Wanda esclude che Wilma abbia telefonato nella tipografia dove lavorava zio Giuseppe

Wanda esclude che Wilma abbia telefonato nella tipografia dove lavorava zio Giuseppe f Moritesi sembrano tutti uniti per soccorrere il giovane congiunto Wanda esclude che Wilma abbia telefonato nella tipografia dove lavorava zio Giuseppe La giovane dice al Tribunale ancora riunito nella caserma dei carabinieri: «Io e mia sorella non sapevamo neppure che lo zio fosse impiegato là» - La madre Ida Petti modifica una precedente dichiarazione per favorii e il cognato - // perito prof. Ascarelli si dichiara «perplesso»sull'ora della morte di Wilma -Mercoledì confronto fra Giuseppe Moritesi, i suoi accusatori e le sorelle Spissu (Dal nostro inviato speciale) Roma, 5 aprile. Prima di lasciare la capitale a conclusione della movimentata trasferta romana, i giudici si sono recati al 76 di via Tagliamento, una immensa casa popolaresca ai limiti fra la zona residenziale e la periferia, quasi a tentare di scoprire in extremis il segreto che avvolge la morte, ed anche la vita di Wilma Montesi. Ma il tono di sommessa delusione che traspariva dalla poche parole dei giudici, le parsimoniose domande che rivolgevano ai pochi testimoni svelavano chiaramente che la loro perplessità rimane intatta. Era il tardo pomeriggio, un'ora che si potrebbe definire « l'ora di Wilma ». Sui balconi aggrappati lungo i sette piani sventolava al molle vento sciroccale il gran pavese della biancheria stesa ad asciugare, alle finestre grappoli di teste curiosavano seguendo i passi dei magistrati e dei difensori negli undici androni delle undici scale che si affacciano all'immenso cortile dove luccicavano le visiere dei carabinieri di guardia. In un'ora come questa, in un giorno quasi simile a questo, Wilma uscì dall'androne della scala n. 4 e andò verso la sua morte. Sono trascorsi quattro anni da allora, molti avvenimenti si sono affollati intorno a questa vicenda, tutto ciò che era umanamente possibile fare è stato fatto, ma non si è ancora giunti e forse non si arriverà mai a sapere anche con certezza approssimativa che cosa fece Wilma appena svoltato l'angolo del suo portone di casa. E' possibile che una ragazza muoia nel modo in cui è morta Wilma Montesi e non si riesca almeno ad accostarci ai perché di quella morte? E' possibile, come si può constatare in questo caso. Oggi tutti i balconi del palazzone di via Tagliamento 76, le finestre, avevano qualcosa di vivo, biancheria stesa o persone affacciate. Soltanto l'alloggio al terzo piano della scala n. 4, quello dei Montesi, appariva deserto e poteva ben essere il segno dell'opaco silenzio In cui si dissolve questa singolare avventura giudiziaria. La posizione dei Montesi Durante ii processo si è notato un progressivo mutamento nelle posizioni della famiglia Montesi costituitasi Parte Civile. Inizialmente essi sostenevano di non avere alcun pregiudizio contro Piero Piccioni, anzi lo consideravano innocente. Wanda Montesi parlando con l'avvocato Lemme sostenne proprio questa tesi, e dichiarò addirittura che la loro costituzione di Parte Civile non era diretta in alcun modo contro Piccioni, Montagna e Polito ma contro l'eventuale colpevole della morte di sua sorella che il processo di Venezia avrebbe indicato, fosse costui anche lo «Zio Giuseppe». Ad un certo momento « Zio Giuseppe » balzò sulla scena non esattamente come testimone; da più parti egli era indicato come il probabile compagno della nipote in quella tragica gita. Per salvarsi dai sospetti e dalle insinuazioni egli iniziò l'« operazione suicidio » che sua sorella Ida svolse in maniera magistrale durante la sua deposizione. Da quel momento le posizioni del familiari di Wilma sono mutate, il fronte familiare dei Montesi che si era disgregato per una lite nel 1953 si è ricomposto; oggi combattono tutti in prima linea; «Zio Giuseppe » per distruggere le accuse che gli arrivano da più parti ha bisogno che i genitori e la sorella di Wilma lo aiutino. Uscendo dalla saletta dei testimoni la madre della povera vittima secondo le affermazioni del giornalista Fabrizio Menghini avrebbe detto alla cognata Ida: « Sta tranquilla, aiuterò Giuseppe ». Ha cercato infatti di aiutarlo, ma troppo tardi, spostando le ore di una determinante telefonata per sostenere il primitivo alibi che egli durante l'udienza segreta aveva già distrutto. La madre di Wilma questo non lo sapeva e senza curarsi delle contraddizioni lavorò in modo che la telefonata in casa dei suoceri fissata sempre alle ore 21 si avvicinasse cautamente alle ventidue per dare melo a Giuseppe di sostenere che egli era già uscito dopo avere cenato. I giudici hanno guardato quell'alloggio al terzo piano della scala numero 4, ma ai loro sguardi indagatori non è giunta risposta; con il dolore la casa dei Montesi seppellisce per sempre il segreto di Wilma. Prima di recarsi in via Tagliamento il Tribunale aveva completato il suo programma romano, interrogando ancora alcuni testimoni che per l'età e le malattie non possono trasferirsi a Venezia. Prima che si iniziasse il dibattimento, l'avv. Bruno Cassinelli ha insistito perché i giudici sentissero immediatamente Fabrizio Menghini e Luciano Doddoli sulle accuse che i due giornalisti hanno lanciato contro « zio Giuseppe ». II presidente Tiberi ha risposto di no, la sede idonea è Venezia non Roma. E non soltanto sotto il profilo procedu- rale, aggiungiamo noi, ma anche sotto quello della opportunità. In questi tre giorni trascorsi a Roma i giudici hanno compreso che l'atmosfera della capitale non è la più adatta alla serenità del dibattimento, in poche ore si è scatenato mezzo finimondo, l'aria scandalistica che fu pronuba di questa colossale vicenda è tornata a circolare inarrestabile, i giornali del pomeriggio si contendono le dichiarazioni, le interviste, le fotografie di < zio Giuseppe » e dei suoi accusatori, l'usanza di costruire sulla inconsistente sabbia delle supposizioni le più gravi e sanguinose accuse è nuovamente di moda. Meglio tornare alla sonnolenta quiete della laguna dove il processo si svolge in aula e non fuori. L'udienza di oggi svoltasi ancora nella sala di soggiorno del circolo ufficiali della caserma dei carabinieri < Pastrengo» è servita a precisare alcuni punti sufficientemente indicativi. Non è mancata nemmeno la nota umoristica venata di amara j-o'Ha scaturita dalla deposizione ' .1 brigadiere Francesco Procopio, che potrebbe essere assunto come simbolo dei testimoni ignari ed immemori che in questo processo sono una falange. Si è incominciato con 11 giornalista Ermanno Contini critico cinematografico del Messaggero, Nel dicembre del 1953, parlando con il produttore cinematografico Ponti, seppe da costui che Piero Piccioni era stato ospite nella sua villa di Amalfi nei giorni precedenti e successivi alla Pasqua, che si era ammalato di tonsillite e che la sera del 9 aprile era partito per Roma. Questa dichiarazione mandava all'aria buona parte dell'alibi di Piccioni il quale affermava di essere rientrato a casa nelle prime ore del pomeriggio e che verso sera era andato a farsi visitare dal prof. Filipo. Inoltre mandava all'aria anche le dichiarazioni del prof. Filipo che in tal modo poteva essere considerato un teste inattendibile. Oggi il Contini ha dichiarato qualcosa di diverso. I Ponti avevano saputo dai loro camerieri che Piccioni era partito di sera, ma in un secondo tempo seppero che egli era partito il pomeriggio forse addirittura la mattina. Ermanno Contini doveva riferire anche su un' altra circostanza, assai più grave se avesse qualche consistenza. Una sera mentre era in redazione arrivò un suo collega. Poteva essere il 19 o 20 aprile cioè otto o nove giorni dopo il ritrovamento del cadavere. Il collega gli raccontò che Piccioni due sere dopo il rinvenimento del corpo di Wilma sarebbe andato in questura per dire che la macchina nera a cui la polizia dava la caccia era sua. Inoltre egli avrebbe consegnato un pacchetto con il famoso reggicalze dicendo che lo aveva trovato casualmente sulla spiaggia di Tor Vaianica mentre si trovava in compagnia di una donna che non era però Wilma Montesi. Il Contini non ricorda né il nome né la fisionomia del collega che gli ha fatto cosi grave confidenza. Egli è convinto che si tratti di una delle tante voci che circolarono immediatamente a Roma sul conto di Piccioni, e per tale motivo non prese in molta considerazione la faccenda. Tuttavia per scrupolo la raccontò al dott. Sepe. Dopo il giornalista è stata nuovamente sentita la portinaia di via Tagliamento 76, quella Adalgisa Roscini che il presidente ha definito l'< orologio del processo ». La donna, con quel suo fraseggiare molle e strascicato, ha riconfermato le sue precedenti deposizioni. Maria Petti, la madre di Wilma, entrò nella guardiola della portineria poco prima delle ventuno e domandò alla donna se aveva veduto Wilma uscire. La portinaia le rispose di averla veduta uscire verso le 17.20. « Era sola? » domandò ansiosa la madre, ed alla risposta affermativa della portinaia esclamò: «Meno male: temevo l'avessero prelevata », Mentre la madre di Wilma,parlava con la portinaia, il pa- dre ed il figlio, che erano ri- masti nell'androne, uscirono. La signora Montesi chiese di tele-1fonare ai suoi suoceri, e la portinaia sentì chiaramente le parole: «Wilma non c'è più, venite qualcuno a tenerci compagnia ». In sostanza, la portinaia ha smentito l'ultima dichiarazione della signora Montesi sull'ora della prima telefonata ai suoceri. La madre di Wilma non andò, come afferma, in I piazza Quadrata col marito ed I il figlio, non si mosse dalla portineria, telefonò alle ventuno. Il tentativo della madre di Wilma di spostare quest'ora per consentire a zio Giuseppe di sostenere che la sera del 9 aprile era uscito verso le 21.30 prima che la cognata telefonasse, urta contro la sicura affermazione della portinaia, la quale ha come riferimento rcerto, la deposizione del marito Silvio Passar!, il quale non ha dubbi che la signora Montesi abbia telefonato alle 21 al massimo perché, rientrando da un colloquio col suo avvocato, prima di varcare il portone, guardò l'orologio ed erano le ventuna esatte. Entrato in portineria pochi minuti dopo vide la signora Montesi fare la telefonata. Toni umoristici H vecchio portinaio di via Tagliamento, sentito subito dopo la moglie, ha riconfermtuo la circostanza, poi, sorridente, ha ceduto il posto sulla sedia al brigadiere di P. S. Francesco Procopio, marito di Lola Mani figlia dell'affittacamere presso cui abitava Anna Maria Caglio. Giovanile, bruno, di poche parole, il testimone ha portato una nota pirandelliana, grottesca, ironica, amara. Egli andò a ritirare il celebre testamento accusatore della Caglio dall'avvocato Loriedo, a cui sua moglie e sua suocera lo avevano affidato in custodia, ma non sapeva di che si trattasse. Viveva con moglie suocera figli e Anna Maria Caglio in un alloggio di tre camere, ma non sentì mai parlare di Capocotta, delle paure che la figliola del notaio aveva, delle minacce di morte che le sarebbero giunte. Stando alle sue affermazioni, egli sarebbe passato accanto al mezzo finimondo che ha investito anche la sua piccola abitazione senza rendersi conto di aio che succedeva. Il suo dialogo con gli avvocati ed il Pubblico Ministero ha assunto talvolta toni umoristici e vale la pena di riferirlo. P. M. — Ma lei ha parlato qualche volta con la Caglio? Teste — Pur vivendo in un alloggio di tre stanze ho avuto pochi contatti con la nostra inquillna. Ricordo che andai dall'avv. Loriedo, nostro amico di famiglia, per fargli vedere mia figlia che aveva compiuto gli anni ed In | quella occasione, esattamente pDgcsmntplzsgDdaat 19D3, ritirai il nove febbraio i documenti. P. M. — Sapeva di che do cumenti si trattava? Teste — Lettere e fotogra fie della Caglio. P. M. — Sapeva che la Ca- glio era minacciata di morte, che aveva paura? Teste — Non ho mai saputo nulla. P. M. — Sua moglie ha dichiarato che in casa vostra, questi erano discorsi di tutti i giorni. Non le ha mai fatto qualche confidenza in proposito? Teste — Nessuna. P. M. — Non trova che ciò è perlomeno singolare? Teste — Stavo poco in ca sa, sentivo talvolta dei discor si ma sul cinema e sul teatro, 'a ragazza aveva di queste aspirazioni. Una volta la senui Parlare di Pirandello ratore. P- M P. M. — E sua moglie non le ha mai detto che la Caglio aveva temuto di essere stata avvelenata? Testo — Mai. P. M. — Ma proprio non s interessava di nulla? Teste — In casa io stavo ra ramente. Sa io sono un lavo D'accordo, lavoriamo anche noi, ma ci interessiamo alle persone che ci . ' i stanno vicine. Ha almeno sentito qualche discorso su Capocotta, e di quel testamento? Teste — Nessuno me ne ha parlato. Avv. Lupis — Capocotta no, Pirandello sì. P. M. — Scusi signor Procopio, ma lei che ci fa a casa sua? Dorme soltanto? Avv. Lupis — La Caglio non è madrina di uno dei suoi figli? Teste — Si, ma per procura. Avv. Morra — Saprà almeno che sua suocera tentò di vendere il testamento della Caglio. Presidente — Avvocato, questa è una domanda insidiosa. Il teste ha già detto che non sa nulla del testamento. Avv. Bellavista — Ma una sera si è reso conto che in casa sua c'era il giornalista Trionferà con una fotografia? Teste che sa nulla Teste — Sì una sera vidi degli sconosciuti in casa mia che parlavano con mia suocera, ma non vi feci caso. P. M — Sotto il suo tetto si parlava di persone che potevano essere uccise, di misteriose gite a Capocotta, di estranei che offrono grosse cifre e lei sa soltanto che un giorno si parlò di Pirandello. Il testimone ha allargato le braccia, ha strizzato un ottuso sorriso e se ne è andato. Per controllare nuovamente le dichiarazioni della portinaia Roscini e preoccupato di non interrogarla separatamente dai giornalisti Menghini e Doddoli sulla posizione di « Zio Giuseppe », il Presidente ha domandato al patrono di Parte Civile se Wanda Montesi, essendo in avanzato stato di gravidanza, può venire a Venezia e l'avv, Cassinelli alludsndo alla lunghezza di questo processo ha esclamato: «.Prima che il nascituro si sposi penso che Wanda potrà venire a Venezia ». Poiché il perito prof. Attilio Ascarelli non era ancora giun- - to> 11 Presidente ha sospeso la , | udienza e nel frattempo ha i mandato due carabinieri ad a, i o ò , e n o a i avvertire la sorella di Wilma che era attesa alla caserma Pastrengo. Poco dopo è giunto il perito, un candido vecchietto dall'aria un po' sbigottita per l'apparato di forze che lo ha accolto sul portone della caserma. Mentre il Tribunale rientrava in aula, è arrivata in tassi, accompagnata dal mari, to. anche Wanda Montesi. j Riepilogando le sue concluj sioni, già descritte nella perizia, il prof. Attilio Ascarelli ha sostanzialmente affermato che, per le condizioni in cui fu trovato il cadavere, egli aveva concluso che la morte della ragazza era avvenuta otto o dieci ore prima che il suo corpo fosse trovato sulla spiaggia di Tor Vaianica. Ma discutendo coi . I giudici, con gli avvocati e, so'iprattutto, con il Pubblico Ministero, egli ha finito per ammettere che a giudicare dalla rigidità cadaverica, già molto apparente in tutto il corpo, tranne che nelle gambe, la morte poteva risalire anche a venti ore prima. Ora, questa induzione risulta inaccettabile perché se Wilma fu, come si asserisce, abbandonata là dove fu trovata, bisogna supporre che l'uomo ohe voleva disfarsi di lei l'abbia abbandonata verso le prime ore del pomeriggio del 10 aprile 1953, un'ora poco idonea per abbandonare ragazze svenute sulle spiagge. Inoltre se si accetta l'ipotesi che Wilma sia morta il 10 aprile, bisogna accettare anche la deposizione della signora Anna Salvi che afferma di averla veduta passeggiare per Tor Vaianica nel tardo pomeriggio di quel giorno; ma dalla descrizione del cadavere, dalla rigidità, dalla pelle macerata sui palmi delle mani e sulle piante del piedi non si può dedurre che Wilma sia rimasta in acqua soltanto otto o dieci ore. Di fronte a tali contestazioni, il prof. Ascarelli è rimasto per qualche minuto pensieroso ed alla fine, incitato dal Presidente egli ha esclamato: < Sono un po' perplesso ». Poi, scuotendo il capo, ha ripetuto ancora: «Torno a dire, sono piuttosto perplesso ». Mentre i difensori, col solito tono gridavano «a verbale!», il Presidente ha guardato fissamente il vecchio studioso la cui perplessità, in un certo senso, rappresenta il clima di questo processo ed infine lo ria congedato salutandolo. Il linguaggio scientifico del vecchio medico legale, concluso con quelle affermazioni di perplessità, aveva provocato una certa sensazione nel Tribunale e l'atmosfera di inquietudine che già era scaturita dalle parole di quell'anziano signore, si è ancor più appesantita allor che è entrata nell'aula Wanda Montesi, che già è stata sentita a Venezia. Sostanzialmente la giovane donna ha ripetuto quanto ha detto nella prima de posizione, ma i giudici, sia pure con cautela, hanno voluto inda gare sulla posizione di « zio Giuseppe », scoprire se tra lui e la nipote vi poteva essere relazione. Parla la sorella Presidente — Sua sorella Wilma conosceva il numero di telefono della tipografia Casciani dove lavorava suo zio? Wanda — Sono quasi certa che Wilma non sapeva nemme no che lo zio lavorava in quella tipografia. Presidente — Sa se sua sorella aveva un appuntamento il 9 aprile? Wanda — Non aveva alcun appuntamento. Presidente — AH'avv. Lemme lei disse che sarebbe stata disposta a denunciare chiunque per la scomparsa di Wilma, anche un suo congiunto? Wanda — Fu un discorso generico; potevo alludere anche a zio Giuseppe, ma era una cosa assurda, pazzesca. Giud. Alborghciti — Disse che Piero Piccioni e Ugo Montagna erano estranei a questa faccenda? Wanda — Lo dissi; come si potevano accusare persone che noi non avevamo mai né visto, né conosciuto? Presidente — Ricorda se sua sorella, a Fregene, rischiò di annegare e che fu salvata da zia Ida e le rimase sempre una forte impressione, una specie di incubo dell'acqua? Wanda — Questo lo dice la zia. Ricordo che si parlò di questo episodio soltanto la sera in cui Wilma scomparve, mai prima. Avv. Cassinelli — Qual è l'« atroce sospetto » contro zio Giuseppe che disse di avere nel cuore ? Wanda — Non ho mai detto una cosa simile. Presidente — Suo zio, propose.una volta a lei ed a Wilma di fare una gita in macchina? E' vero che sua sorella rifiutò I dicendo: «Non hai mica scritto in fronte che sei nostro zio? ». Wanda — La risposta aveva un tono scherzoso; ricordo che lo zio invitò noi e la mamma ad una gita. P. M. — Per quali ragioni sua madre si ingelosì di Rossana Spissu? Wanda — La sorella della fidanzata dello zio è una ragazza disinvolta; una sera, offrendo a mio padre una tazza di caffè, dimostrò eccessiva espansività, mia madre si offese e ci fu una scena antipatica. P. M. —- Ma voi sapevate che vostro zio aveva una relazione con la sorella della sua fidanzata? Wanda — Si sospettava qualche Tesa perché erano sempre ir.aier-.ie, ma non sapevamo del bambino e mio padre diceva | che erano pettegolezzi le voci che circolavano su quella relazione. P. M. — Sua sorella non ha mai espresso intenzioni suicide? Wanda — Mai, quelle sciocchezze le ho lette sul giornale dopo la deposizione di zia Ida, che di sciocchezze ne ha dette moite. Avv. Carnelutti — E' vero che Wilma era scarsamente religiosa? Wanda — Anche questa è una delle sciocchezze dette da zia Ida. Avv. Augenti — Suo zio Giuseppe ha detto che Wlma era scarsamente intelligente, è vero? Wanda — E che, le ha fatto la perizia? Con questa battuta con pretese di ironia, si è conclusa l'udienza di oggi. Nel pomeriggio, come già riferito, il Tribunale si è spostato in via Tagliamento per un rapido sopraluogo nella casa di Wilma. Poi il processo è stato rinviato a mercoledì prossimo, a Venezia, dove saranno chiamate a deporre Mariella, Rossana e Andreina Spissu, le tre donne così legate alla vita di Giuseppe Montesi. Subito dopo sarà nuovamente interrogato « zio Giuseppe » ed ancora Fabrizio Menghini e Luciano Doddoli. Subito dopo, se sarà necessario, sarà ancora sentita per rogatoria Wanda Montesi. Giovedì, l'udienza sarà dedicata ai testimoni relativi alla posizione di Michele Simola, e si parlerà ancora di cocaina e di case dalla dubbia, compiacente ospitalità. Francesco Rosso Wanda Montesi, col marito e l'avv. Cassinelli, va nella caserma dove si tiene udienza (Tel.)