A confronto con il Menghini di Francesco Rosso

A confronto con il Menghini A confronto con il Menghini Il loro confronto, che tutti pensavano sarebbe stato emozionante, è stato invece quasi cordiale, una piccola disputa da caffè, persino garbata, senza scatti collerici, o invettive. Come soggiogato dalla mole fisica del suo accusatore, Giuseppe Montesl non ha mai alterato il tono dì voce parlando con lui, cercando anzi di superarlo in garbata cordialità. Ma quel tono di conversazione salottiera è stato bruscamente incrinato dall'intervento del Pubblico Ministero il quale, pur costringendo parole ed atteggiamenti in una correttezza formale ineccepibile, è riuscito a turbare profondamente il pericolante testimone fino a renderlo esasperato. Alto, massiccio, placido, Fabrizio Menghini, sollecitato da alcuni difensori, ha raccontato che nell'estate del 1953, poco dopo la morte di sua nipote, Giuseppe Montesi era biondo; da una telefonata anonima egli seppe anche che in certi ambienti egli si faceva chiamare Oscar. Ora Giuseppe Montesi ha una chioma già un pochino diradata, ma di un nero secco. Perché si sia tinti i capelli e ricorresse ad un nome d'arte o di battaglia non si sa; né si conosce la ragione vera per cui, nell'ottobre '53, vendette precipitosamente la sua < giardinetta ». forse perché il bovaro Francesco Duca, parlando delle automobili vedute nelle vicinanze di Capocotta il 9 o il 10 aprile, faceva chiaramente allusione a una « giardinetta » Un invito a Wanda Avv. Augenti Le risulta che Giuseppe Montesi abbia j invitato una volta ad una gita in macchina anche sua nipote Wanda? Menghini — Non so dove volesse portarla, certo è che Wanda gli rispose: «Io con te non vengo >. Avv. Augenti — Quando lei ha affermato che Wanda aveva in cuore un dubbio atroce, che cosa intendeva dire? Menghini — Era un complesso di dubbi: che Wilma si fosse tolto- il reggicalze, ad esempio, non le sembrava possibile, ed anche quel netto rifiuto opposto allo zio di sa¬ lire in macchina con lui dopo la morte della sorella entrava nel gioco. Avv. Augenti — Lei pensa che Wilma possa essere andata ad Ostia con lo zio Giuseppe? E Wanda Montesi lo pensava? Menghini — Non le ho mai posto la domanda in questi termini: a Wanda dicevamo che lei non poteva' sostenere che sua sorella fosse andata sola ad Ostia, ma il nome di Giuseppe non è mai stato fatto. Ricordo che all'inizio del '54, non potendo più entrare in casa di suo fratello, Giuseppe si mostrava molto interessato a sapere che cosa dicevano di lui i suoi familiari P. m. — Le risulta che Giuseppe Montesi, mentre interrogavano i suoi colleghi della tipografia Casciani, origliasse alle porte del giudice? Menghini — Questo non l'ho mai saputo. Avv. Augenti — Da quando Giuseppe non frequentava più la casa di suo fratello? Menghini — Dal dicembre 1953, dopo quel furioso litigio. C'era già stato però qualche screzio, ricordo che nell'estate il padre di Wilma si lagnò con me perché Giuseppe portava il nipote Sergio con delle donne. Avv. Augenti — E chi erano queste donne, le sorelle Spissu, forse? Menghini — Questo non lo so. Presidente — Parlando con Giuseppe Montesi, lei non fece delle supposizioni sulla con dotta di Wilma? Menghini — Certo, ed era lui stesso a indirizzarmi su va- rie piste, a parlarmi di perso- ne che potevano averla cono sciuta. Mi disse del figlio del colonnello Avorio, che dava ì biglietti del cinema a tutta la famiglia Montesi, ma senza aggiungere altri dettagli. Avv. Augenti — Quando lei doveva essere interrogato dal dr. Sepe, la vigilia ricevette qualche raccomandazione da Giuseppe Montesi, non le disse: «Mi raccomando a lei?». Menghini — Non ricordo con precisione. Presidente — Durante quel colloquio avvenuto in macchina fra lei, Giuseppe Montesi e Luciano Doddoli, che cosa disse? Menghini — Parlando della morte di Wilma, dissi: «Non sarà lei il responsabile? ». Senza alcuna reazione, egli domandò «Chi lo dice?» ed io, per non inimicarmelo, indicando Doddoli: «Lo dice lui ». Con molta calma, Giuseppe Montesi esclamò: «Come, lei dice questo? », ma non andò oltre. La visita prematrimoniale Avv. Augenti — Poco prima che Giuseppe Montesi venisse a deporre, la madre di Wilma non disse a lei di lasciar perdere Giuseppe che era estraneo a questa faccenda? Menghini — Vennero infatti da me, e confermarono che non avevano sospetti su Giuseppe. Avv. Augenti — E' stato lei a consigliare la visita prematrimoniale di Wanda Montesi? Menghini — Poiché ricevevano lettere e telefonate anonime insultanti, la signora Montesi si disperava, era certa che Wanda era integra, come Wilma, ma la irritavano le malignità: fu così che, d'accordo con l'aw. Carbone, decidemmo di far sottoporre Wanda alla visita di una dottoressa per gli accertamenti dei caso. La battuta ha provocato la ilarità del pubblico, ma il momento era ormai propizio per lo scontro fra i due antagonisti. Il Presidente, infatti, ha fatto chiamare Giuseppe Montesi che è entrato in aula appoggiandosi pesantemente a un bastone e strascicando la gamba contusa nel recente scontro automobilistico a Roma. La conversazione incominciò a fluire tranquilla, quasi cordiale, il confronto non svelava la drammaticità che tutti immaginavano. Menghini — Lei sa perfettamente che fin dal giugno del '54 io non le ho mai nascosto i sospetti che nutrivo nei suoi riguardi, glieli ho detti e scritti più di una volta. Giuseppe — E' vero, ma lo diceva in tono scherzevole, e in questo tono lo ha anche scritto. P. M. — E' il tono abituale di Menghini. Presidente — Che cosa le ha I detto Menghini durante quel colloquio in automobile con I Luciano Doddoli? j , o e 0 l a e Giuseppe — Una sera mi telefonarono pregandomi di raggiungerli in macchina ed io, molto gentilmente... Menghini — Nessuno ha mai messo in dubbio la sua gentilezza. Giuseppe — ... aderii all'invito perché tanto io che mio fratello Rodolfo desideravamo chiarire alla stampa alcune cose. Presidente — Menghini non le disse: «Non sarà mica lei il responsabile? ». Giuseppe — Me lo diceva in tono scherzevole. Presidente — E lei che cosa ha risposto? Giuseppe — Non ricordo. Presidente — Menghini afferma che lei ha esclamato: < E chi lo dice? » e che indicandole Doddoli le rispose: <Lo dice lui». Giuseppe — Escludo assolutamente di aver detto questo. P. M. — Lei ha detto a Menghini i suoi sospetti che Wilma fosse uscita con il figlio del colonnello Avorio? Giuseppe — Non ho mai detto una cosa simile, anzi, dai discorsi dei genitori di Wilma, avevo la certezza che mia nipote non è mai uscita con nessuno. P. M. — Quali rac!oni hanno creato tanto odio fra lei e suo fratello al punto di cacciarlo da casa quando è scoppiata quella lite? Giuseppe — Non sono stato io a cacciarlo, ma lui ad andarsene; e non esiste una ragione profonda, ma soltanto pettegolezzi di donne. P. m. — Non ci si odia tanto per dei pettegolezzi, sotto c'è qualcosa di più concreto, e lei ce lo deve dire. Giuseppe — Ma non c'è nulla di più, forse parole male interpretate fra mia madre e mia cognata. Se altre volte sono stato generico, fu per non svelare particolari sulla mia famiglia. P. m. — Ma noi li vogliamo conoscere. Sì è parlato del suo secondo alibi, non si faccia cascare addosso una nuova smentita dall'esterno; se deve riconoscere che anche il suo secondo alibi è falso, lo dica subito. Giuseppe — Non temo smentite da nessuno: per quattro anni ho taciuto conservando gelosamente il mio segreto, poi con un colpo di spugna ho cancellato tutto sacriflcan- cdnqsovdgpumptfvmsbmcdo le tre cose che mi sono più i dcare: la mia fidanzata, il mio \ bambino, la madre del mio Itbimbo... La voce di Giuseppe Montesi è salita di tono, gridava quasi nel microfono, ma più con disperazione che rabbia; sentiva l'ondata d'incredulità investirlo anche dalla siepe di pubblico che si accalcava dietro la transenna, la sua ostentata sicurezza incominciava a vacillare e fu in quel momento che il P. M. incominciò a sviluppare la sua azione metodica. Interrogava con calma e per guardare negli occhi l'enigmatico testimone, scese dal suo scranno: le domande cadevano precise, inesorabili, anche se prive di violenza. P. m. — Perché non ha subito riconosciuto il bambino? Giuseppe — Attendevo il momento opportuno per dargli il mio nome. P. m. — Perché ha atteso tanto? Giuseppe — Volevo preparare un determinato campo familiare: quando è nato il bimbo, ho subito assicurato la mamma di Rossana che avrei provveduto io a tutto, che gli avrei dato il mio nome. P. m. — Allora le ha detto anche che il figlio era suo. Giuseppe — Assolutamente no. P. m. — Ma se era considerato estraneo, perché si preoccupava tanto di giustificarsi davanti alla madre di Rossana? A quale titolo avrebbe dato il suo nome a un tìglio che gli altri supponevano non suo? Giuseppe — La mia fidanzata Mariella, dopo la malattia, non poteva più avere figli, e così le dissi che avremmo adottato quello di Rossana, gli avremmo dato il nostro nome P. m. — Non dubito che lei avesse queste intenzioni, tuttavia, Montesi Giuseppe, anche se in tono pacato, devo dirle ancora una volta che lei non dice la verità. Giuseppe — Ma io dico la verità. La frase è stata urlata, un grido rauco, disperato, di chi sente che sta per affondare inesorabilmente. Giuseppe Montesi giocava in quei momenti terribili la sua salvezza: non so se egli recitasse, o se fosse sincero; forse ha doti di commediante non comuni, certo è che la sua voce esprimeva una angoscia vera, una sofferenza indicibile che non nasceva probabilmente dalla convinzione di essere innocente e dall'impossibilità di farsi credere tale, ma dalla paura tremenda che deve roderlo da chissà quando. P. m. — Lei è piuttosto impulsivo. Giuseppe — Perché so di aver ragione. P. m. — No, lei non ha detto la verità. Giuseppe — L'ho detta sem- ptgpgfcccI I pre. p; ; e « I « U1UT0 SU miO IlgllO » j p. m. — No, mente ancora n : : . o i a n i o Non si illuda, se per quanto le abbiamo dimostrato con matematica sicurezza che lei mente è riuscito ad andarsene da quest'aula, non si illuda che la partita sia chiusa. Oggi è ancora in tempo a dire la verità, forse potremmo comprenderla ! più di domani. Se lei ha paura di coinvolgere altre persone si rinfranchi, dica tutto, noi la proteggeremo. Giuseppe — Non ci sono altre persone, non nascondo nulla e nessuno, mai mi sarei prestato a un simile gioco. P. M. — Lei ha paura, Montesj Giuseppe. Giuseppe — Non ho paura di nessuno. P. M. — E allora, perché ha detto il falso? Giuseppe — Non ho mai mentito. P. M. — Ha mentito, perché ha paura. Giuseppe — Ho avuto vergogna, ho detto il falso per tutelare il mio decoro. P. M. — Quale decoro, se lei stesso diceva a! suo collega Leonelli che se la intendeva con sua cognata. Il dialogo cresceva d'intensità, con un contrasto che raggelava persino il respiro di chi ascoltava. Calmo, sicuro, implacabile, il dott. Palminteri insisteva nella sua tattica nuova, non si scomponeva alle grida quasi isteriche con cui Giuseppe Montesi tentava di convin- cere, forse anche se stesso, di dire soltanto la verità. Ma è destino dei bugiardi di non essere creduti nemmeno quando dicono il vero, ammesso che Giuseppe Montesi dica ora il vero. Il dialogo continuava) agghiacciante. , Giuseppe — Ero circondato dalle mormorazioni, dalle bugie, da persone in mala fede. P. m. — No, Montesi Giuseppe, dalla tipografia Casciani è uscita soltanto la verità, lei mente. Presidente — Che interesse poteva avere Leonelli a mentire? - Giuseppe — Erano in mala fede. . Presidente — No, è lei che vuole ancorarsi al suo alibi. Giuseppe — Non è un alibi il mio, non sono un imputato. Preside?ite — Diciamo versione, allora. Giuseppe Montesi, badi a ciò che dice, la sua prima versione è caduta, e sta per cadere anche la seconda. Glielo dico Perché se Giuseppe — Signor president€' quanto ho detto è vero, quel pomeriggio del 9 aprile io lo trascorsi con Rossana. Glielo giuro sul Cristo, su mio figlio. II grido di angoscia P. M. — Con gli stessi accenti di verità lei ha già mentito prima, ha accusato i suoi colleghi Brusin, Leonelli, Garzoli di falsa testimonianza; il suo accento sincero ha colpito altri che le hanno creduto, ma non convince noi. Presidente — Ha messo in pericolo i suoi colleghi. Giuseppe — Ho detto la verità. P. M. — No, Montesi Giuseppe, non ha detto la verità allora e non la dice nemmeno ora. E non creda di poterci impressionare con i suoi giuramenti, le sue grida falsamente sincere. La verità esiste, e noi vogliamo saperla da lei. Giuseppe — Ma io non so nulla più di quanto ho detto. P. M. — Vogliamo sapere come c con chi trascorse quel pomeriggio del 9 aprile. Giuseppe — L'ho detto, con Rossana. Mi è stato contestato mille volte che cosa ho fatto quel giorno e quella sera. Io I non devo giustificare nulla di ciò che ho fatto quel giorno. P. M. — Deve giustificarsi, perché dobbiamo fare giustizia. Giuseppe — Anch'io voglio che sia fatta giustizia. P. M. — Bene, perché giustizia sia fatta, ci dica cosa ha fatto quel giorno. Con un urlo, Giuseppe Montesi si è alzato a mezzo sulla sedia e quasi rantolante ha detto: « Questa è l'ultima volta che lo ripeto, io non so nulla, nulla della morte di Wilma Montesi, non so come è morta Wilma Montesi, voglio che lo sappiano il padre, la madre, la sorella di Wilma, io non so nulla ». Si è abbandonato sulla sedia, come privo di forza, ma il Pubblico Ministero era ancora li, tenace e implacabile a dirgli: «Ma questa non è la verità, dica finalmente che cosa ha fatto in quel pomeriggio ». Giuseppe — Ho detto tutto quello che so, anch'io sono un cittadino che vuole conoscere la verità. P.M — No, lei è un cittadino che mente. Prendendosi il capo fra le mani, come se le tempia fossero sul punto di esplodergli, e fosse per uscire di senno, Giuseppe Montesi urlò tre volte in un crescendo terrificante: «No, no, no », ed il Pubblico Ministero, calmissimo a dirgli ancora: «Lei ha invitato una volta sua nipote Wilma ad una gita in macchina ». Giuseppe — No, non l'ho invitata. P. M. — Si che l'ha invitata. Giuseppe — Come posso farmi credere, affermo di no. Fu la mamma a dirmi: «Giuseppe, sono giovani, perché non le porti a fare una passeggiata? » Ma io non ho invitato Wilma.., Per quanto sottile ed insinuante, il Pubblico Ministero non era riuscito ad allargare la breccia in quella ostinata difesa. Poi il tono dell'udienza scese, si placò con l'intervento di alcuni difensori e un ulteriore scambio di convenevoli tra Giuseppe Montesi e Fabrizio Menghini. Tra le altre cose si è saputo che per una recente intervista concessa all'Espresso, lo zio di Wilma ha ricevuto in compenso 200 mila lire, L'udienza volgeva ormai al termine, si doveva ancora fare il confronto tra Giuseppe Moritesi e Luciano Doddoli, ma tutti erano quasi affranti e il Presidente ha sospeso il dibattimento. Domani comparirà la signora Fulvia Piastra, e la sua deposizione potrebbe essere decisiva per lo zio di Wilma. Uscendo dal Tribunale, sotto la pioggia che scrosciava implacabile, Giuseppe Montesi camminava zoppicando appoggiato al braccio di Rossana Spissu, la cognata da cui ha avuto un figlio. Era terreo in volto, distrutto. E3 domani lo attende una prova ancora più dura. Francesco Rosso

Luoghi citati: Ostia, Roma, Rossana