Euforia di italiani illustri in viaggio per l'antica Grecia di Vittorio Gorresio

Euforia di italiani illustri in viaggio per l'antica Grecia = TURISMO E COLTURA AD UN FESTIVAL TEATRALE Euforia di italiani illustri in viaggio per l'antica Grecia Come l'on. Sceiba ascoltò le tragedie di Antigone e di Medea - Politici e poeti sotto braccio tra sogni millenari - Chi è salito una volta sull'Acropoli, ci vuol ritornare - 1 greci, ba detto Facciardi, sono i nostri fratelli maggiori - Tuttavia, una sera, è successo un finimondo - Apparve Sophia Loren, e addio augusti fantasmi; anche gli dèi furono messi in fuga (Dal nostro inviato speciale) Atene, ottobre Moglie di u:i archeologo, e lei stessa archcologa, la signora Papadimitriu narrava l'altro giorno al presidente Sceiba in visita agli scavi di Micene la terribile storia di Agamennone. Come fosse tornato dalla guerra di Troia, sbarcato dove è Nauplina, pax avvistato in marcia attraverso la pianura dell'Argolide sitibonda. Erano stati accasi fuochi sulle montar gne che proteggono la reggia e il suo lento ritorno dopo dicci anni fu così appreso, segnalato e scguvto passo passo, fino al momento che il re dei re degli Achei non mise piede sotto la Porta dei Leoni. Poi, quel che avvenne, la signora Papadimitriu lo narrò a Scclba ricordando le leggende che anche Sceiba a suo tempo imparò a scuola: la strage, la fuga di Egisto, e le v'endette successive; ilisomma tutto il sangue che ancora arrossa le montagne maledette, in primavera, tutte coprendole di una grande fioritura di anemoni scarlatti, fu quasi fatto scorrere in un fiume di parole drammatiche. Tracce di rosso, d'altra parte, sono rimaste a colo¬ rire i frammenti che si conservano del pavimento della sala da bagno dove Agamennone fu ucciso; e con la punta del suo bastone la signora ad una ad una le mostrava a Sceiba. Il nostro ex-presidente del Consiglio ascoltava in silenzio, e in perfetta obbedienza volgeva lo sguardo ad ogni cenno della guida, ed appariva pensieroso a chi gli stava accanto. Potenza delle evocazioni, veniva fatto di commentare; ogni sensibilità ne è destata ed accesa, e nell'animo nascono ad ognuno i tremendi pensieri suggeriti dalla contemplazione delle tragedie umane. Essi nascevano difatti anche in quello di Sceiba. L'ex-prestdcnte, quandotacque la guida, disse con tono di .sicurezza: « Se fossi stato io al potere, allora, tutto questo non sarebbe accaduto >. E' una battuta che gli è stata attribuita, che Sceiba forse non ha detta né pensata, ma che si addice al temperamento che quasi tutti si figurano di lui. Ma lo Sceiba turista, e turista in Grecia, è invece un caso di rivelazione di genere inatteso. Rideva, sempre allegro, ed acquistava modi disinvol- fi e gradevoli che in Parlamento ed al Governo non gli erano propri. < Chi sa perché — diceva Carlo Levi facendosi con lui fotografare fra le colonne del tempio di Poseidone al Capo Sunto — Sceiba si è messo in testa di fare l'uomo politico, quando, lontano dagli affari pubblici, riesce tanto simpatico >. Ad Atene, nel teatro di Erode Attico, sedeva in prima fila seguendo attentamente nella traduzione di Ettore Romagnoli le tragedie di Antigone e di Medea che la bellissima Anna Synodinu e la brava Ratina Paxinu recita/vano in greco: e poiché stava in prima fila e le attrici e gli attori, come'è l'uso, erano ad un passo da lui sulla platea, ed egli molto intensamente partecipava all'azione, si poteva credere che egli fosse uno del coro, e che in realtà soffrisse, si esaltasse, piangesse e deprecasse insieme ai corifei: < Ancora due tragedie greche — disse un intellettuale suo ari versarlo politico — ed è fatta la pace tra Sceiba e il culturame ». Purtroppo, richiamato da altri impegni politici che aveva preso ni Italia, Sceiba fu il primo ad abbandonare la comitiva degli intellettuali invitati a visitare la Grecia in occasione del Festival teatrale di Atene. Parti all'alba, vn aereo, come un uomo d'affari frettoloso che tornasse di furia alle aziende e alle imprese sue abituali, ma lasciandoci un poco di speranza che almeno i suoi pensieri ed i suoi gusti fossero stati mutati di quel tanto elle basterebbe a Carlo Levi per continuare a considerarlo una simpatica persona. L'idea di fare andare in Grecia sotto braccio Scclba e Ungaretti, Pacciardi e Carlo Levi, Cattani e Malaparte, ossia politici e scrittori, governanti e poeti, era sembrata bizzarra, ma si dimostrò felice. Lo disse Pacciardi una sera, facendo un brindisi in onore degli squisiti ospiti greci, riconoscendo ad essi il merito di avere contribuito ad una migliore comprensione fra gruppi di italiani di provenienze ed estrazioni e vocazioni tanto diverse: *. Ma coi ci siete riusciti, e noi dobbiamo essercene grati, ed è questo il momento di riconoscere la vostra saggezza, e anzi di ammettere sinceramente che in un certo senso voi siete un poco i fratelli maggiori di tutti i popoli occidentali*. Sceiba era già partito per l'Italia, ma l'euforia bonaria dei rimasti li disponeva a tanta tenerezza che tutti gli firmarono un telegramma affettuoso. Non era solo per l'allegria che danno le vacanze scacciapensieri, quell'euforia non era veramente tutta turistica, perché anzi c'era nella comitiva da parte di ciascuno qualcosa come un serio impegno a sorvegliarsi a vicenda per studiarsi e sorprendersi. Poi accadeva che si comunicassero le scoperte compiute: Ungaretti è un fanciullo che si diverte alle parodie dei suoi versi. La signora Nerina Scclba è arguta. Pacciardi c molto buono e balla benissimo. Carlo Levi si lascia fotografare volentieri per la gioia de% suoi ammiratori. La signora Pacciardi ha la schiettezza che viene dal buon senso. La signorina Maria Luisa Scclba ha molto senso dell'umorismo. Cattani è nato con il temperamento dell'organizzatore di qualche cosa. Ha ragione Pacciardi che i Greci sono i nostri fratelli maggiori. In pochi giorni non si visita la Grecia, ovviamente, ma l'impressione che se ne riceve subito è sufficiente a dare il gusto e il desiderio di ritornarvi, ed era appunto questa la certezza consapevole degli organizzatori, cioè che non impunemente si mette piede in Grecia, non invano si sale sull'Acropoli una prima volta, dove le colonne del Partenone parlano, come dice Cocteau: < Se le cicale tacciono, si sente il marmo che parla >. Sceiba ha promesso di tornare un'altra volta, che non sia pili la stagione delle cicale; gli sono nate curiosità che non immaginava di poter avere, ma che la signora Papadimitriu gli ha insinuato nell'animo parlandogli di Clitenncstra, di sua figlia, di suo figlio: <Non ne vede le ombre, prestdentet Non ne sente le urla fra questi massi dei Ciclopi, davanti a queste tombe scoperchiate t>. Pacciardi tornerà per uno studio più approfondito di una suggestiva tesi di storia che gli hanno prospettato : cioè che i greci reduci da Troia fossero in realtà stati messi in fuga dalle popolazioni dell'Asia Minore dove si erano stabiliti come colonizzatori. Sconfitti e profughi furono accolti nell'antica patria come nemici od importuni che venivano a turbare un nuovo ordine ormai stabilito ed accettato in loro assenza; e ne seguì una rovinosa guerra intestina ed una crisi economica insanabile; ìie profittarono i Dori per invadere il paese: € Ma tutto questo è storia, o è mitot », voleva sapere Pacciardi. c La mitologia in Grecia è più certa della storia — gli disse la signora Papadimitriu. — La storia, infatti, alla lunga si deforma, mentre il mito, alla lunga, si forma. Perché la storia è il vero che si falsifica, e il mito è il falso che si incarna ». Andaiximo fra gli oleandri della strada di Micene, in direzione di Tirinto, attraverso quella pianura dell'Argolide che è più fertile di miti che di grano. C'è un fiume, più ricco di leggende che di acque, di cui Pacciardi domandò il nome: «E' l'Inaco, se lo ricordar E' il padre della ninfa Io, che fu amata da Zeus». « Sarà — disse Pacciardi. — Certo, un paese dove i fiumi secchi generano le ninfe per la delizia del - padre degli dèi, merita che ci si torni per uno studio più attento del vero che si falsifica, del falso che si incarna, del mito che si forma alla lunga mentre la storia si deforma. Mi pare di avere ripetuto esattamente, signora-; e per cercare di capire meglio mi riprometto di tornare un'altra volta ». La sola delusione che ci dettero i greci nostri fratelli maggiori fu una sera, alla fine della rappresentazione di Medea. La brava Ratina Paxinu aveva terminato di urlare, di maledire, di strapparsi le vesti e finalmente di beffarsi di Giasone volando sul carro del Sole verso Atene, e si era presentata a ricevere le ovazioni del pub blico ammirato. Il pubblico scendeva dalle alte gradinate e si accalcava sotto il breve palco ed era- manifestamente sincero nel suo entusiasmo. Ratina è un idolo dei Green, meritamente, e i Greci d'oggi sono ancora appassionati alle loro tragedie. Euripide è un oratore che tiene a lungo il cartellone, e lo spettacolo era stato perfetto, la regìa ineccepibile, meraviglioso il coro delle fanciulle, lievissime, come aeree. Tanto trionfo per Ratina era perciò giustissimo. Ma a un tratto avvenne nella folla quasi un tumulto; ed i fotografi ne uscirono alla svelta saltatido sul palco per bersagliare un obiettivo nuovo: non più a Ratina andavano i Zampi, non più Ratina era applaudita, era cessato l'incanto tragico di Giasone e Medea; gli dèi morivano travolti dal fascino aggressivo di Sophia Loren, che era stata scoperta tra la folla degli spettatori e che gli spettatori, tradendo i miti classici, si disponevano ad onorare nella rumorosa maniera in cui si esprimono le passioni d'oggi. Anche Scclba e Pacciardi ricevettero qualche spintone in quella grande rissa di Ateniesi entusiasmati dalla pizzaiola, e gli ospiti greci ufficiali se ne scusarono con loro, profondamente rammaricati: < Vogliate perdonare questa inala educazione, ma anche questo è un omaggio a qualche cosa di italiano ». Disse Cattaui, che per l'alta statura dominava la folla e pertanto poteva parlare più pacatamente: < Capisco bene che anche questa è una forma di scambi culturali, ma sono un po' mortificato per la contropartita che il mio Paese vi offre in questo momento per la vostra Medea ». Vittorio Gorresio