"Mio padre è stato ucciso al mio fianco mentre correvamo verso il confine,, di Giorgio Lunt

"Mio padre è stato ucciso al mio fianco mentre correvamo verso il confine,, La tragedia dell'Ungheria nei racconti di 9 ragazzi profughi "Mio padre è stato ucciso al mio fianco mentre correvamo verso il confine,, Sono giunti ieri sera a Torino da Vienna - Li accompagna un prete che visse facendo il tornitore e fuggi da Budapest soltanto una settimana fa - Biondi, macilenti, nei loro occhi rimangono il terrore e l'angoscia - Drammatici episodi: "Camminerò fin che troverò da mangiare,, - "Mio padre combatteva, mia madre mi spinse fuori dicendomi: salvati almeno tu,. Da uno scompartimento di seconda classe del treno che arriva a Porta Nuova da Milano alle 22,20, si levava ieri sera un canto nostalgico, in una lingua dolce che nessuno dei viaggiatori capiva. Una canzone triste, strascicata, che ha per titolo «.Addio». La intonavano i soldati ungheresi durante le marce forzate verso la trincea, la ripetevano i ragazzi ungheresi ieri sera, durante il viaggio verso il volontario esilio. Nove ragazzi, tra i 14 e i 17 anni. Erano partiti da Vienna venerdì sera; dopo una sosta di qualche ora a Venezia si erano rimessi in viaggio verso Torino, dove saranno ospiti dei Salesiani di Don Bosco. Nove ragazzi che non dimostrano l'età che hanno: sul loro volto, soprattutto sui loro corpi, la fame, la paura, le fatiche hanno lasciato visibili tracce. Sono quasi tutti biondissimi, con gli occhi chiari e il naso all'insù: li diresti tolti di peso dal romanzo di Ferenc Molnar, « I ragazzi della via Paal >. Gli rassomigliano anche nel vestire: una giacchetta lisa ed esigua, o una maglietta a casacca, che mette in risalto un collo attraverso il quale devono essere passati più singhiozzi che pagnotte. Qualcuno ha indosso gli abiti con i quali è fuggito dall'Ungheria, gli altri portano indumenti che la Croce Rossa gli ha regalato a Vienna. Roba • usata, evidentemente offerta da povera gente per gente ancor più povera. Solo gli scarponi sono nuovi, sul tipo degli stivaletti dei soldati americani: stonano quasi, accanto a quegli abiti frusti. Tre morti sul confine La storia di questi nove profughi è triste, nasconde drammi che non stupiscono certo chi abbia seguito il martirio del popolo ungherese, ma che commuovono maggiormente per la semplicità con la quale i protagonisti, le vittime, li raccontano a noi, mentre sbocconcellano il panino che don Csonka — un salesiano magiaro che insegna al Pontificio Ateneo e che si è recato a Milano ad accoglierli — ha comprato alla stazione, per paura che avessero fame. Ci fa da interprete il signor Giorgio Erdelyi, un altro esule dal l'Ungheria, ex-campione italiano di pallanuoto e che si dedica con appassionata fede all'opera di soccorso ai profughi. Jànos Rozsovits, di 16 anni, ci dice che è scappato tre settimane fa da Gyòr, la cittadina che fu il cuore dell'insurrezione, a 50 chilometri dall'Austria. Erano in 8, sul cammino della speranza: lui, suo padre — che lavorava in una fonderia — e sei operai amici di suo padre. Quando erano a poche centinaia di metri dal confine, i poliziotti comunisti li videro e cominciarono a sparare. Janos correva come un disperato, sentiva le pallottole fischiargli alle orecchie. Dietro di lui, altri profughi ansimavano, incespicavano, cadevano, si rialzavano e riprendevano la corsa. Suo padre e altri due operai, purtroppo, non si rialzarono più. Erano stati uccisi dalle scariche rabbiose. Il ragazzo potè salvarsi con 1 cinque superstiti, non sa più nulla della madre né dei nonni: « Chissà se li rivedrò, un giorno » conclude chinando la testa. Una lacrima gli rotola sulla guancia smunta, cade sulla pagnotta. Il quattordicenne Daniel Màrtai — un monello graziosissimo, pittoresco come un personaggio di Disney — confessa candidamente di essere scappato da Budapest in bicicletta, con un coetaneo: un certo Làszlo Csillag, che adesso si trova in Francia In casa non c'era più da mangiare, si viveva di terrore, e cosi Daniel e Làszlo decisero di andarsene, col consenso dei genitori. Lasciarono Budapest un mattino alle 4 e mezzo, arrivarono alla frontiera il giorno dopo alle 5 del pomeriggio: percorsero i 240 chilometri quasi senza fermarsi, salvo una breve parentesi per ripigliar fiato. « Io non avevo paura » Ferenc Deak, 14 anni, apprendista in una fabbrica di tappeti a Sopron, aveva detto ai suoi: «Andrò fin dove trovo da mangiare ». Ed è arrivato In Austria. Come Ferenc Jakli, diciassettenne, che da due anni lavorava in una fabbrica di laterizi: è scappato il 4 novembre, all'arrivo dei russi. Dice che lo facevano sgobbare dieci j ore al giorno, negli ultimi tempi, e guadagnava 300 fiorini al mese: circa 6500 lire. Imre Horvath, di 16 anni, da Forad, ha lasciato la sua casa con altri sette profughi, ma quattro non hanno avuto il coraggio di proseguire fino alla frontiera. Lui non aveva paura — dice — nemmeno delle fucilate dei russi. Né un pastorello, orfano, viveva con un fratello che si era unito ai patrioti fin du n'inizio dell'insurrezione. JanoH Molnar, 16 anni, da Beled, è Bcappato sotto il fuoco dei russi il 6 novembre. Il suo coetaneo Làszlo Megyeri si è diretto verso l'esilio con un altro ragazzo; e infine Gabor Magyar, di li anni, da Marko ta, ha abbandonato Gyòr nel periodo più tragico. Lui lavorava in una fabbrica di vagoni ferroviari, suo padre era chissà dove, a combattere con tro i russi. La mamma supplì cò il ragazzo di mettersi in salvo almeno lui. Altrettanto triste il racconto di don Giuseppe Cziegler, anche lui profugo dall'Ungheria e che ha accompagnato a Torino i piccoli compagni di sventura. Don Cziegler ha 36 anni, è en- trato nei salesiani nel 1937 ed è stato ordinato sacerdote nel 1948. Insegnava religione a Budapest, in una scuola pubblica, fino a quando i comunisti gli imposero la scelta: o divenire < sacerdote di Stato >, o perdere il diritto ad esercitare il proprio ministero. Non volle piegarsi — come non si piegarono, del resto, la grande maggioranza dei preti magiari — e da sacerdote diventò operaio tornitore. Da 4 anni lavorava in una fabbrica di Budaòrs, nei sobborghi di Budapest. Il suo salario di operaio specializzato era di 1100 fiorini al mése: circa 24 milu lire. Per comprarsi l'abito che indossa — un vestito di lanetta grigia, di un tessuto assai più modesto di quello delle uniformi dei nostri ferrovieri — dovette spendere 2200 fiorini: due mesi dell'intera paga. Don Cziegler ha lasciato Bu dapest sabato scorso, quindi è stato testimone degli avveini menti più recenti e dolorosi. E' fuggito a piedi, riuscendo a raggiungere la frontiera ad Andau per mezzo dell'autostop. <ll 14 novembre, a Budapest — racconta — ho visto i manifesti dei patrioti ungheresi che annunciavano la deportazione, ad opera dei russi, di k000 uomini. Mi hanno detto che mercoledì scorso, di notte lungo la riva del Danubio i sovietici hanno ucciso 80 studenti universitari. A Vienna, da profughi giunti tre giorni fa. ho appreso che i deportati ammontano ormai a 16.000. I patrioti cercano di impedire questi cri anplasrascnmini, facendo saltare i binari, ilmcnte nella] zona di Zahony ». Dieci persone bruciate Il sacerdote ci racconta anche un agghiacciante episodio della feroce repressione russa a Budapest, c Nella piazza Morie Zsigmond, nella zona di Buda, la sera del 6 novembre è divampata una battaglia sanguinosa. E' durata fino all'una di notte. Ventitré carri armali sovietici dominavano la piazza, i patrioti disponevano di 2 tanks e di un paio di cannoni Centinaia di studenti, appostati nei portoni e agli e i ponti, specialmente nella, ■IlllllllllllllllllllllllllllllllIHIIIIIIIIItlIIIIIIIIIIII angoli della piazza, attendevano il passaggio dei carri rw-ssi pei assalirli con « bottiglie Molotov ». / russi, ad un certo punto, appiccarono il fuoco a diverse case. Poi una pattuglia irruppe in una cantina, trascinò all'aperto dieci uomini che vi si erano nascosti, li massacrò con. un colpo alla nuca e infine gettò i cadaveri nelle fiam mustdedzncdunni mimili ninnimi Illlllllllllllllllll me. Tra quei poveretti ce n'era uno'ancora vivo: appena i russi si allontanarono, fu sottratto al rogo e portato all'ospedale. La ferita alla testa non era grave, ma aveva tutte e due le gambe ridotte, un tizzone. E' morto dopo due giorni rivelando lui stesso l'atrocità di cui era stato vittima ». Se, i rusBi rimangono a Budapest — sospira don Cziegler d2aplmmd16ll Illllllllllllllllllllllllllllllllllltllllllllllllltlll — neppure fra vent'anni la città sarà risorta dalle macerie. E conclude il suo racconto con un episodio significativo. Il giorno stesso della sua liberazione, il cardinale Mindszenty era atteso ad Esztergom, sua abituale residenza. La popolazione gli aveva preparato grandi accoglienze, aveva eretto anche un arco di trionfo. Il cardinale non venne, qualche giorno dopo arrivarono invece i russi. I soldati, vedendo le ghirlande e la città in festa, ritennero che gli onori fossero destinati ad essi. Si misero a lanciare ' in aria i berretti, a gridare evviva, .a sorridere amichevolmente a tutti. Si accorsero dell'equivoco solo quando cominciarono a sentire le fucilate. A Porta Nuova, i piccoli profughi sono stati accolti da tutti gli ungheresi residenti a Torino, e salutati da don Antal per i Salesiani. Scendendo dal treno, i ragazzi apparivano disorientati, quasi impauriti da tanti calorosi abbracci. Un gruppo di bimbi torinesi ha offerto a ciascuno di ossi un dono della « Nuova Crociata », una coppia di sposi in partenza per il viaggio di nozze ha regalato ai piccoli magiari i confetti. Poi il gruppo si è avviato _ all'uscita, verso la Casa di Don Bosco a Valdocco. Lunedì sono attesi altri 20 profughi: quando il gruppo affidato ai Salesiani sarà completo, i ragazzi partiranno per la colonia di Gallipoli. Ricominceranno a vivere. Anzi, cominceranno a vivere: lontano dalla paura, dalla, fame, dalle 10 ore di lavoro ài giorno per 6500 lire al mese. Giorgio Lunt I ragazzi fotografati sul treno Insieme con 11 prete che 11 ha accompagnati da Vienna