Morte della pietà

Morte della pietà Morte della pietà In queste settimane di angoscia come si ripensa la vicenda della generazione che fu l'ultima a conoscere la tranquillità, ad essere persuasa che jion ci sarebbero più state guerre o che almeno sarebbero durate quanto quelle del Risorgimento, due 0 tre mesi, onde sarebbe stata un unico di orrore la francoprussiana, che aveva potuto protrarsi oltre un anno; l'ultima a credere che massacri, torture, condanne senza processo, appartenessero ad un passato senza possibilità di ritorni. La vicenda di questa generazione è veramente singolare. Declini, crolli di civiltà, la storia ne registra parecchi; ma nessuno fu immediato, i romani che videro le prime invasioni dei barbari erano discendenti remoti di quelli dei giorni aurei dell'impero. Solo a questa generazione era serbato di essere in giovinezza illuminata da Tolstoi, dal bando alla violenza, dalla idea della non resistenza al male, ed in maturità e vecchiaia a trovarsi coetanea di re Alboino, di tutti gli orrori di un'età barbarica. (Ma anche in altri aspetti la vicenda di questa generazione è stata singolare. Quanti che pensano con ammirazione agli aerei che hanno superato la velocità del suono e sembrano avere infranto con ciò una legge di natura, incontrando numerosi per le grandi strade signori , dai capelli bianchi che conducono le loro vetture a cento all'ora o più, non riflettono che un'altra legge costante a tutte le epoche storiche ed a tutte le civiltà è stata rotta, quella per cui l'uomo aveva il pieno dei suoi ardimenti, dava la misura del suo coraggio, tra 1 venti ed i venticinque anni, e poi gli ardimenti si affievolivano col diminuire degli spiriti vitali. Non tanto la tecnica, quanto il fascino di questa, l'incanto del mondo magico ch'essa ha suscitato, ha portato ad infrangere quella legge, ed a far sì che il giovane che a vent'anni pedalava a quindici l'ora sulla banchina laterale alla via maestra, oggi, coi capelli grigi, compia per giorni e notti viaggr dove il pericolo è di ben altra misura, la percentuale delle vittime ben più alta). Se guardiamo solo al mondo degli eventi politici, e del crollo di valori umani ch'essi hanno suscitato, è con pena che pensiamo che il mondo della sicurezza non era affatto condannato; che non può ripetersi di esso quel che a buon diritto si può dire di certe avventure dittatoriali, che nascevano da un cervello malato, da un voluto disprezzo delle leggi dell'economia, di tutte le esperienze, e che è prodigio abbiano potuto durare alcuni anni. Quel mondo della sicurezza era sano, saldo, nessuno lo odiava né lo voleva spento. 1914: rileggo talora quell'affresco sulle origini della guerra mondiale che è il lavoro, apparso postumo e poco noto, di Lui-r gi Albertini, e mi persuado delle conclusioni, cui del resto altri pervengono (le memorie di Biilow: mai si sarebbe giunti alla guerra se Bethman Holweg, rendendosi mallevadore dell'Austria ne avesse controllato il gioco, e dopo l'accettazione quasi integrale dell'ultimatum da parte della Serbia avesse imposto all'alleata di lasciare ad un arbitrato di definire gli ultimi punti). La salvezza fu rasentata: bastava che all'inizio della procella Gran Bretagna ed Italia non avessero lasciato dubbi sui loro propositi, che ancora all'ultimo momento la Russia avesse accettato la proposta tedesca di sospendere la mobilitazione, perché non ci fosse il salto nel burrone. E la paura postuma di averlo sfiorato, sarebbe stata salutare, avrebbe fatto stare al largo dalla polveriera balcanica. Una pace separata dell'Austria (purtroppo lo scatenamento di passioni dei dieci mesi della neutralità costringeva i nostri ministri a non accettare rinuncie né modifiche • ai patti dell'intervento, ed a prendere così posizione contro le proposte del principe Sisto); una pace separata della Rùssia "(cui si sarebbe addivenuti se Nicola II fosse stato meno infantilmente inconscio delle condizioni del suo paese) avrebbero portato a delle paci che non avrebbero annullato del tutto il mondo della sicurezza. Sol che in Russia avesse vinto Kerenski ed al tavolo di Versailles avessero seduto i rappresentanti di una Russia repubblica borghese, si sarebbe forse ripetuto il 1871, con mutamento di parti: Guglielmo li prigioniero ed esule com'era stato Napoleone III; Poincaré e Clemenceau che di fronte a moti spartachisti in Germania tendessero la mano ad Ebert e si comportassero come Bismarck si era comportato con Thiers nei giorni della Comune, gli ridessero gli eserciti per domare^ la rivolta. La sconfitta di Kerenski, la vittoria del bolscevismo, l'instaurarsi del primo Stato comunista, furono gli eventi che segnarono la fine del vecchio mondo. C'era ora un corpo veramente estraneo, un sistema, una tavola di valori estetici, morali, intellettuali, una logica, inassimilabili per il nostro mondo; uno di quei distacchi radicali, quali la storia ha altre volte avvertito, come il contrasto tra mondo ebraico e greco-romano. Impossibile dire se l'uno dei due mondi distruggerà l'altro, o se lentissimamente, attraverso i secoli, come si fusero celti romani e franchi, barbari e romani, a formare nuovi popoli, cosi i due mondi potranno confluire in un nuovo sistema, per noi impensabile. Ma soppressione od evoluzione verso la confluenza, segneranno del pari una vicenda estremamente dolorosa: con vittime cruente ed incruente (vittime queste della distruzione del proprio mondo interiore, del proprio ordine mentale) seminate lungo tutto il cammino. Chi conobbe l'età della sicurezza molte cose rimpiange, ma una soprattutto: la pietà. Anche allora egoismi, contrasti, lotte; ma si rispettava e compiangeva pur il nemico, quando era vinto, quando era spento. La passione politica poteva ancora accanirsi contro qualche grande ombra che restava molesta; verso gli umili, gli anonimi, non c'era che pietà. Victor Hugo di Novantatré che mostra realisti e giacobini egualmente grandi, è un esempio del sentire comune. Oiétti che racconta l'incontro con l'esule rivoluzionario russo, Lunaciarki, mi sembra, che fa gli occhi lustri sentendo la narrazione dettagliata del regicidio di Monza, della regina Margherita che vede rientrare il re portato a braccia con l'occhio già spento; Pascoli del Carcere di Ginevra: « E l'odio è stolto, ombre dal volo breve, tanto se insorga, quanto se incateni: è la pietà che l'uomo all'uom più deve; persino ai re; persino a te, Lucheni», ci dicono quel ch'era ancora il senso della pietà nel mondo in cui nascemmo. Era la pietà di uomini sicuri. Oggi non siamo intimamente più cattivi, siamo spauriti. Ci rendiamo conto perché la belva della giungla non conosca la pietà: perché lotta per la sua esistenza, perché si sente continuamen¬ te in pericolo. Così è di noi, da molti anni; non possiamo impietosirci per-la vittima delle guardie di ferro, senza che ci appaia minacciosa l'ombra delle guardie rosse; non pensare alle vittime delle guardie rosse senza veder delincarsi l'incubo del terrore bianco. All'uomo spaurito e istintivo pensare alla difesa: hai tolto la libertà ai mici, la toglierò ai tuoi. Solo con la sicurezza lo spirito si ridesta (il dramma del soldatino che per tutta la vita sentirà orrore di aver ucciso l'altro soldatino nemico che trovò nella buca; fu la paura l'assassina). Ma non lasciamo morire la pietà. E soprattutto non illudiamoci che non sia morta perche pensiamo ai nostri che caddero o che soffrono, perché piangiamo e preghiamo per loro. Quello che va solo a chi ci è vicino, a chi è della nostra famiglia ideale, è attaccamento naturale, non è pietà. Pietà è quella che non conosce limiti, che va anche al nemico. Grande merito per gli uomini spauriti sentirla. A. C. Jemolo oiimiiiiiiimtiiiiiiin munii iiiiiii

Persone citate: A. C. Jemolo, Albertini, Bethman Holweg, Clemenceau, Ebert, Napoleone Iii, Poincaré, Victor Hugo