La morte di Piero Calamandrei di Piero CalamandreiNicola Adelfi

La morte di Piero Calamandrei SI E' SPEZZATA UNA NOBILE VITA DI STUDIOSO E DI UOMO D'AZIONE La morte di Piero Calamandrei Una complicazione, conseguenza di no intervento chirurgico, ha stroncato l'insigne giurista - L'ultimo biglietto all'amico prima di entrare in clinica: "ti racconterò poi le fasi dell'avventura,, - Profonda dottrina ed amore per la libertà - Ostile al passato regime subì violenze è persecuzioni,eppure non gli venne mai meno la fiducia nel futuro «Domini entrerò in una casa di cura; poi ti racconterò le fasi dell'avventura ». Così si legge nell'ultima lettera inviata da Piero Calamandrei al suo allievo di un tempo e all'amico di sempre Ernesto Rossi. La lettera porta la data del 19 settembre e a pie di pagina si trova questa postilla: «La rima non l'ho studiata, è venuta da sé ». La calligrafìa è minuta, tondeggiante, le righe tendono verso l'alto da sinistra a destra; sì che si ha l'impressione di trovarsi di fronte a un biglietto vergato da Benedetto Croce. Dobbiamo credergli quando scrive che la rima è venuta da sé; nei due versi involontari c'è tutto Calamandrei. . E' difficile poter dire qui, brevemente, quanto grande fu come giurista, tanto che il sommo Chiovenda lo guardava come il suo discepolo più geniale, come avvocato, docente, nomo politico, moralista e prosatore; di lui deve dirsi che fu un-umanista, forse il maggiore umanista dei nostri tempi, tanta era la vastità dei suoi interessi spirituali. Ma come Croce, non volle mai chiudersi nella torre d'avorio della sua intelligenza e cultura. Era un uomo, con tutte le debolezze proprie dell'uomo, e gli piaceva vivere in mezzo agli uomini, mescolarsi ai loro difetti, intuirne le virtù. A sessantasette anni sentiva che molte cose doveva ancora studiare, e vedere nuove persone, scoprire Paesi vicini e lontani. Nell'ottobre dell'anno scorso capeggiò una comitiva di studiosi in un viaggio in Cina. Era già malato per una dolorosa disfunzione renale, non trovò nessun medico disposto a garantirgli un felice ritorno dopo gli strapazzi e le emozioni di un sì lungo viaggio, ma partì lo stesso; e l'entusiasmo era ancora quello degli anni giovani. A Pechino, mentre stava tenendo un discorco di saluto a non so quale ministro cinese, un dolore crudele Io afferrò alle reni; si fece forza e concluse. Sperava che la risposta del ministro fosse breve, in modo da poter correre all'albergo, farsi visitare subito da un medico; ma, ahimè, i costumi di un popolo non cambiano col mutare del regime, e il ministro cinese perse più di un'ora in cerimonie, sor^ risi, inchini: poi cominciò il discorso. Calamandrei a un certo momento crollò. I medici cinesi gli apprestarono le prime cure, 10 mfsero in condizioni di continuare il viaggio. Ma ormai il male era andato troppo in là; e stamane nella natia Firenze, nonostante un intervento chirurgico, Calamandrei ha cessato di vivere. Era sempre un divertimento ascoltare Calamandrei, tanta era la ricchezza degli episodi, degli aneddoti, anche dei fatterelli salaci che gettava nel mezzo dei discorsi più seri; e * sentirlo così conversare di - dienti gravi o drammatici e poi all'improvviso buttarvi in mezzo una storiella amena, sembrava di leggere le lettere familiari di quel suo famoso conterraneo. Niccolò Machiavelli. Qualcosa di quel suo bizzarro umore affiora qua e là nelle sue prose letterarie, anche nelle opere più meditate, di diritto o di politica. E mi dicono che a Siena, quando era 11 più giovane professore universitario d'Italia e teneva la cattedra di Procedura civile, riusciva ad animare a tal punto quell'arida materia che l'aula del professor Calamandrei era sempre affollatissima. In seguito, quando la dittatura cominciò a spegnere ad una ad una le libertà degli italiani, Calamandrei si cimentò contro manganellatnri. questurini e giudici di scarsa coscienza. A Firenze, fondò insieme con Salvemini, i fratelli Rosselli, Ernesto Rossi, Pietro Jahier, il prof. Gino Frontali e altri, il «Circolo di cultura », ch'era un centro aperto a tutte le correnti libere del pensiero moderno. La notte di Capodanno del 1924, i fascisti assalirono, saccheggiarono e incendiarono i locali del Circolo, e il Prefetto di Firenze di li a qualche giorno ne ordinò la chiusura in considerazione delle «giuste rimostranze del partito dominante ». Calamandrei aveva allora 35 anni (era nato nel 1889) e provvide a stampare alla macchia e a diffondere un suo opuscolo intitolato Delitto e casti¬ go ovvero la Patria è salva. Tra l'altro vi si legge : « Ella può rendersi conto, ill.mo signor Prefetto, che questo Circolo era Una vera e propria associazione a delinquere, degna di severa repressione assai più di una clandestina fabbrica di bombe: imperocché questi congiurati si davano a manipolare quell'esplosivo assai più potente della nitroglicerina che denominasi cultura, e con esso, periodicamente, caricavano certi ordigni infernali che non si possono toccare senza grave minaccia per il normal funzionamento di una sana costituzione. Ma, ill.mo sig. Prefetto, se l'operazione del 31 dicembre segna indubbiamente un passo verso la restaurazione della legge., molto resta ancora da fare. Noi possiamo infatti confidarle che tutti i componenti di quel Circolo, prevedendo la giusta devastazione della loro sede, sono riusciti a nascondersi nella scatola cranica, con la speranza che le autorità non se ne accorgano, una carica di quell'esplosivo di cui sopra le abbiamo rivelato la maligna potenza; con quel contrabbando abilmente imbussolato sotto il tubino, circolano indisturbati per le vie di Firenze, in mezzo ai benpensanti, che non sospettano i loro perversi intenti. Pensi se non sia il caso di ordinare anche il sequestro di questo contrabbando individuale: gente specializzata nell'aprir le scatole craniche non le manca, ill.mo signor Prefetto». Alto, magro, bruno, occhialuto, carico di energie fisiche e aureolato dalla fama di grande giurista e di eccellente letterato, Piero Calamandrei sparse a piene mani il seme della libertà fra gli universitari toscani; e furo¬ no costoro la sua più valida guardia del corpo contro le violenze dei fascisti. Qualche volta però gli squadristi, protetti com'erano dalla polizia e sicuri dell'immunità penale, ebbero il sopravvento Così avvenne il 20 gennaio 1925, quando fu inaugurata l'Università fiorentina, alla presenza del ministro Pietro Fedele e dei più facinorosi manganella'tori del fascio di Firenze. Dopo l'imboscata, Calamandrei corse alla sua tipografia clandestina e su quello che fu il primo giornale antifascista pubblicato alla macchia in Italia, Non mollare, scrisse : « L'Università fiorentina è stata inaugurata a suon di manganello. Mentre nell'aula si mescevano le solite rigovernature sull'Atene d'Italia, per le scale si stendevano i manganellatori in agguato contro gli studenti di schiena diritta. Il tutto con licenza dei superiori». L'ultima battaglia antifascista in quel periodo di libertà moribonde fu combattuta da Calamandrei al fianco di Giovanni Amendola. Ma anche quando scese la lunga notte,. Calamandrei non volle arrendersi; era certo che il sole sarebbe tornato a splèndere sull'Italia. Era per natura un ottimista; di lui Pietro Pancrazi, che lo ebbe carissimo come amiqo e che molto lo ammirava come prosatore, diceva: «Calamandrei è colui che. dopo aver visto'bene il cattivo, continua a credere al buono, non soltanto in astratto, ma in concreto, per quel tanto che ce n'è, e più per quello che ce ne dovrebbe essere, tra gli uomini». Perciò continuò a tenersi in corrispondenza col movimento « Giustizia e Libertà», attraverso i fratelli Rosselli, esuli a Parigi, con Sai- vernini a Londra, si incontrava di nascosto con Pieraccini, con Frontali, con gli amici insomma rimasti fedeli alle idee di un tempo. Nel 1941 aderì al Partito d'Azione, e ne divenne presto uno degli esponenti più in vista. Ora, dopo essere stato due volte deputato, viveva politicamente quasi appartato lavorando all'unificazione socialista in seno al movimento di « Unità Popolare». Ma marxista non era; si sarebbe potuto definirlo meglio un radicale, così forte era il suo attaccamento alle idee laiche. Semmai, coni socialisti aveva in comune un prepotente, insaziabile amore di giustizia; amava davvero i poveri, e lui che era così fervido amico della libertà, riusciva a chiudere un occhio di fronte alle dittature tutte le volte che si accorgeva che esse aumentavano la quantità di pane nella madia della povera gente. Di conseguenza, restò spesso incompreso, venne ingiustamente accusato di essere un comunista travestito da liberale, fu sospettato d'insincerità politica. La verità è che pochi hanno saputo rappresentare meglio di Calamandrei la coscienza dell'Italia negli ultimi dieci anni. Con i suoi libri, i discorsi, gli articoli, egli ha mantenuto sempre fermo che non può adagiarsi in sonni tranquilli un popolo dove pochi sono i ricchi e molti i poveri, e dove la libertà viene considerata un grazioso dono dei potenti più che un legittimo diritto dei cittadini. , Nicola Adelfi Una recente fotograna del' prof. Piero Calamandrei. (Tel.)