La mafia esercita la tirannia con busterella e mitra in mano di Francesco Rosso

La mafia esercita la tirannia con busterella e mitra in mano COME SI PUÒ' NEUTRALIZZARE LA GIUSTIZIA DELLO STATO La mafia esercita la tirannia con busterella e mitra in mano E' un'organizzazione che corrompe e uccide; tatti sanno che non minaccia mai invano - Grossi interessi, guadagni enormi - La strada del bestiame rubato: nove macellerie in un piccolo borgo ove si mangia carne, sì e no, alla domenica - Tutti taglieggiati: negozianti, imprenditori, agricoltori, operai - L'impressionante serie di delitti commessi la scorsa estate, frutto della feroce lotta tra bande rivali (Dal nostro inviato speciale) Palermo, 17 ottobre. Davanti a un ufficio comunale 'di Palermo, una trentina di persone facevano la coda per ottenere dei documenti. Un giovanotto, cartella di cuoio sotto il braccio, capelli infrisi di brillantina, dita inanellate, vistosamente abbigliato percorreva avanti e indietro la lunghezza della fila di persone ripetendo con la insistenza di un venditore ambulante una sola frase: « Certificati urgenti ». Pagando a lui una certa somma, mi paro 500 lire, ma non ho potuto vedere bene, si poteva ottenere in meno di mezz'ora il documento desiderato risparmiando due ore di coda per richiederlo • altrettante, dopo alcuni giorni, per ritirarlo. Mi sono trattenuto a guardare ed ho visto che molti, dopo un po' di attesa nella colonna, pagavano il pedaggio. Che quel giovanotto riuscisse a ottenere subito, da un pubblico ufficio, i documenti che ad un privato costano giorni di attesa, non significherebbe nulla; casi del genere si verificano un po' ovunque. Lo strano incomincia quando si scopre che davanti a quell'ufficio non può € lavorare > altri che il giovanotto lustro di brillantina perché in quel punto lo ha piazzato l'organizzazione che, con le sue influenti relazioni, controlla il rilascio dei certificati urgenti. E' un piccolo episodio, ma sufficientemente indicativo dei sistemi in uso a Paler- mo dove buona parte delle attività sono controllate da, forze extra-economiche. Una ditta internazionale produttrice di una nota bevanda gassosa non riuscì a penetrare nel mercato palermitano perché un certo « gruppo può costringere bar e caffè a vendere soltanto una determinata marca di birra di cui'è concessionario il capo. A Palermo, circondata dagli agrumeti della c Conca d'Oro », le arance costano più che a Torino e Milano perché prima di giungere al consumatore passano tra le maglie di una rigida organizzazione che pretende uria discreta percentuale solo per lasciarle vendere. ' Concludendo la sua relazione sul carovita, la Commissione' nominata dall'Assemblea regionale dice: «La causa principale che determina il carovita a Palermo è dovuta alla sopravvivenza di alcuni fenomeni associativi che, favoriti dalla debolezza di taluni ambienti responsabili, frenano la libera concorrenza e talvolta avviano i passaggi dei beni dalla produzione al consumo fuori dal libero gioco delle forze economiche ». Con l'eufemismo « fenomeni' associativi », la Commissione di inchiesta indica nella mafia la causa del disagio che affligge Palermo. Distruggerla è impresa ardua, più tenace della gramigna, la mafia rispunta rigogliosa dopo ogni tentativo di bonifica. Per assicurarsi la sopravvivenza corrompe e lega a sé gli elementi infiltrati negli « ambienti responsabili > di cui parla la Commissione d'inchiesta, terrorizza gli inermi dai quali ot- tiene, la più impenetrabile omertà,, i Nell'agosto del 1948 tra Francesco Scaletta, capo della < Cosca » mafiosa dei cocchieri, proprietario del bar € Piccolo Moka», e Giuseppe Calò, capo della < Cosca Danisinni», un rione palermitano, sorse una disputa sulla qualità di un cavallo. Si intromisero gli amici, fu fatto « ragionamento » come si dice in linguaggio mafioso, e l'incidente sembrò chiuso. Mezz'ora dopo, Quando l'armonia sembrava tornata tra i due capi-mafia, lo Scaletta estrasse la rivolteltella e fulminò il Calò. Al processo la famiglia Calò non si costitu\ parte civile, gli amici dell'ucciso testimoniarono in favore dell'assassino che, invece di trent'anìU, si ebbe dodici anni di carcere per la diminuente della provocazione grave. Tra i condoni e indulti no scontò sei soltanto, ma egli non gioì di tanta grazia, conosceva ciò che lo attendeva. Un giorno, in un negozio, incontrò un figlio del Calò che, appena vedutolo, gli sparò due colpi di pistola ferendolo alla spalla. A sua volta Francesco Scaletta non sì costituì parte civile, il giovane Calò fu condannato a pochi mesi con la condizionale per rhinacce a mano armata e tutto sembrò finito. Il H novembre 19SS Francesco Scaletta stava sollevando la saracinesca del <Piccolo Moka». Due sconosciuti gli si avvicinarono e senza dire parola gli scaricarono addosso H colpi di rivoltella. La mafia, onnipotente, era riuscita a neutralizzare la giustizia dello Stato per applicare la propria, spietata. Per il mafioso soltanto la vendetta ristabilisce un equilibrio; la polizia, tribunali, prigioni sono strumento di un potere al quale egli si sento estraneo, se non nemico. Talvolta la vendetta assume aspetti biblici. Giuseppe Calò fu ucciso nell'agosto del 19-48. I suoi amici testimoniarono m favore dello Scaletta non per fargli un piacere, ma per aprirgli al più presto le porte del carcere ed averlo tra le mani. Lo attesero sette anni, ma alla fine gli saldarono il conto. Il sistema di far giustizia sommaria del nemico dura da secoli in Sicilia ed ha creato la convinzione che chi tocca la mafia muore. Ed accade veramente così. L'omertà ed il silenzio nascono da questa secolare paura e dalla fitta rete di interessi che lega i mafiosi alle grosse sfere di influenze politiche ed economiche. Quando la polizia arresta un presunto omicida, non soltanto la magistratura non trova testimoni d'accusa, ma deve difendersi dall'assalto dei testimoni a difesa che, per lucro o per amicizia, nove volte su dieci dichiarano il falso. Poiché tutti sanno che la mafia non minaccia mai invano, l'obbedienza è rassegnata, ma tptale. Nel 10)1 l'on. Enrico De Nicola, allora capo provvisorio detto Stato, visitò ufficialmente Palermo. La mafia, che a quel tempo fiancheggiava il partito monarchico, impose la chiusura di tutti i negozi di alimentari come segno di protesta, ed i negozi rimasero chiusi. Nemmeno i commercianti repubblicani, e c'erano, ebbero il coraggio di disobbedire all'imposizione, né di denunciare i sopraffattori. La mafia può essere considerata un'organizzazione unitaria nel senso che tutti gli affiliati ubbidiscono a determinate leggi comuni, in realtà esistono tante^mafie quanti sono i personaggi che con la violenza e il sopruso riescono a crearsi un sangui¬ noso alone di prestigio. Sovente, per conservare e rafforzare tale prestigio, ma soprattutto per allargare la cerchia dei propri interessi ed aumentare i profitti, una « Cosca » mafiosa, autentica banda di criminali decisi a tutto, si scontra fatalmente con un'altra, ed allora la città trema. L'impressionante serie di delitti verificatisi tra luglio e settembre scorsi è il sanguinoso bilancio detta lotta tra bande mafiose rivali che si contendono le più remunerative zone d'influenza: i mercati ittico ed ortofrutticolo. Città e campagne, divise in settori, sono dominate dalla piovra detta mafia che impone tributi ai commercianti per < proteggere » i negozi, agli operai per garantirli che non saranno licenziati, ai disoccupati promettendogli un lavoro, agli agricoltori per fargli giungere l'acqua, preziósa più dell'oro durante, l'estate siciliana per irrigare gli agrumeti, e assicurarli contro il furto di bestiame, allo smerciatore di sigarette americane per garantirgli il rifornimento. Gl'interessi sono gross[, i guadagni enormi, le invidie proporzionali. Antonino Cottone aveva una macelleria a Villabate, piccolo borgo alle porte di Palermo. In questo centro di mille abitanti, che mangiano carne forse la domenica, vi sono nove macellerie ed i proprietari sono tutti benestanti. Il più ricco era Antonino Cottone che, partito poverissimo, due anni or sono aveva pagato mezzo miliardo una gran villa contornata da agrumeti. Il furto del bestiame in Sicilia è un reato endemico, i ladri vendono per poche lire ai macellai pecore e vitelli rubati, la carne arriva sul mercato di Palermo clandestinamente. Non è difficile arricchire anche tranquillamente, perché la mafia accoglie tutti sotto il suo ampio e tenebroso mantello. Antonino Cottone era un temuto capo mafia dei macellai, ma diventato padrone di terre volle entrare nel giro dei < giardini », cioè degli agrumeti e delle arance vendute a prezzi imposti, salda zona d'influenza della famiglia di Peri. Una notte dell'agosto scorso, mentre chiudeva la sua autorimessa, fu ucciso da una scarica di fucile a < lupara », corno dicono qui indicando i gros- sì panettoni che servono al la caccia al lupo. Due giorni dopo una identica fucilata mancò per un soffio Giuseppe Peri chinatosi d'improv* viso a chiudere a chiave la saracinesca del suo garage mentre il sicario esplodeva il colpo. Assassini e attentatori non sono stati scoperti. Questa; dicono i teorici, non è mafia, è gangsterismo < all'americana ». E' vero, ma è un sofisma. La mafia d'oggi ha tradotto in siciliano il gergo ed i metodi dei racketers di Chicago e New York, ma, per usare impunemente la violenza, continua a praticare con successo l'antico, tradizionale sistema detta corruzione. Tutti a Palermo sapevano che Gaetano Galatolo, detto Tanu Alati, era capomafia dell'Acquasanta e taglieggiava operai, imprenditori, industriali. Se non l'avesse ucciso una < cosca » rivale perché, insaziabile, voleva inserirsi anche nel giro del mercato ortofrutticolo, continuerebbe a imporre taglie senza essere disturbato. I guardiani d'acqua Sebastiano Ignoto e Salvatore Solhmal guardie giurate, furono uccisi perché non facevano giungere l'acqua agli agrumeti di agricoltori che avevano pagato la tassa ad una < cosca» rivale di quella a cui essi appartenevano. Il funzionario che concede i < certificati urgenti», quello che rilascia il porto d'arma a pericolosi pregiudicati, quello che permette ai guardiani di avviare l'acqua, di notte, quando è vietato, ad un campo piuttosto che ad altro agiscono certo in proprio, ma il sospetto che la macchia delle complicità si allarghi anche a sfere di responsabilità più elevate è giustificabile. Non deve meravigliare che i mafiosi tentino di infilarsi nei partiti politici, la necessità di conservare i privilegi acquisiti H spinge a cercare l'amicizia di personaggi autorevoli offrendo, specie in periodo elettorale, grossi servigi in cambio di un po' d'indifferenza per talune irregolarità amministrative che rendono milioni, se non miliardi. La Commissione di studio,.chiesta all'Assemblea regionale, chiarirà molte posizioni, ma intanto la mafia continua la sua opera con la busta in una mano e il mitra nell'altra. Mafia all'antica e gangsterismo moderno vanno a braccetto nella Sicilia occidentale. Francesco Rosso ì

Persone citate: Antonino Cottone, Enrico De Nicola, Francesco Scaletta, Gaetano Galatolo, Giuseppe Calò, Giuseppe Peri, Salvatore Solhmal