Realtà nella pittura di Marziano Bernardi

Realtà nella pittura Realtà nella pittura Uno degli argomenti più gros- diohni, dei motivi polemici più iriattamente comuni usati fino al- se noia dai nemici della realtà maturale presa a soggetto pittoco, è che un simil genere di appresentazione — figura umaa, paesaggio, animali, oggetti, mbienti — appare ormai estetiamente inutile perché da oltre n secolo -i fotografia ne ha ato un'equivalenza con mezzi i gran lunga più efficaci, ai uali adesso si è aggiunto un uasi-perfetto colore. A che prò, affermano costoo, insistere su temi che sono un uplicato del mondo visibile, uando, un'ingegnosa macchi etta ci procura un risultato en altrimenti preciso? Benediiamo anzi lo strumento che ci ha finalmente liberati dall'antica chiavitù del modello « esterno », ercato e studiato nella natura, Quel modello dalle cui forme oggettive innumerevoli artisti del passato — tipi ingenui dai Van Eyck al Caravaggio — si forzavano di non discostarsi pur trasfigurandole nella loro ensibilità poetica; e sul cui rapporto di più o meno riuscita « imitazione », altrettanto ingenui trattatisti e storici e critici — dal Cennini al Vasari — baavano il loro giudizio, di lòde o di biasimo. Finito l'umiliante ervaggio, il pittore può adesso ibrarsi nelle sfere dell'alta fan tasia, inventare le forme nuove, assolute, adatte ai favolosi « contenuti» indicati dai Kandinsky, dai Klee, dai Mondrian; e l'arte astratta rivelarsi capace — come fu scritto — di « ridare una potenza ai miti ». Ne viene che oggi l'aggettivo « fotografico » è il più spregiativo da attribuire a un quadro; e che alla gente così detta « di gusto » basta scorgere in una pittura uno scoperto impegno di verisimiglianza per esclamare con fastidio: «Pare una fotografia»; dimenticando che, a parte l'interpretazione artistica di quel <t vero », gli stessi caratteri d'impeccabile aderenza alla realtà naturale sono nei Vermeer e nei De Hooch che tanto ammira. Che più? Proprio la fotografia ha fatto perder di vista alla ritrattistica il suo scopo originario: fornire con la pittura le esatte fattezze di un volto, inconfondibile con qualsiasi altro volto. « Se vuole un ritratto somigliante vada dal fotografo: io la dipingo come la vedo », replica con impazienza il ritrattista alle timide osservazioni del cliente. E nove volte su dieci si rifiuta d'ammettere che se il ritratto non riesce fedele al modello è perche non sa più farlo tale; è perché il clima estetico in cui opera lo ha disabituato dall'interesse a una simile fedel tà; o perche infine egli stesso si vergognerebbe di tentarla, temendo dai colleghi « validi » e dai critici raffinati la taccia di « abilità », oggigiorno, come tutti sanno, considerata gravissimo difetto. E cosi anche l'autentico ritratto pittorico s'è trasformato orgogliosamente in una « figura ». Colpe della fotografia o colpe della pittura? Quando la carne ra oscura preconizzata da Leo nardo divenne, progredita, d'uso comune nel secolo scorso, ai pittori, che già prima s'eran valsi talora — per meglio iso lare il motivo ' e precisarne il disegno — della te camera ne ra », non passò neppur per il ca po che si dovesse inventare « un'altra » pittura : continuato no a dipingere tranquillamente uomini e donne, animali e paesi, ambienti e oggetti, cercando per questi immutati temi il linguaggio figurativo più rispondente alle loro idee estetiche, ai loro sentimenti. Nessun Corot, nessun Manet, nessun Segantini si disse : « E' fatta : o cambiare o metterci a riposo ». (E nemmeno lé scoperte di un Edison oil volo di un Blériot fecero mutar d'un ette le ballerine di Degas; mentre a pochi anni dalla bomba di Hiroschima già si sbandierava un programma di pittura « nucleare »). Se mai, videro nella macchina fotografica un utile aggeggio complementi re; e qualche buon ritrattista non sdegnò d'aiutarsi nel lavoro fotografando il modello. Ma quei pittori, fossero ades so vivi, inorridirebbero all'esercizio escogitato da un accorto fotografo e reso pubblico da un settimanale illustrato. Egli ha scelto alcuni dipinti celebri di varie epoche, un Fragonard, un Courbet, un Manet, un Renoir. un Gauguin, una famosa lito grafia di Toulouse-Lautrcc, un Picasso, ne ha ricomposto abil mente i soggetti con figure tratte dalla vita attuale e quin di del tipo e della moda de tempo nostro, e li ha fotogra fati a colori. Ne son riuscite delle immagini vituperose, estc ticamente e psicologicamente contraffatte, d'una volgarità che — riferita alla profanazione di quegli originali — non si esita a definire indecente. Non è immaginabile peggior tradimento, con un mezzo mec canico, di un'ideazione artistica. Il Déjeuner sur l'herbe che già, trascorso quasi un secolo può esser ripensato nell'aura duna classicità giorgionesca, s trasformato in un lascivo pre Indio all'occultarsi nei boschettsovfrl'e qclipmresttofolapfpocsdpfqcmputcCi di due coppie libertine; la truce ronia., lo spietato sarcasmo e, e si vuole, l'amara denuncia morale della Musa di Picasso, ono svaniti nel pettegolo con-vegno di due ragazze indecise ra un disincanto alla Sagan e 'agognata pubblicità televisiva; e quella dolce fragranza umana, quella fisica felicità del vivere ch'è il lievito dePsano sensuaismo di Renoir è divenuta rapati- scema d'una delle tante maschiette in barca che il fotoreporter balneare giudica suggestiva per il suo rotocalco. Eppure questa, secondo i fautori di un'arte svincolata dalle forme naturali, sarebbe appunto a « realtà » di cui la pittura ha potuto alfine liberarsi perché la fotografia ne ha indicato la superfluità. Basta viceversa una occhiata allo sconcertante giochetto-per convincersi che non si poteva offrire miglior prova della differenza fra la realtà del pittore e la realtà del fotografo. Con ciò non si nega che quest'ultimo riesca a fotografare con gusto artistico; semplicemente si nega che l'opera depittore possa mai risolversi in una « fotografia », sempre che stratti di un artista e non di un copista diligente. Parlare dunque di schiavitù e di liberazione della pittura nei confronti del « vero » visibile e della sua interpretazione figura ta, non è altro che uno dei tanti sofismi di cui si van nutrendo gli astrattisti e i loro vaniloquenti corifei. Ogni volta che la pittura, « da Giotto a Chagall » (tanto per valerci di un noto titolo) è stata creazione e non maniera, non se mai sentita prigioniera di nulla, e nemmeno adesso ha da spezzar catene, tolta quella dell'incapacità. Gli aspetti del mondo, i casi dell'uomo sono di così infinita varietà, che per fare del nuovo e del diverso — e davvero in questo caso il cammino da Giotto a Chagall lo dimostra — non c'è bisogno di rinnegarli e distruggerli cercando altrove confusamente « i miti ». Quali? I miti moderni son lì, in quel mondo e fra quei casi, e soltanto attendono la fantasia che li desti. Un gesto, una parola, uno sguardo, un pianto od una gioia, una luce che brilla, ed ecco l'eterno sublime spettacolo ancora una volta ripresentarsi vergine, con tutto il suo inedito miste ro, alla trasfigurazione del poeta; Marziano Bernardi