FOLLA DI DON*!E ISELLA CITTA' DEI DIVORZI - di Gino Tomajuoli

FOLLA DI DON*!E ISELLA CITTA' DEI DIVORZI - FOLLA DI DON*!E ISELLA CITTA' DEI DIVORZI - Molte americane sono di fare da bambinaie al s l stanche marito A Reno, nel Nevada, si sente, giorno e notte, sparlare degli uomini che sarebbero, tutti, noiosi, infantili, piagnucolosi, e troppo remissivi - Alle accuse di queste spose irritate risponde una signora di mezza età, che fa l'avvocato e tratta centinaia di cause di divorzio all'anno ■ «Mariti cosi incolori e sottomessi, noi stesse ce li siamo voluti» (Dal nostro inviato speciale) Beno (Nevada), ottobre. Arrivai a Revo che erano le cinque del mattino, la città era ancora tutta illuminata, le strade piene di gente e d'animazione come a mezzanotte, all'uscita dai cinema. Era difficile sroprire, dall'aspetto, la via principale; tutte erano mondate di luce, tutti i net/ozi erano aperti, quelli d'abbigliamento come le sale da gioco. Queste erano dappertutto, voglio dire che ogni locale aveva, o davanti alla vetrina o nel fondo, un tavolo o due attorniato da nomini in camicie multicolori, con le cravatte slacciate, come tante vol¬ iiiiiiiiiiiiiiiitiiiii!iriiiiiiiiiirLii!iiiiiii!iiiiiiiiiii te s'è visto nei film western. E quell'impressione .suggeriva l'altra: che fossero tutti comparse, assoldate per girare un film. Mi fermai a far benzina ed accanto ai distributori notai una fila di slots machines: quattro giovani donne ed un uomo in stivaloni fino al ginocchio c gran feltro da cow-boy stavano giocando con pezzi da mezzo dollaro. Provarono una mezza dozzina di volto, una delle macchine tintinnò, s'illuminò, rigurgitò una cascaijlla di pezzi d'argento e solo allora una delle giovani donne s'avvicinò alla mia macchina. Era l'inserviente. Portava iisiiitiiiiitiiiiiiiii il 1 iiiiiiiit un abito da mezza sera, verde scuro con una cintura dorata e le scarpine dorate, aveva 1 capelli tagliati * all'italiana », come ora vuole la moda, m America. Aveva, anzi, un'aria italiana; uno sguardo altero e, insieme, interrogative, benevolo e ironico. Nessuna donna americana conosce più quel modo di guardare. Mi chiese se davvero venivo da cosi lontano come la mia targa rivelava e, poi, di controllare da me l'olio, perché non aveva voglia di sporcarsi le mani e il vestito. Lo disse ridendo, e con civetteria. Nessuna donna americana sa più farlo, a quel modo. Le dissi di non aver inai veduto, in nessuna parte del mondo, un'inserviente così carina, elegante e fresca, alle cinque del mattino. Il suo turno andava dalle tre alle undici del mattino, disse, e abitando in un ranch molto lontano non aveva avuto tempo di andarvi e cambiarsi. Ma a Reno tutto è lo stesto, nessuno .ci bada, disse; la gente non ha paura ad essere diversa, aggiunse quasi parlando a se stessa. Le dissi che suo marito sarà certo stato geloso non avendola vista tornare a casa, si sarà immaginato chissà che cosa, a Reno tutti si divertono, mi affrettai a dire vedendo che aveva smesso di pulire il parabrezza, e mi guardava, duramente. < Mio marito, disse, con indicibile disprezzo, non s'è ancora deciso se esser geloso, o no; e adesso è tardi per lui povero pesciolino bollito, perché mi sto guadagnando la strada per il divorzio. E appena l'avrò, ancora vonti giorni, torno a casa mia ». Aveva parlato con tanta intensità e spoiitaneità che non dubitai più e le dissi che non era americana. Era vicentina, di Montecchio Maggiore, disse, sposa di guerra. Per undici anni aveva vissuto in un villaggio dello Ioua con il marito ricco contadino dominato da cinque altre donne della famiglia, volitive, efficienti, pratiche. C'erano voluti dieci anni e mezzo per deciderla a ribeV- iiiiiiiMiiiiiriiiiiiitiiiiifiifiriiiit immillili ' i ! 1 " ) j j ? tarsi. « M'hanno fatta convertire perché era male esser diversi dagli altri e nel suo paese cattolici non co n'erano; m'hanno proibito di cantare quando lavoravo perché nessuno lo faceva ed era male esser diversi dagli altri; mi hanno obbligata a non sorridere perché nessuno sorride in quel posto solo per far piacere agli altri e non bisogna esser diversi dagli altri. E tutto ho sopportato perché ero innamorata di lui. Ma lui ascoltava quei cinque sergenti delle sue donne che lo trattavano comi, una ramazza ed a me parlava come se fosse stato il mio confessore e non un uomo come dico io. E così mi son decisa e gli ho detto di darmi il divorzio e mi porto via mio figlio e mia figlia... ». Amabile R. si sfogò con me per una buona mezz'ora ed io non racconto che una piccola parte delle sue amare considerazioni, e la racconto solo perché mi colpi che una donna narrasse cosi apertamente ad uno sconosciuto qualunque, le sue più infime' traversie.- atfnbutt dapprima quella mancanza di discrezione alla sua esuberanza italiana. Ma presto scoprii che a Reno, capitale mondiale del divorzio, tutti parlano dei fatti propri'come a Detroit, tutti parlano d'automobili e a Pittsburgh d'acciaio. Ma devo correggermi: non tutti, ma tutte le donne. E Reno, come si scopre appena entrativi, è una città piena di donne. La sua fisionomia, la atmosfera dominante non è data dal gioco che pure invade ogni recesso della città, ma da questa gran folla di donne, giovani, accampate di continuo negli alberghi, nei bar, nelle sale da gioco e soprattutto nei lussuosi ranch che s'annidano sulle montagne tutt'intorno alla città. Sono qui per divorziare, non per giocare e si direbbe che siano venute qui per sparlare dei mariti prima ancora che per divorziare da loro. Ne parlano tutte, una con l'altra, incessantemente, liberamente, con l'unico abbandono di cui sembrano capaci. Il ritratto composito ed astratto del marito che si potrebbe costruire in base alle loro spietate denunce, indurrebbe a credere che l'uomo, in America, è un essere mucillaginoso, immaturo, debole, piagnucoloso, irragionevole e, soprattutto, costituzionalmente inadatto ad ogni prodezza virile. Era primissima mattina e torrenti di donne, giovani e appena mature, riempivano le sale degli alberghi, i ristoranti, le sale da gioco, le strade. All'hotel Riverside, una grande sala centrale, la sala della giada verde, è il ritrovo più elegante della città. Quando v'entrai e dovetti sostare sulla soglia per attendere che la direttrice di sala m'assegnasse un tavolo, fui visibilmente, quasi fisicamente trafitto da centinaia di duri, penetranti, inquisitivi sguardi femminili. Conclusi che non è piacevole essere uomini, u Reno. Fui collocato imperiosamente al centro della sala, servito sprezzantemente da una rossa bellezza che ascoltò la mia ordinazione senza dire una sola parola. Ero tollerato e, sicuramente, condannato al silenzio. Ma attorno a me si parlava e, ascoltando, pensai che avevo udito parlare a quel IIIIIIIIIIII Illllll tllll1llIIIllMIIIHIHllll.il» modo In certe mense militari tedesche, quando parlavano dei nemici, o dei loro stessi alleati. Parlavano di < loro », degli uomini, dei loro uomini. Un branco — dedussi — d'incapaci, di deboli, d'irresponsabili, irrimediabilmente immaturi. E vanitosi, e vili e incapaci di farsi valere, succubi dei colleghi, in ufficio, e dei vicini, a casa. Quelle giovani donne, dotate di tendenze da pubblico ministero e di memoria ferrea, non erano inclini né alla carità né alla discrezione: le debolezze ed 1 sotterfugi di John, Tom e Bob erano scambiati e comunicati nella loro interezza. Per più di un'ora sperai, segretamente, di sentii denunciare, tn toni accorati e patetici, ta rottura di un cuore o, forse pure con rabbia, tradimenti, e più ancora sperai di sentir confessare, come motivo per la loro presenza in quella sala, amori invincibili, passioni alimentate o subite,lotta e viluppo di sentimenti contraddiftoru. Mi guardo bene dal generalizzare e pensare che le sole cause di divorzio fossero quelle denunciate dalle loquaci folle femminili di Reno: ma è mio compito riferire che non una, di quelle mie occasionali vietile di tavolo, accennò a sciocchezze di quel genere. I capi d'accusa erano sempre gli stessi, la lamentela costante: era impossibile vivere con uomini così infantili, noiosi, immaturi, poco virili; tutte, dicevano, s'erano stancate di far da tutrice, da madre, da bambinaia al marito. Una giovane donna stava dicendo che le dispiaceva, per il manto; poveraccio era incapace di vivere da solo, di affrontare da solo la vita; aveva bisogno in ogni cosa di lei; gli aveva promesso che avrebbe continuato a constgliarlo anche dopo il divorzio; < anche a lui, come a ranft altri, disse confermando accuse precedenti delle sue compagne, anche a lui piace essere guidato; facevo tutto 10, gli dicevo sempre io tutto quel che doveva fare, tutto, mi capitef proprio tutto ». E allora l'unica donna di mezza età di quella compagnia l'interi uppe, parlando quasi a se stessa: ma cos'è accaduto, diceva, cosa ne abbiamo fatto dei nostri uomini; mi domando se uomi¬ ni cosi remissivi e in.soddv sfacenti non li abbiamo voluti noi stesse. Il guaio mia care non credo che sia tanto degli uomini; ti guaio i che non sappiamo più, adesso, perché li abbiamo voluti così, perché li abbiamo educati, voglio dire come società femminile, ad essere cosi deboli, e incolori e sottomessi e che certo si vergognano della loro naturale personalità virile. Forse li abbiamo voluti così perché volevamo evitare di lottare per non farceli portar via dalle altre donne; o forse perché li abbiamo considerati solo come uno strumento per ti nostro personale successo. Successo 0 no, una donna ha bisogno del suo uomo. Le più giovani compagne insorsero parlando concitatamente tutt'assieme e si captavano tn quella confusione solo brani di frasi: debolezza, subordinazione abbietta, aridità, sentimentale. Poi, rispondendo a chissà quale domanda, la signora di mezz'età disse: € Lo so, perché sono avvocato, qui a Reno, e tratto da cinquecento a setcento casi come t vostri ogni anno ». Allora m'alzai, feoi un cenno di saluto e chien di parlarle. Gino Tomajuoli

Persone citate: Amabile R., Isella

Luoghi citati: America, Detroit, Montecchio Maggiore, Nevada, Pittsburgh