e pagine giustificando l'impressione di un valore complessivo di paecchi miliardi di oggi. Abbiamo detto delle cifre che i vari gerarchi avevano addosso al momento della cattura; rinuniando ad un'elencazione completa, citeremo soltanto il Fondo riservato della Repubblica» affidato al segretario di Mussolini, Gatti: 66 kg. di oro, 1150 (o 2150) sterline oro, 147.000 franchi svizzeri, 16 miioni di franchi francesi, 10.000 pesetas, una valigia piena di dollari, scudos portoghesi e alra valuta In carta. Il giorno dopo la cattura dei gerarchi, i partigiani avevano ammassato il tesoro nella sala del Comune di Dongo e ne avevano steso un "inventario, presenti oltre ad una dattilografa solo cinque persone, cinque protagonisti della vicenda: il conte Pier Bellini delle Stelle < Fedro » comandante la brigata che aveva proceduto alla cattura, il suo capo di stato maggiore rag. Luigi Canali «Neri», il suo.commissario poitico Michele Moretti «Gatti», l commissario politico dì zona Pietro Terzi «Francesco», la staffetta — e amica del «Neri» — Giuseppina Tuissi «Gianna». Tutti e cinque confermarono sempre l'esistenza dell'inventario che però durante anni e anni di indagini non fu mai trovato Solo all'ultimo momento prima della sentenza istruttoria, il foglio fu presentato dalla difesa: vi si elencavano solo 76.000 franchi svizzeri, 99 sterline, 72.050 lire in assegni, 1 milione e 357.700 lire in banconote. I giudici istruttori però senza contestare la autenticità del documento e pur ammettendo che parte del tesoro nella confusione di quelle ore fosse finita in mano ad altri, ne definirono le indicazioni « in manifesto contrasto » con quanto dichiarato da molti testi. Incerta quindi l'entità, incerta anche la destinazione del tesoro. Insieme all'elenco, i cinque firmarono una dichiarazione in cui si stabiliva di consegnare tutto al partito comunista che era stato il finanziatore della lotta partigiana. A questo punto, però, i cinque si dividono: scomparsi « Neri » e « Gianna >, Bellini delle Stelle sostiene che cconsegnare» significava «affidare il tesoro al partito comunista perché provvedesse lui a rimetterlo ai legittimi rappresentanti dello Stato italiano»; esattamente il contrario, sostengono il Moretti e 11 Terzi. « Sta di fatto che — si afferma' nella sentenza di rinvio a giudizio — le cose e i valori inventariati a Dongo sono stati a più riprese portati alla Casa del Popolo sede del partito comunista a Como. Il 29 aprile, con un'autovettura guidata da Maderna Carlo, autista che in quei giorni sì era prodigato al servizio dei partigiani guadagnandosi 11 nomignolo di «Carietto Scassamacchine», vennero trasportate a Como cinque o sei valigie particolarmente pesanti... che furono scaricate e consegnate a Gorreri Dante « Guglielmo », segretario di quella federazione comunista >. Tre delle valigie, stando a confidenze della « Gianna > al Maderna, contenevano intorno ai quattrocento milioni di lire. «Altri viaggi — dice la sentenza — vennero poi ancora fatti per la consegna ulteriore di altre valigie da Dongo alla slessa sede della Casa del Popolo di Como ». Lasciamo il tema dell'oro scomparso per sempre, e veniamo a quello tragico del sangue, all'assassinio di due delle cinque persone che avevano assistito all'inventario di Dongo e alla spedizione a Como: Luigi Canali «Neri» e la sua amica Giuseppina Tuissi « Gianna ». « Neri » scompare dieci giorni dopo l'oro e il suo corpo non verrà più trovato: ucciso, secondo i più, per la sua intenzione di denunciare lo storno del tesoro o, secondo quanto prospetta la sen tenza, per antichi odi nutriti contro di lui dal dirigente comunista lombardo Pietro Vergani. E' il Vergani comunque ad esser rinviato a giudizio iblsszrmclGnqcntp«pieMacdaprlsitlDagvucelntdttapv 1 . a e i . a l o l e i a i e o : a e i e o insieme a certo Dionisio Gambaruti da Vigliano d'Asti « per l'omicidio del Neri, in concorso fra loro, con altri rimasti sconosciuti e con premeditazione ». Quando il «Neri» scompare, « Gianna » che ne è innamorata, inizia disperate ricerche a Dongo, a Como, a Milano; va da Vergani, va dal Gorreri; riceve diffide, ammonimenti, minacce; ma anche quando si rende conto o sa che l'amante è stato ucciso, non si dà vinta, vuol riabilitarlo, riaverne almeno li corpo. Il 23 giugno 1945, anche « Gianna » scompare per sempre: di questo delitto sono ora imputati l'on. Dante Gorreri e il Vergani insieme a certo Maurizio Bernasconi: « per avere in concorso fra loro e con premeditazione, d'ordine del Vergani e del Gorreri, per assicurare a sé e ad altri il profitto e l'impunità per altro reato (omicidio di Luigi Canali) cagionato la morte di Tuissi Giuseppina...; per averne in dette c.rcostanze... occultato il cadavere gettandolo nel lago >. Tragiche acque del Lario. Dodici giorni dopo, il 6 luglio, affiora il cadavere di un'altra giovane donna: due colpi di rivoltella, alla nuca, tracce di ustioni al volto e di sevizie nel corpo, morta per annegamento e quindi gettata ancor viva nel lago. E' Anna Maria Bianchi, nota come amica e confidente della « Gianna ». Il padre della Bianchi, Michele, furente d'ira e di dolore, corre per tutto il giorno da un'autorità all'altra, da un caporione all'altro: «Se i morti non parlan più — urla — parleranno i vivi, 1 nomi li ho qui sulla bocca! ». Una bocca che non si aprirà: la stessa notte, sempre vicino a Pizzo di Cernobbio, anch'egli sarà trovato morto, ucciso con i soliti due colpì alla nuca. Anche dell'uccisione della ragazza è imputato l'on. Gorreri, questa volta con certi Natale Negri e Pasquali Ennio: < per avere il primo — citiamo ancora la sentenza di rinvio a giudizio — fra il 4 e il 5 luglio con premeditazione determinato gli altri due a cagionare mediante colpi di arma da fuoco al capo la morte di Bianchi Anna gettandola poi nel lago di Como». Per l'assassinio di Michele Bianchi non è stato possibile concretare un capo d'accusa contro nes;:'ino.. E così pure per altri misteriosi omicidi forse collegati alla stessa vicenda e di cui si tratta nella sentenza: quelli dei partigiani Giuseppe Frangi « Lino » e Lina Chiappo «Dina». Un altro omicidio — del ten. col. fascista Salvatore Di Domenico — viene infine dalla sentenza istruttoria riconosciuto atto di guerra mentre per un ultimo — del cap. Veronelli — viene ammessa l'insufficienza di prove. L'elenco degli omicidi forse collegati alla vicenda dell'oro di Dongo potrebbe continuare oltre quello . della sentenza istruttoria, fino all'assassinio del commissario di P. S. Amilcare Salemi che sì era occupato a lungo della scomparsa dei valori prima di esser trasferito a Savona dove fu ucciso da ignoti con un colpo di rivoltella munita di silenziatore mentre cenava in un noto ristorante. In particolare, dobbiamo ricordare che al processo per l'omicidio di Franco Agazio — giornalista che svolgeva un'inchiesta sul tesoro -rfu assolto per insufficienza di prove certo Dionisio Gambaruti: lo stesso che oggi è imputato, insieme a Pietro Vergani, dell'omicidio del « Neri ». La scomparsa dell'oro e la misteriosa catena di delitti: ecco i due temi principali del processo di Padova. Attraverso l'accertamento delle responsabilità, la rievocazione dei luoghi e del momenti cruciali in cui le vicende si svolsero, le deposizioni dei maggiori capi partigiani e politici e dei parenti dei gerarchi a cominciare dai Mussolini, il lungo dibattito non potrà non. assumere proporzioni e rivestire un interesse più ampio dei fatti contestati. Servendo la giustizia, il processo di Padova servirà anche la storia. Giovanni Giovannini