Un secolo agitato e mosso dal vario soffio dell'ispirazione di Marziano Bernardi

Un secolo agitato e mosso dal vario soffio dell'ispirazione Un secolo agitato e mosso dal vario soffio dell'ispirazione (Dal nostro inviato speciale) Roma, 30 novembre. La rassegna. l'esempliflcazione divulgativa di alcuni caratteri dell'arte europea nel secolo decimosettimo, cioè la mostra che si inaugura domani a Homa nel Palazzo delle Esposizioni, col proposito di dimostrare l'unità dello spirito, a consonanza delle coscienze e quindi anche dei fatti artistici nel vecchio continente durante il corso del Seicento, più che un impegno critico di risolvere certi ardui problemi del Barocco, sembra, dai risultati che pur sono quanto mai spettacolari ed attraenti, una grossa impresa di avviamento a una generica cultura figurativa, in questo caso pressoché limitata a un settore, quello pittorico. Seicento europeo è difatti un titolo assai compromettente. A dargli un chiarimento figurato, ecco per le strade il mani¬ rmuni imi munì immiii festo della mostra, riproducente uno dei più tipici < mormenti » realistici del Caravaggio, il particolare drlla testa piegata sulla spalla sinistra della Madonna che, reggendo il Bambino, guarda i due pellegrini inginocchiati davanti alla sua nicchia e fervidamente oranti; quella Madonna di Loreto — per la seconda volta in pochi anni tolta dall'altare della chiesa romana di S. Agostino — che a Milano, quando fu esposta col formidabile gruppo delle opere del Merisi e dei caravaggeschi, strappava ('entusiasmo delle folle specie per la « verità » dei piedi sporchi e callosi dell'umile viandante, che nella estatica adorazione scioglie il voto. Chiarimento, questo del suddetto manifesto, perfettamente appropriato, anche perché tra le circa quattrocento opere secentesche qui raccolte a com- iimmmiimi imiiimmni umilili porre un panorama che va dal Bernini al Mignard, da Rembrandt a Luca Giordano, dal Cuyp a Salvator Rosa, dai Carracci a Jan Sieen, da Fran. qois Nome detto < Monsù Desiderio » a Rubens, dal Furlnl al Saenredam, dal De Witte a Guido Reni, dal Baschenis al Velasquez, da Louis Le Nain a Van Dyck e ai suoi seguaci inglesi Dobson e Lely (per citare a casaccio artisti agli antipodi), anche perché — diciamo — al Caravaggio è dato il posto d'onore, persino come collocazione, nella mostra: della quale occupa 11 centro con una dozzina di dipinti, tra cui i due, superbi, di La Valletta, l'immensa « Decollazione di San Giovanni », la sua tela di maggior mole, elle San Gerolamo », entrambi eseguiti a Malta nel 1608, venuti ora a Roma per essere splendidamente ripristinati dal grave stato di deperimento, a cura dell'Istituto Centrale del Restauro. E questi sono — come ci scriveva l'altro giorno Cesare Brandi, che l'Istituto dirige — 1 viaggi davvero giustificati dei capolavori: non le mostre ambulanti oltre gli oceani, ai cenni di ministri e ambasciatori per ragioni più politiche che artistiche, le « mostre-squillo », come maliziosamente le chiama Bruno Molajoli. Ma l'immagine del manifesto sarebbe potuta esser benissimo anche il sublime Ruth e Booz, ovvero l'Estate, di Nicolas Poussin, il gran classico che proclamava esser venuto al mondo il Caravaggio per distruggere la pittura, l'interprete perfetto dell'invito di Boileau: Aimcz donc la raison..., il pittore che — scrive Charles Sterling in una delle sei introduzioni alla mostra, unica parte del catalogo ancora in corso di stampa, che -i.imo riusciti ad avere in bozze — seppe « mantenere da soio, in mezzo alla Roma del Bernini, un classicismo severo, d'un alto tono morale, ed ergersi impenetrabile, come una roccia circondata da onde spumose ». E allora, quella arcana visione biblica forse presente in Victor Hugo in uno dei suoi più vasti respiri poetici, e viceversa a noi richiamante il pànico mistero di Giorgione, il suo supremo tentativo di iniziare il moderno colloquio fra l'uomo e le cose della Creazione divina, avrebbe capovolto una delle interpretazioni che sul filo dell'impetuosa corrente caravaggesca si usa dare del Seicento: l'interpretazione ! realistica opposta tanto al Manierismo quanto alla tradizione idealistica del precedente secolo. II. fatto è che proprio da questa mostra, la quale tende a dipanare dal groviglio di tante e diverse tendenze un filo conduttore attraverso il secolo di Rembrandt e di Rubens, di Annibale Carracci e del Caravaggio, sembrano confermate con tutta l'evidenza possibile appunto tali inconciliabili diversità: quando almeno non ci si soffermi alla superfìcie dei valori formali — per esempio la luce caravaggesca che giunge fino a Vermeer — ma l'esame si addentri nel profondo d'una spiritualità che di sé stessa permea ogni aspetto della vita secentesca; e a questo proposito va osservato che s una mostra intitolata al « Seicento europeo» non può prescindere dalla scenografia (qui assente), cioè dal fastoso «teatro* sulla cui scena, non soltanto metaforica, agisce il costume dell'età berniniana. Gli studiosi concordano insistendo sull'unità dei movimenti pittorici nel Seicento. Pittori e scultori procederebbero in plotoni serrati, salvo l'indisciplina di alcuni, dal Controriformismo, all'ombra d'una bandiera della quale un colore è il Realismo, un altro il Classicismo e il terzo il Barocco propriamente detto, quello della forma decorativa e scenica, del trompe-l'oeil dello spazio, tipo il soffitto di S. Ignazio del padre Pozzo (c'è qui lo straordinario bozzetto), della luce visionaria del movimento traboccante? Cosi si afferma. Tuttavia, proprio dopo aver percorso questa mostra, la autorità di quegli studiosi stenta a persuadere. Contempliamo il realismo del Caravaggio e il preteso realismo di Rubens e quello di David Teniers, poiché in queste sale ne abbiamo agio; esaminiamo l'Accademia dei Carracci e seguaci e l'Accademia del Poussin; poniamo vicino i quadri dell'Albani, del Guercino, del Domenichino. del Crespi, del Feti, del Maffei, dello Stanzione. del Cavallino, del Castiglione, dell'Assereto, del Sacchi, e gli interni di Pieter de Hooch. e la Lettera e la Stradetta di Vermeer, la Preghiera primn% del cibo, di Nicolaes Maes: confrontiamo il paesaggio di Magnasco coi paesaggi del fiammingo Jacques d'Àrthois, degli olandesi Van de Capelle, de Koninck, Seghers, Ruisdael, Hobbema. Di continuo si spalancano abissi ove precipitano le argomentazioni più sottiU, gli schemi critici meglio elaborati. Non per nulla sulle copertine dei due volumi «Seicento e Settecento » di fresca pubblicazione, Vincenzo Golzio ha posto le riproduzioni della « Caduta di S. Paolo» del Caravaggio e della « Stradetta » di Vermeer. Due mondi infinitamente lontani. La Stradetta rappresenta un angolo di Delft, un gruppo di case, un vicolo silente, quieto, assennate massaie che in piena certezza morale attendono alle faccende domestiche; e questa cuce, quella attinge acqua dal pozzo. Una visione di raggiunta pace, di un giusto esistere, di un savio appagarsi di verità intime, preludio all'ultima e consolante verità. Per sconfinare un istante in una letteratura che è essa stessa pittura, non sapremmo immaginare in quella strada né don Rodrigo, né l'Innominato, e forse neppure, benché entrambi personaggi controriformistici, il cardinale Federico e Fra Cristoforo. Il Seicento europeo è.uno sconfinato mare perennemente vario sotto il soffio dei venti che lo agitano. Nessuna volontà critica — qui più che mai lo si vede — può chiuderlo fra dighe simili a quelle che Van Goyen dipingeva al margine delle dune del suo Paese, poco prima che il Bacicelo, nel nome di Gesù, sca• gliasse i suoi angeli oltre le prospettive barocche. Marziano Bernardi

Luoghi citati: La Valletta, Loreto, Malta, Milano, Roma