L'ora pura di Valèry

L'ora pura di Valèry L'ora pura di Valèry Ho sul tavolo il primo dei trentadue C.ahiers (pubblicati a cura del Ccntre National de la Rechcrchc Scicntifique) di Paul Valéry, in cui sarà fotografato il faggio quotidiano di questo curioso Robinson della <t filosofìa sportiva»: una specie di album dei sismogrammi del suo cervello. Valéry cominciò nel 1894, a ventitré anni, a registrare non solo i pensieri concreti e definiti, la trama pulita delle sue infinite operazioni ma soprattutto quello che lo toccava e lo preoccupava, tutto ciò che eccitava la sua intelligenza al di fuori di qualsiasi idea di interesse immediato. E' troppo nota la sua storia perché la si debba rifare qui, basterà accennare al la sua giovinezza di letterato e di poeta, alla crisi della rinuncia, alle prove stupende del sag gista con Vlntroduction à la me thode de Léonard de Vinci, al libro capitale che resta Monsicur Teste per arrivare finalmente all'origine e all'immagine di questi Cahiers. Valéry stesso parlò a diverse riprese di questa sua prima attività, del quotidiano lavoro condotto al di là di ogni suggestione umana. Lo scrittore aveva preso l'abitudine di alzarsi alle quattro tutte le mattine, alle cinque era al tavolo e ci restava fino al momento di rientrare nell'ordine della vita comune, prima, cioè, di raggiungere il Ministero della guerra o, poi, l'agenzia Havas. La vita di Valéry è una vita senza storia che neppure l'epoca degli onori ha scalfito, nonostante le ironie e i lazzi di Léautaud, e si è svolta per gran parte nel segreto e nel silenzio dello studio. In queste senso i Cahiers che oggi possiamo leggere con qualche difficoltà nella copia fotografica restituiscono puntualmente la moie e la forza delle esercitazioni pure. Ricorderete come al tempo di Analecta il poeta illustrasse la natura delle operazioni :. « Je tiens depuis trente ans journal de mes essais. A peine je sors de mon lit, avant le jour, au petit jour, entre la lampe et le soleil, heure pure et profonde, j'ai coutume d'écrire ce qui s'invente de soi-mème. L'idée d'un autre, lecteur, est toute abscnte de ecs moments:et ccttc pièce cssenticlle d'un mécanisme littéraire raisonné manque. Le mot saisi s'inscrit sans débats. Je songe bicn vaguement que je destine mon instant pcrcu à quelque composition future de mes vues: et qu'après un temps incertain, une sorte de Jugement dernier appclera leur auteur l'ensemble de ces pctitcs créatures mentalcs, pour remettre les unes au néant, et construire au moyen des autres l'édifice de ce que j'ai voulu. En somme, je n'écris tout ceci que pour différcr... Ce ne sont donc ici que Notes pour m'oi, impromptus, -surpriscs de l'attcntion, germes: et point de ces prodùctions élaborées, reprises, consolidées, mises dans une forme calculée, qui peuvent se présenter à tout le public avec l'assurance et la gràce des oeuvres faites expressément pour lui ». Non bisogna, dunque, pensare né a note organizzate (tutt'al più, suscettibili di sviluppo) né a pagine di diario. Anzi l'idea stessa del diario — nonostante la chiara definizione di alcuni di questi quaderni come, per esempio, journal de bord — è contraria alla qualità e alla libertà delle operazioni intellettuali. Se si cercasse una traccia degli avvenimenti che proprio negli anni 1894-1900 hanno toccato la vita di Valéry — la morte di Mallarmé, il suo matrimonio, gli incontri, le amicizie, tutte cose che invece sono reperibili nella corrispondenza — si andrebbe incontro a un'amara sorpresa e si sarebbe portati ad accusare Valéry di insensibilità e di contraddizioni. Eppure la natura delle sue note risulta prò prio da questo distacco, dalla fedeltà al rigore del suo metodo o, meglio, dei suoi metodi. Si, la morte di Mallarmé è stata per lui un avvenimento capitale ma, a ben guardare, non poteva entrare nella carne viva dei pensieri puri, nel giuoco, nell'esercizio della « filosofia sportiva » che durava ogni mattina un bel numero d'ore. Allo stesso modo è anche inutile condurre la lettura dei Cahiers con il segreto intento di avere conferme alle nostre idee su Valéry, di segnare amplificazioni, illustrazioni di pensieri fissati altrove. No, ciò che colpisce di più in queste note è proprio l'assoluto distacco dall'umano, l'impossibilità di riferirle a un ordine, sia pure provvisorio come era quello del mondo interiore di Valéry. Tanto più che di solito non ci trovia mo di fronte a operazioni generali ma a piccole operazioni marginali, a piccoli calcoli di parti colari. Valéry mentre metteva in azione la sua prodigiosa macchi- nilrcsdpsmumfdevvcpsnszlninsiqsgdrbsssg e i e a i , e i e a o , r , o e è a e e è o n - na pensante, dimenticava tutto il capitale acquisito con l'esperienza, le letture, le prove già consumate del poeta e del prosatore. Gettava lo scandaglio al di là della frase, si preoccupava piuttosto di ritrovare i meccanismi, i congegni delle parole messe a confronto: era proprio una lunga stagione di ginnastica mentale, disinteressata. Siamo di fronte all'ora pura di Valéry, dell'intelligenza che dimentica di essere stata Valéry e tende a diventare spirito libero, appena vivo, appena nato. Converrebbe piuttosto chiederci come sia arrivato a questa preoccupazione di igiene, perché si era stancato dei problemi ge ncrali, delle questioni grosse: lo so, ci sono tanti motivi, c'è anzitutto la crisi del creatore, c'è l'orrore per la letteratura organizzata, per il mestiere (perfino il suo idolo di ieri, Huysmans, non sfuggiva alla condanna di scrivere come un impiegato) ma in principio deve esserci stato qualcosa d'altro, una misura di sfiducia, la paura di non raggiungere più quel livello sognato di purezza, quel limite alto di verità dietro l'esempio irraggiungibile di Mallarmé. Si ha l'impressione che alla fine il Valéry sia stato vittima di un enorme e mostruoso ingranaggio, di una macchina che ha messo in moto per salvarsi dal tono medio, dal commercio di se stesso ma anche per giustificare il suo scacco, le sue dimissioni. I Cahiers sono la conseguenza diretta della posizione di assoluto sradicamento consacrata nell'immagine di Teste, del testimone non incriminabile, non perseguibile nell'aria stessa del processo umano e in un secondo tempo riflettono le difficoltà, gli ostacoli di una fedeltà esemplare e di una rinuncia che doveva essere strumento di perfezione e di difesa. Infine i Cahiers non autorizzano i invocare per Valéry il metro del metodo e, tanto meno, quello del sistema: il Croce sorrideva di fronte al poeta pensatore ma ho paura che abbia sorriso un po' troppo presto. Va léry non ha mai voluto insegna re nulla a nessuno, tutt'al più ha proposto come utile l'abitudine di questi esercizi dcll'intclligcnza. La mole dei Cahiers sta ap punto a testimoniare la libertà e la purezza della sua condotta e le poche volte che per ragioni pratiche ha pubblicato qualche pagina di appunti (Cahier B Choses tues, Rhumbs, ecc.) l'ha fatto certo per desiderio di con fessionc, per aprire uno spira glio sulla sua vera attività e non per salire in cattedra. Forse Valéry è rimasto troppo al di qua del limite della fede, del primo credo a buon mercato dell'uomo per illudersi sulla sua funzione, sull'utilità stessa dell'insegnamento. Direte che è stata una lezione negativa, mostruosa ma ecco che ritorna in primo piano la figura dello sperimentatore, dello spirito che comincia dalle inezie, dalle prime regole, da ciò che di solito si salta per vanità e presunzione. Questa è la parte più alta della lezione involontaria di Valéry. Direte ancora, lezione decisa dalla stanchezza e dall'impotenza o lezione di rigore nell'astrazione, durata per cinquantun anni? E' una domanda che non concede risposte assolute e che neppure il confronto con le opere vere e proprie del poeta risolve. Nello stesso giro di tempo è stata pubblicata un'operetta che risale agli stessi anni, Agathe (in una bella edizione del Tallone) sulla cui difficoltà d'interpretazione non ci sono dubbi. L'idea del racconto sembra rivivere in uno degli appunti del primo volume dei Cahiers a proposito di un « romanzo psicologico » ap parso alla mente del poeta in un'ora di notte: il Valéry notava come la trama gli si fosse mutata in problema di algebra. Allo stesso modo dell'idea iniziale di Agathe, cosi come la troviamo fissata in una lettera a Gide, al momento dell'esecuzione non resta che la luce fissa e crudele dell'espressione. Si direbbe che per molto Valéry ciò che conta non è la cosa ma il disegno che il cervello riesce a dare della cosa: il che equivale ancora a rifiutare la vita, a dissanguare ogni pensiero per salvarsi dalla corruzione, dalla morte, dalla illusoria prepotenza delle cose. « L'amitié, l'amour c'est pouvoir ótre faibles ensemble », è una delle parole più tristi del Valéry (non solo di questo segreto dei Cahiers) e del nostro tempo ma è anche una divisa, la misura di vita a cui è rimasto fedele sempre, almeno nelle ore degli esercizi antelucani, quando rifaceva il mondo per sé, come un altro Dio, senza doversi avvilire nel « romanzo », nella storia umana. Carlo Bo

Persone citate: Carlo Bo, Gide, Paul Valéry, Robinson