I processi agli animali di Francesco Argenta

I processi agli animali —= RIVIVE L'ANTICO DIRITTO NEL XX SECOLO =— I processi agli animali Un branco di orsi alla sbarra: tre condannati a morte, gei assolti - Avevano aggredito un gregge, in un villaggio della Macedonia - Storie d'altri tempi: il più bizzarro capitolo della criminologia (Nostro servizio particolare) Bolzano, 24 settembre. E' corsa in questi giorni sui fili del telefono e del telegrafo — e l'han raccolta come una ghiotta curiosità le agenzie di informazione ed i giornali — la notizia che in un distretto montano della Macedonia jugoslava, Tetovo, un branco di órsi è stato sottoposto a processo ,per -aver assalito un gregge e i due pastori che lo custodivano. L'uccisione degli orsi è proibita in Jugoslavia da un ukase del potere centrale ed i pastori, che si erano armati di picche, archibugi e pistole per dar la caccia agli animali, han dovuto desistere dalla battuta, cosi animosamente intrapresa, allorché si sono fatti avanti i gendarmi per avvertirli che gli orsi non potevano essere abbattuti. Paralizzati nei loro propositi punitivi dal divieto frapposto dalla legge, t due pastori che erano stati protagonisti della paurosa avventura, che st erano salvati miracolosamente dall'aggressione scatenata nottetempo dal branco degli orsi inferociti e famelici, han fatto ricorso al tribunale, incoraggiati e sospinti, in questo tentativo di ottenere giustiaia, dalla totalità dei valligiani. Il tribunale, a tutta prima, si é' dichiarato incompetente, poi, incalzato dalla pressione esercitata dall'opinione pubblica, a cagione del pericolo che presentava per la comunità la presenza nella plaga degli orsi, i giudici si sono risolti a chiedere istruzioni. E dall'alto, vale a dire dagli organi governativi ai quali risale il divieto di dar la cac¬ cia agli orsi, è venuta l'autorizzazione a procedere. Il processo è stato rapidamente imbastito e concluso e la sentenza è stata questa: tre orsi (i più feroci) condannati a morte; gli altri sei assolti, perché, nel caso loro, le parti lese non orane! ri**scite a dimostrare che avessero dato luogo, nelle scorribande compiute nella plaga, a spargimento di sangue. La notizia ha un fondo lepido; è .di quelle che fanno sorridere; che lasciano sospesi ed increduli. Ma — e potrà sembrare paradossale quanto si vuole — è un fatto certo ed incontroverso che l'antico diritto sopravvive o rivive, in questo nostro ventesimo secolo, negli usi nei costumi e nelle tradizioni di molte sperdute comunità del centro Europa e dell'Asia. Nelle leggi di Bammurabi, re di Babilonia — il più antico codice dell'umanità: 22!t2 a.C— era prevista tutta una scala di sanzioni per gli attentati che le bestie potevano portare all'incolumità della vita umana. E nel capitolo XXI del secondo libro della Bibbia, l'Esodo, si legge: « Se un toro colpisce con le corna un uomo o una donna, cagionandone la morte, il toro sarà lapidato: nessuno dovrà mangiare la sua carne ed il padrone del toro dorrà ritenersi innocente ». Sulla base di questi antichissimi insegnamenti e comandamenti si è sviluppato lungo ti corso dei secoli, soprattutto nel medio evo, quel sistema punitivo che ha per soggetti attivi del reato le bestie domestiche e quelle che vivono in libertà. Gli archivi che conservano le vecchie carte sono zeppi dei « verbali di udienza » dei pro¬ cessi intentati contro animali domestici o no, talora, anche, contro sciami dt insetti e di parassiti colpevoli di aver fatto strage dei raccolti o di essere stati portatori dei germi di dilaganti e mortifere epidemie. Bla non è da credere che i principi! e le concezioni cui si ispiravano gli elaboratori del .diritto e gii interpreti della legge in questo campo cosi singolare della repressione penale, fossero senz'altro insensati ed aberranti, non si uniformassero a criteri e preoccupazioni giuridiche che anche i dottrinari di oggidì potrebbero sottoscrivere e condividere. Nell'evo di mezzo, come si sa, per talune categorie di pericolosi ed incalliti malfattori era prevista come sanzione il marchio in fronte o la mutilazione: il taglio di una mano, l'ablazione del padiglione auricolare, ecc. Orbene, accadde che un onest'uomo, dedito all'allevamento dei porci, ebbe ad essere addentato da un animale allorché gli stava recando il cibo: ne ebbe asportato, di netto, il padiglione auricolare sinistro. Ciò lo poteva far confondere con un malfattore ed il caso mise a rumore il campo dei giuristi; trionfa, naturalmente, la tesi che all'onest'uomo dovesse essere data riparazione, che la sua riabilitazione — ancorché fosse incolpevole — dovesse essere pubblica, ed i giudici sentenziarono che l'animale responsabile della mutilazione subita dal topino doveva essere impiccato « haut et court», sulla piazza del paese, alla presenza della, totalità dei valligiani. Quello che può, tuttavia, sorprendere maggiormente in questa storia di processi agli animali (il più bizzarro capitolo della criminologia, se, netta sistematica della modernissima scienza, potessero trovar posto e cittadinanza questi primitivi esempi o conati di difesa sociale) è l'ossequio alla forma, il rispetto rigoroso dei canoni tramandati e consacrati anche oggi dai codici di rito, cui obbedivano, senza eccezione, { procedimenti. Il giudizio non era mai. sbrigativo o sommario, si snodava con tutte le cautele della procedura. E se-era previsto l'incarceramento, la cosiddetta detenzione preventiva, al giudice incombeva l'obbligo di notificare gli atti istruttorii che andara compiendo; di spiccare in tempo la citazione per il giudizio, mentre integra e salva, in ogni caso, rimaneva la possibilità di ricorrere in appello. Nell'anno di grazia 1479, i maiali allevati da certo Etienne Lesueur, a Generville, straziarono orrendamente una piccina. Contro i colpevoli fu instaurata l'azione penale. E il giudizio, a cagione dei gravami suscettibili di essere opposti in sede di appello, si trascinò per la bellezza di quindici anni: si conchiuse nel '94, con una sentenza di condanna capitale. Ma, nel frattempo, i maiali responsabili dell'episodio erano morti: i carcerieri ne avevano fatto salami e salsicce. In Francia, dove la prassi repressiva contro la delittuosità degli animali ebbe ad attingere una applicazione estensiva ed intensiva, forse, non registrata altrove (ma anche i nostri vecchi statuti erano inflessibili nella repressione e le pene comminate erano le stesse di quelle applicate oltr'Alpe) neppure la rivoluzione riusci a far tabula rasa delle medio- evali costumanze, a convincere dell'assurdità dei processi intentati contro gli animali. Il 17 novembre del '93, il tribunale rivoluzionario decretò la morte per un cane che si era avventato contro un gruppo di «ottimi e sinceri repubblicani », addentandone qualcuno ai polpacci. Alla bestiola fu data la morte con la pubblicità che si dava all'esecuzione dei reazionari, dei controrivoluzionari. E, naturalmente, con una procedura d'emergenza rispetto a quella tradizionale ed i cui capisaldi ci sono tramandati da A. Franklin. < Allorché — ricorda lo storico — era segnalato un misfatto commesso da un unir fv male; J'atttoritd competentesi'metteva subito in moto. L'animale era arrestato e incarcerato nella prigione del distretto in cui avrebbe dovuto essere giudicato. Di tutti gli atti istruttorii era redatto un processo-verbale che andava ad ingrossare il dossier. Accertato il crimine, il magistrato inquirente stilava l'atto di accusa. Il giudice, dopo aver sentito i testimoni, emanava il verdetto. E della condanna — di solito capitale — veniva data notificazione all'accusato, nel carcere ove era rinchiuso ». Il condannato non capiva, naturalmente, niente, ma il diritto, la procedura, non avevano subito violazioni, uscivano indenni ed immacolati dallo sbocco della vicenda. Senonché è da aggiungere che gli animali, domestici o no, per fatti semi-delittuosi o colposi, erano perseguiti anche in via civile fi amministrativa. E una delle sanzioni, in quest'ultimo caso, era il decreto di espulsione. Le cronache ci tramandano a diecine i casi in cui i giudici si pronunciarono in questo senso. Ma ci tramandano, anche, le arringhe, pronunciate da avvocati di grido in difesa degli animali o degli insetti tratti alla sbarra. Eccone un esempio: « Sono state evocate dinanzi ai giudici le gesta di un branco di bestiole che non possono difendersi (si trattava, nella specie, dt una miriade di bruchi che avevano infestato le campagne). Esse sono mute, non possono far sentire la loro voce in giudizio; non hanno la possibilità di presentare memoriali per contrastare l'accusa, per dimostrare la loro innocenza: sono esseri privi della capacità di ragionare... ». E la conclone, si conchiudeva, invariabilmente, con l'enunciazione di massime latine: « Cum enim principale causa non consista... » con quel che segue. E u « quel che segue » portava, naturalmente, alla richiesta di assolutoria. Sono passati gli anni, i decenni, i secoli e l'antico diritto sopravvive. Se ne ha l'eco non solo nella Macedonia, ma in molte altre regioni. Persino in certe Provincie montane della Oermania, come han riferito le cronache di pochi mesi or sono. Francesco Argenta

Persone citate: A. Franklin, Etienne Lesueur

Luoghi citati: Antico, Asia, Babilonia, Bolzano, Europa, Francia, Jugoslavia, Macedonia