Il sicario

Il sicario Il sicario Una breve notizia trasmessa da Rio de Janeiro l'altro giorno, 5 ottobre, fa sapere che « il tribunale ha condannato a t'rentatré anni di carcere il sicario Joao Alicino Do Nascimicnto, il quale tentò di assassinare, la sera del $ agosto 1954. il giornalista di opposizione Carlos Lacerd.i » (ma, aggiungo io. sbagliando mira ammazzò un'altra persona). La notizia, che conclude un fatto di sangue, mi riporta alla memoria non soltanto il ricordo di Carlos Lacerda, ma anche certi suoi discorsi che facevano proprio centro sui sicari, rivelandone l'animo e il carattere. Si trattava di individuare un certo « tipo » d'uomo, che fiorisce nell'ambiente brasiliano come piaga di quella vita e come effetto d'un modo di concepire la lotta, così come da noi, in Sicilia, fiorisce un altro « tipo » d'uomo, che è il mafioso. Pochi mesi prima che il sicario Joao Alicino Do Nascimiento commettesse l'attentato, trovandomi a San Paolo, avevo conosciuto Carlos Lacerda. vivace nemico del regime instaurato dal presidente Vargas, finito poi suicida. Tra le mie carte, che sfoglio per rinfrescare la memoria, adesso vedo persino un biglietto che Lacerda scrisse per presentarmi ad un amico di Buenos Aires, il dottor Manuel Ordonez e di cui, chi sa mai per quale ragione, non mi sono servito. La prima volta incontrai Lacerda presso il parrucchiere d'un albergo; l'ultima, avanti che partissi da San Paolo, in casa di comuni amici e sempre, per poco o a lungo, il discorso andò sui sicari. Carlos Lacerda, allora sui quarantanni, è di media statura, sicuro di sé, buon parlatore e con la fortuna di emanare quel fluido che fa dire di un uomo al primo istante in cui lo si vede e quasi prima ancora che apra bocca: «Come è simpatico». Dirigeva, e può darsi che lo diriga ancora oggi, un giornale di opposizione ed in ogni numero si leggeva un suo articolo pieno di fuoco contro qualche cosa o contro qualcuno. Giudicava il Brasile immerso in una di quelle crisi che precedono la vera maturità e per questo non era un oppositore e polemista tetro o cassandrico, ma al contrario pieno di fiducia nell'avvenire. Pareva pensasse che ogni frutto acerbo deve, per forza di cose maturare e quindi era d'animo fatalistico, ma alla rovescia perché di solito ci si rifugia nella fatalità soltanto per accettare un'azione che porta alla rovina. Questo giornalista brasiliano, spavaldo denunciatore di traffici, di combriccole, di intrallazzi, d'affari loschi, di peccati altrui, sembrava muoversi in una perenne atmosfera di birraglia o, almeno, di pericolo. Non è un modo di dire retorico. Infatti gli capitava ogni tanto d'avere qualche bastonata in testa o sulla schiena, e già anche due revolverate gli erano sfilate vicino all'orecchio, senza nemmeno fare in tempo a vedere da che parte venissero. Quando Carlos Lacerda ricordava simili avvenimenti sembrava sempre sottintendere: «Se potessi parlare ad uno di questi sicari me lo farei di certo amico e la faccenda sarebbe tanto divertente da convincere gli altri a lasciarmi in pace ». Erano tutte idee campate in aria e quindi irrealizzabili. Una sera raccontò ad un gruppo d'amici, tra cui mi trovavo, quel che gli era capitato una settimana prima, rientrando di notte a casa. Aveva appena allungato la mano verso la porta dell'ascensore, quando un individuo, dall'interno, gliela apri in faccia, quasi che il caso, come qualche volta si verifica, avesse fatto il suo desiderio d'entrare concomitante, ma contrario, con quello di un ignoto, che infatti voleva uscire. I « tempi » erano stati misurati tanto bene che tutto si srflse in un attimo: Lacerda aveva ricevuto due bastonate sulla testa e mentre cadeva nell'interno dell'ascensore, il sicario scompariva. Un'altra volta, sempre parlando di queste imprese che lo vedevano involontario e passivo protagonista, disse che erano campanelli d'allarme: «Purtroppo — concluse — danno un suono cattivo e tanto debole che nessuno li sente. Non li sento nemmeno io, ma forse dipende dalla mia testa, che è fatta in un certo modo: anche a picchiarci sopra rimane sorda come una campana fessa ». Non ho incontrato Carlos Lacerda molte volte, ma sempre una faccenda di sicari, come ho già detto, si intrometteva nei nostri discorsi. Sempre gli spiaceva di dover parlare di persone che, pur lasciandogli dolorosi ricordi del loro incontro, non avevano mai una fisionomia precisa, rimanendo in maniera assurda soltanto ombre, anche se piene di muscoli e di fsetlcdsfitcstcvpsfcmrsCmes forza. Gli. scontri con questi suoi persecutori a pagamento erano, come si può immaginare, tanto rapidi e si svolgevano per lo più in luoghi tanto deserti, che Lacerda non poteva mai dire se erano piccoli o alti, grassi o magri, insomma se erano fisicamente simpatici od antipatici. Ricordo bene dove mi toccava sentire questi strani discorsi: eravamo in un caffè, chiamato il lìarhazùl. uno dei pochi che a San Paolo abbiano i tavolini all'aperto. Gli domandai perche avesse tanta curiosità nel sapere non soltanto com'erano fatti i suoi persecutori, ma anche se potevano essere fisicamente simpatici o no ed egli mi rispose : « Perché per il resto, stia certo, io so tutto di loro. Conosco il loro animo, la loro mentalità, la loro graziosa indifferenza. C'è un guaio soltanto e .glielo dico subito: sono dei leggeroni ». In quel momento Carlos Lacerda sorrideva come se fosse sul punto di raccontare qualche cosa per rallegrarci a vicenda. Ed infatti, forse nel desiderio di tratteggiarmi velocemente il carattere, l'animo e la leggerezza di questi sicari, mi raccontò due aneddoti. Ecco il primo: un tale assolda un sicario perché vada a' picchiare una certa persona, che non conosce. Chi lo paga per averne questo servizio gli spiega che deve recarsi in una determinata località e rintracciare un uomo alto, con gli occhi azzurri, una piccola macchia sulla guancia destra, due baffetti... Ma il sicario interrompe le spiegazioni dicendo: «Basta, basta così, il mio cuore è già pieno d'odio » e parte per la sua impresa. Ed ecco il secondo: un tale promette una certa somma ad un tizio se costui ammazzerà due persone. Il sicario afferma che è pronto ad eseguire l'ordine, se ne va e poi torna dicendo: « Ne ho uccisa una soltanto, dammi quindi la metà del pattuito ». Alla domanda perche non abbia ucciso anche l'altra persona, risponde con naturalezza: «Ma quella me la tengo buona per la volta prossima, quando mi troverò senza danaro ». Carlos Lacerda, per gusto ironico, per amaro piacere canzonatorio, deprecava soltanto questa leggerezza, come la si può deprecare in un operaio che non esegua con cura il suo lavoro. flIIIIIIIlllllIIIITIIilSllllltItlllllllllIIIIIIIIIIIIltlIl Simile leggerezza, che sconfina con l'imprecisione tecnica, con l'indifferenza del cattivo artigiano, con la strafottenza del pigro manovale, con la superbia dello svogliato, con l'imperizia del praticante, gli ha salvato la vita mandando al cimitero l'amico che. la notte dell'attentato, gli camminava al fianco. Adesso, l'altro ieri, in tribunale Carlos Lacerda avrà guardato il sicario Joao Alicino Do Nascimicnto per vedere se almeno fisicamente era simpatico od antipatico; e siccome è generoso posso credere che abbia, ancora una volta, deprecato la leggerezza che egli trovava tanto disdicevole in chi esegue certi lavori di fiducia. Enrico Emanuel!!

Luoghi citati: Brasile, Buenos Aires, Rio De Janeiro, San Paolo, Sicilia