Di tutti gli esuli ungheresi i più infelici sono i comunisti di Nicola Adelfi

Di tutti gli esuli ungheresi i più infelici sono i comunisti LA TRAGICA DELUSIONE DI QUELLI CHE CI CREDEVANO Di tutti gli esuli ungheresi i più infelici sono i comunisti Ai lutti della patria, alla dispersione della famiglia, aggiungono il dolore del tradimento subito, e la perdita della fede - Con ingenuità avevano sperato nel comunismo-sovietico, nelle sue promesse, erano sicuri della missione di pace dell'URSS - Ora hanno visto le truppe russe sparare sul popolo, sulle donne e i bambini - II. loro cervello annaspa nel vuoto come un'ala ferita (Dal nostro inviato speciale) Vienna, novembre. Che faranno in questo momento Janos, Ferenc, Josef e tutti gli altri ungheresi di cui non sapemmo mai il nome e che tuttavia hanno un posto preciso nella nostra memoria? Alcuni saranno morti in piena battaglia, altri dissanguandosi in qual¬ cstcaacleringgtr che buio rifugio; fra 1 superstiti, alcuni si troveranno in campi di concentramento e altri vagheranno alla macchia stringendo ancora fra le mani l'arma che strapparono a un nemico o ebbero in consegna da un compagno morente. Vi sono infine gli esuli, che talora incontro in Austria; hanno un'aria dimessa e lo sguardo basso, non li conforta il pensiero di essere in salvo, lontani dai pericoli, dalle sofferenze e dalle privazioni, in una terra libera e ospitale. Alcuni sono feriti, di altri vi raccontano episodi di strenuo coraggio, altri infine trascorsero la loro gioventù in prigioni politiche; eppu- re, si sentono tutti in colpa, come so fossero disertori. Sospettano di non aver fatto abbastanza, avvertono nel cuore più che con la mente che non potranno avere una vita normale, una professione una casa una moglie del bambini, fino a quando l'Ungheria sarà un Paese dominato dai russi e dalla paura della polizia segreta. Ma i piii tristi fra tutti sono sempre i comunisti; perché ai lutti della patria, alla dispersione del gruppo familiare, all'incertezza dell'avvenire, essi uniscono l'amarezza del tradimento e, quel che più conta, la perdita della fede. Appaiono corpi svuotati dell'anima, e so li costringete a discutere, se rompete il muro di sgomento, di silenzio dietro cui stanno rannicchiati per non rivelare la loro catastrofe interiore, vi accorgete subito con un senso di pietà, che il cervello di questi comunisti delusi e traditi annaspa nel vuoto come un'ala ferita. Il padre di Stefano era meccanico, al tempo di Horthy soffrì il carcere per le sue idee socialiste; morendo nel 194S disse che non gli rincresceva andar vìa da questo mondo dal momento che il destino gli viveva dato la grande gioia di vedere il suo Paese, il suo popolo, avviato verso il socialismo con l'aiuto fraterno dell'Unione Sovietica. < E davvero fu meglio per lui morire allora — mi dice Stefano. — Quanto avrebbe sofferto se avesse visto che cosa era diventato il socialismo nelle mani di un Rakosi, di un Geroe, di un Farkas; se avesse assistito allo spettacolo dei soldati russi che sparano sul popolo, sulla povera gente, persino sulle donne e sui bambini. Perché lo hanno fatto t E perché dopo aver ucciso, hanno coperto con il fango i nostri cadaveri dicendo che erano tutti fascisti t ». Questi comunisti delusi sono pieni di < perché >; e siccome non trovano una risposta nei principii socialisti appresi nelle scuole comuniste, è con un senso di angoscia che cercano di acquietarsi con una ststemazione mentale qualsiasi, non importa se provvisoria. Quanto più intima, integrale era la loro aderenza agli ideali comunisti, quanto più profonda era la loro fiducia nella missione di pace e di giustizia dell'Unione Sovietica, insomyna quanto più religiosa era la loro fede comunista, tanto più oggi si sentono orfani e derelitti. Prendete Stefano. Nelle zelanti scuole del regime gli educatori comunisti non dovettero faticare molto per levargli dal cervello le incrostazioni borghesi o liberali; figlio di operaio, il ragazzo aveva bevuto insieme col latte materno gli insegnamenti di Marx, di Lenin e di Stalin; e difatti nei vari ordini di scuole, fu sempre tra i primi, gli insegnanti lo portavano a modello come frutto della nuova generazione. Fino a ieri Stefano quasi non ebbe il sospetto che potesse esserci verità fuori del ci comunismo. Certo, ogni tanto sapeva che qualche suo compagno di studi e di giochi veniva' colto dalla polizia segreta e spariva; ma era persuaso che si trattasse di elementi fascisti. Così anche, talvolta gli accadeva di avvicinarsi a un gruppo di compagni e di accorgersi che sulle loro labbra il discorso si spegneva: ma non si curava della loro diffidenza, sicuro com'era di essere sulla strada diritta. Fu solo dopo la morte di Stalin e la caduta di Malenkov che qualche dubbio cominciò ad affiorare nella sua mente; ma fece presto a rinsaldarsi nella sua fede accogliendo, con la sincerità di sempre, la nuova verità proclamata da Kruscev. Sicché, quando scoppiò la rivoluzione il SS ottobre a Budapest, Stefano uscì di casa per andare a mettere la sua vita a disposizione del partito per la difesa della società edificata dal regime comunista. Fu solo all'ultimo momento, quando vide i poliziotti deli'A.V.O. e i carri armati russi che sparavano sul popolo, sul suo popolo, sui lavoratori, che l'istinto più che la ragione lo gettò in braccio alla rivoluzione. < In quei giorni — mi d.ce — non ebbi mai tempo per pensare; piangevo e sparavo. Piangevo di rabbia contro me stesso e non sapevo nemmeno io perché sparassi ». Nella seconda battaglia di Budapest continuò a sparare e a piangere. Ora, nel campo allestito per i profughi a Traikirschen, Stefano non piani ge più; passa le sue giornate disteso su un pagliericcio, parla pocj con i compagni, l'avvenire non lo interessa. Per il momento è intento a risolvere dentro se stesso i molti € perché » che lo assediano da ogni parte, lo pungono senza mai lasciargli un momento di requie. Il guaio è che intuisce che non riuscirà mai da solo, con la sua educazione marxista, a tirarsi fuori dal groviglio di filo spinato. Anche Imre è un tipico esemplare della generazione di Stalin; figlio di contadini trapiantati dai campi all'officina in seguitò alla trasformazione industriale dell'Ungheria, a suo tempo fu avviato verso lo studio dell'ingegneria. Fu per via della Metropolitana di Budapest che Imre fu condannato al carcere, e là, in compagnia di detenuti politici non comunisti, capì che dove non c'è libertà, gli uomini e tutte le cose che sono una loro emanazione, col tempo intristiscono, declinano, muoiono. In tutta l'Ungheria, ma a Budapest specialmente, c'è una crisi degli alloggi che per la sua gravità non può neppure di lontano essere paragonata a quella che si verificò subito dopo la guerra nelle città italiane più danneggiate dai bombardamenti. Per legge, ogni vano provvisto di una finestra deve dare alloggio a due persone; non importa che si tratti di un ingresso o di un bugigattolo. Se perciò in un appartamentino ci sono sei finestre, là devono dormire dodici persone; e tutti sono costretti a servirsi della stessa cucina, degli stessi servisi igienici. Come tuta i dittatori, anche Rakosi badava poco alle esigenze minute, quotidiane dei sudditi e preferiva spendere il denaro pubblico nelle opere grandiose, spettacolari. Nel 1950 annunciò che avrebbe risolto il problema della circolazione a Budapest dotando la città di una moderna rete ferroviaria sotterranea, I tecnici, dopo alcuni mesi di studio, arrivarono alla conclusione che, data la conformazione geologica del sottosuolo e a causa delle infiltrazioni del Danubio, era impossibile costruire la Metropolitana. Rakosi li fece arrestare, trovò altri tecnici che senz'altro eseguirono la progettazione dei lavori. Quando le frane inghiottirono uno dopo l'altro diversi gruppi di sterratori, i giornali mantennero il segreto; quando due grandi edifici di Budapest crollarono in seguito ai lavori sotterranei, Rakosi fece arrestare un certo numero di ingegneri sotto l'accusa di sabotaggio. Ad un certo momento, i lavori furono sospesi; infatti quanto più le squadre degli spalatori si avvicinavano al Danubio, tanto più aumentavano le infiltrazioni d'acqua. Il lavoro delle pompe risultò analogo a quello di Sisifo. Quando infine Rakosi si arrese, erano stati sperperati alcunt miliardi di fiorini (un fiorino vale circa 60 lire italiane) e sette fra le più belle piazze di Budapest erano in parte 0 completamente chiuse al traffico. Appunto per aver un giorno detto in un'aula d'università che sarebbe stato più saggio investire nella costruzione di appartamenti il denaro gettato nel sottosuolo di Budapest, lo studente comunista Imre B. fu condannato a dodici anni di carcere. In seguito, nelle due battaglie di Budapest, egli lottò fino all'ultimo, insieme con gli operai di Czepel, contro il regime comunista e contro chi con la prepotenza dei carri armati voleva di nuovo imporre quel regime agli ungheresi. Anche Imre B. passa ora i gliomi a Traikirschen su un pagliericcio, stordito ed amareggiato. Allorché nel carcere di Vacs scoprì il concetto e il valore della libertà, aveva immaginato che essa potesse camminare sottobraccio col comunismo. Dopo la caduta di Rakosi, quando lo scarcerarono, egli credè che fosse giunto il tempo del felice matrimonio fra comunismo e libertà. In seguito, i cingoli dei carri armati sovietici dispersero col loro mortale fragore la sua illusione, e Imre B. trovò rifugio nell'Austria. Ma né gli austriaci né alcun altro potrà, almeno per il momento, dare un rifugio alla mente di questo comunista. Talvolta di notte si mette a sedere sul pagliertecio, sbarra gli occhi nel modo allucinato dei sonnambuli e dice: « Ragioniamo ». Dolcemente i compagni di camerata lo indùcono a riadagiare il capo sul guanciale. Ogni comunista esule è un dramma spesso insoluto. Ed anche questo è un aspetto della tragedia ungherese. Non si sa quale consistenza abbia ti nuovo partito comunista H Janoa Kadar, ma è certo che i comunisti onesti e sinceri che un tempo credevano nella stella rossa, oggi o stanno con gli occhi chiusi per guardare dentro se stessi oppure hanno lo sguardo rivolto altrove. Nicola Adelfi