Due ritorni di Antonio Delfini

Due ritorni Due ritorni Ci sono dei libri che cadono e restano fuori del campo d'osscrvazionc della critica. E' il caso de La Spiaggia di Pavese e de // ricordo della Basca di Antonio Delfini. Il racconto di Pavese uscì per la prima volta nel 1942 nella collezione di Lettere d'oggi di Giambattista Vicari (ed è stato opportunamente ristampato ora dall'editore Einaudi nei Coralli, pagine 115, lire 800) e rimase sempre in ombra tanto nella considerazione dello stesso Pavese quanto nella valutazione dei critici, ad eccezione di Leone Piccioni che in un bel saggio di qualche anno fa ne rivendicava l'autenticità. Il libro a riprenderlo oggi con assoluta libertà, tenendolo staccato dall'immagine cL uno di noi si è fatta di 1 stupisce per la precisione uci tono e per la luce di realtà sicura, di novità che restituisce. L'autore diceva: « La Spiaggia... il mio romanzo non brutale, non proletario e non americano — che pochi per fortuna hanno letto — non è scheggia del monolito. Rappresenta una mia distrazione, anche umana, e insomma, se valesse la pena, me ne vergognerei ». E' chiaro che nel giudizio dello scrittore entravano elementi di carattere personale e che proprio tali elementi lo portavano fuori di strada al punto da non fargli più riconoscere che il libro apparteneva a uno dei suoi due registri centrali, cioè alla parte più staccata e libera della sua fantasia. Il Pavese proprio in quegli anni (dal diario sappiamo che La Spiaggia è stata portata a termine il 18 gennaio del 1941 ) aveva compiuto la parte più difficile della sua strada di scrittore: partito dalla stagione poetica di Lavorare stanca, dal racconto fortunato di Paesi tuoi, il libro che l'aveva fatto conoscere, da quello che secondo noi resta il suo capolavoro, il racconto Il Carcere, scritto fra il '38 e il '30 ma pubblicato soltanto nel '49, sentì che era necessario uscire dal campo della memoria e dell'esperienza diretta e impegnarsi in una descrizione più larga del mondo. Non c'è dubbio che se Pavese fosse sfuggito al suo tragico destino sarebbe stato portato a insistere sempre di più su questo motivo di rappresentazione oggettiva e — chissà — forse ci avrebbe dato quel romanzo nato dal confronto diretto fra memoria e vita che purtroppo nessuno finora ha tentato. Il Pavese era maturato proprio in questo senso e se le passioni interiori non lo avessero dominato in modo così disperato avrebbe lavorato per la storia del nostro romanzo, lasciando molto di più di un'esperienza personale condotta con dignità e — diciamo pure la parola — con spirito di sacrificio, con abnegazione. L'immagine della vita che lo scrittore lascia intravvedere dalle pagine della Spiaggia è abbastanza forte per farci capire quali fossero le sue vere capacità di intelligenza umana e come, in fondo, in lui la verità sapeva farsi strada sul compiacimento poetico; vale a dire su uno dei mali più ripetuti dei nostri narratori, e ristabilire così il senso delle proporzioni. Nella Spiaggia non c'è per fortuna lo scritture-giudice, lo scrittore che si mette al centro del mondo per offrire delle sentenze, c'è invece lo scrittore che osserva la vita e in un'apparente indifferenza suggerisce, aiuta il lettore e provoca quel momento di insensibile sollecitazione da cui deriva appunto l'immagine più probabile della piccola verità che ci è concessa. D'accordo, il racconto è un elemento per completare la figura del narratore Pavese ma la nuova lettura, a distanza di quasi quindici anni, colpisce per la novità e stupisce che in quel lontano 1942 non si sia capito o, peggio, si sia frainteso un libro che è essenziale per la causa stessa di Pavese Se uno scrittore conta, non c'è nulla di suo che sopporti l'esclusione e il rifiuto e se qualcosa non appare chiaro o resta per molti anni indecifrabile conviene non precipitare' condanne e aspettare l'aiuto del tempo. A .volte capita che siamo distratti da ragioni esterne di abitudini e di mode e si finisce per essere ingiusti 0 almeno ingannati: nel caso della Spiaggia possiamo parlare di abbaglio generale, se lo stesso Pavese aveva ratificato la frettolosa risposta dei critici e dei lettori Insieme alla ristampa dell'unico libro di Pavese rimasto introvabile, è riapparsa nelle vetrine un'altra opera che non ha mai avuto quel successo che sarebbe stato giusto avesse. // ricordo della Basta di Antonio Delfini (edizione Nistri-Lischi, sdvPnsapncécdbfirdgdsnrhonsdlczmdidcitapgms lire 900). Delfini è pagine nato nello stesso anno di Pave- se, nel 1908, ma non c'è nessun dato in comune che possa servire alla storia dei due scrittori. Pavese toccò verso i quarant'anni la piccola gloria che la nostra letteratura può concedere a uno scrittore (un premio, un po' di chiasso), Antonio Delfini non è mai uscito dal giro delle conoscenze e dalla stima di una élite. Ci sono poi le differenze che contano: il Pavese era nato da una famiglia della piccola borghesia ed ebbe una vita difficile, gli studi letterari, la laurea e poi il piccolo cabotaggio dell'insegnamento medio (aggravato dal fatto che non aveva a tessera del fascio) e le vicende politiche culminate nell'arresto e nel confino. Il Delfini è nato a Modena da una famiglia ricca e — che si sappia — non ha mai avuto preoccupazioni di ordine economico. Passò gli anni della sua adolescenza e della sua gioventù nella più assoluta disponibilità, nel gusto della più libera fantasia fra Modena e la campagna modenese, fra Firenze e Roma. Delfini apparentemente è la figuta classica del dilettante ma guai a riportare la impressione nel giudizio, si perderebbe di colpo la possibilità di conoscere uno degli spiriti più inquieti e nascosti del nostro tempo. Si direbbe che Delfini abbia fatto di tutto per non impegnarsi mai, ma chi ha il coraggio di sostenere che questo timore, questa apparente viltà non nascondano invece un animo indifeso, uno spirito toccato in partenza dall'amarezza e dallo sconforto? Su Delfini si potrebbe scrivere facilmente un «ritratto immaginario », ne verrebbe fuori con l'aiuto di colori stendhaliani e crepuscolari un capitolo allucinante ma si resterebbe fuori dalla realtà o — per lo meno — sì rinuncerebbe a capire quello che è lo scrittore Delfini, l'autore di questi racconti che sono fra i più belli dell'ultima letteratura, da vent'anni a questa parte. Il libro fu accolto dai Bonsanti nella collana rossa di Letteratura nel '38 e passò quasi inos servato; nel ripubblicarlo per invito di alcuni amici, il Delfini vi premette una lunga prefazione, che è un po' la storia della sua vita, della sua formazione provinciale, dei suoi dolori e delle sue ambizioni deluse. La storia è uno dei soliti « mostri » della sua fantasia e quindi ricca dqfapteuusdnpsfvcugcronbsdsrt> 1 illuminili imiiiiiiiMiiii di impuntature, di scherzi, di quel tanto di amaro e di beffardo che c'è sempre nelle sue parole. Sotto il Delfini che protesta o ride o finge dì uscire da una posizione drammatica con una battuta c'è una sofferenza sincera delle cose ed e proprio di qui che nasce l'umore che nutre la sua scrittura. D'altra parte. Delfini è uno dei pochi scrittori che non mette un diaframma fra la letteratura e la vita, a suo modo è un dannato che corre alla perdizione senza un minimo di pietà per sé e per gli altri. Si domanderà che cosa ' ci sia alla base della sua disperazione, del lungo delirio che o tiene prigioniero da tanti anni, si domanderà che cosa abbia sconvolto il cuore di questo signore di provincia Sono domande scnzi risposte. Resta fatto di questo singolare scrittore, resta il caso del narratore vero e di un'anima autentica. Carlo Bo >> iiiiii:rjiijiiiii[iiii)iitiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiri[ii

Luoghi citati: Firenze, Modena, Roma