I tassì della Marna

I tassì della Marna I tassì della Marna Finora i molti dottori che negli ultimi quindici anni si sono avvicendati al letto della Francia malata hanno sempre rispettato un metro di valutazione unico, istruendo i loro processi alla luce livida e cupa della disperazione e della negazione. Per questo colpisce subito l'accento diverso dell'ultimo libro di Jean Dutourd, Les Taxis de la Marne (pagine 275, frs. 590, ed. Gallimard): una testimonianza che si basa sul senso dell'onore e della patria con degli accenti che fino a ieri sarebbero stati giudicati vieti e rettorici e che derivano una nuova forza dalla passione, dall'amore di chi li ripropone al' l'attenzione dei lettori. Jean Dutourd non ha ancora toccato i quarantanni, ciò significa che nei quadri di una letteratura prudente come quella francese è considerato come un giovane. E aggiungiamo noi, un giovane che si è affermato al di fuori delle scuole e dei gruppi d'avanguardia: chi ha Ietto un saggio come Le Complexe de Cesar e ' quel romanzo d'impianto batacchiano, perfettamente riuscito ai fini del piacere e del divertimento, Ait bori beurre, ha imparato a non perderlo di vista e a considerarlo come una delle voci più sicure e autentiche di questo grigio e informe dopoguerra. Caso mai, se c'è una cosa da notare, una sorpresa da registrare è che questo processo alla Francia venga da uno scrittore che vuole essere soltanto piacevole e che rifiuterebbe la vecchia definizione di engagé. Il fatto è che il Dutourd è uno scrittore engagé suo malgrado e proprio con Les Taxis de la Marne si schiera con quel piccolo gruppo di scrittori che-ancora non hanno perso di vista l'interesse del proprio paese e sono pronti a battersi pei un'idea. Naturalmente, il suo intervento fa pensare a quelli 'jen più famosi e importanti di Sartre, di Mauriac o di Camus soltanto indirettamente o, meglio, per contrasto: ciò non toglie che il Dutourd finisca per combattere la stessa battaglia di difesa e di resistenza. 11 Dutourd, attraverso una tumultuosa confessione, intende portarsi come esempio, non tanto per quello che ha fatto, quanto per quello che ha subito e sofferto. La guerra del '40 lo tro vò soldato senza convinzione e intellettuale legato al clima del tempo, devoto, cioè, a una fórma di sufficienza basata sulla presunta forza della Francia. Venne la disfatta e il Dutourd come migliaia di altri francesi preferì darsi prigioniero, credendo di trovare in quello stato la porta della libertà e delle comodità della vita civile. A questo punto la crisi, da cui dipende in fondo la trasformazione dell'uomo Dutourd. Preso nel giuoco della meditazioni 10 scrittore avverti che la vita vera è legata alla resistenza e che, nel suo caso, la resistenza cominciava col dovere di evadere. Dopo l'evasione, continuò sulla strada della scelta: il giovane Dutourd entrò nelle file della Resistenza, in un gruppo vicino ai comunisti, e nell'ambito del suo dovere compì imprese molto più ardue, molto più dure di quelle che di solito si richiedono a un soldato. Ma se a questo modo la coscienza dell'individuo era a posto, restava però da risolvere 11 problema di carattere generale, restava intatta la questione della comunità francese. Il Dutourd non crede a nessun sistema, si chiami comunismo o fascismo o occidentalismo, il suo esame va più a fondo e tocca un punto vivo: la Francia cede al vizio della comodità, del rifiuto delle responsabilità, insomma è vittima volontaria di una facile, perniciosa anarchia. Il libro del Dutourd ha soprattutto un valore indicativo, in quanto nessuno potrebbe cercarvi dei rimedi ai mali che minano la Francia. E' importante perché è un grido d'amore e, a modo suo, un atto di vita in un tempo che sembra votato ai silenzi della complicità e alla rinuncia. In parole povere, il Dutourd dice: non c'è salvezza senza resistenza, senza ostinazione e fonda la sua tesi su motivi che nessuno aveva più avuto il coraggio di riprendere: la forza di carattere, l'onore, la fedeltà, il patriottismo, la grandeur d'ime. 11 giovane scrittore rifacendo a grossi tratti il quadro degli ultimi quindici anni avverte che è indispensabile passare dall'esprit de Fescalier, a cui purtroppo si rifanno gli uomini responsabili del paese, all'esprit de contradiction e si ferma sull'immagine gloriosa dell'episodio ' dei tassi della Marna quando il generale Gallieni nel 1914 fermò l'avanzata tedesca su Parigi. Da quel momento nessuno ha più creduto al dovere di opporsi, di resistere mentre a poco a poco subentrò in tutti uno spirito di accomodamento e di dimissioni, la lunga stagione del fallimento inteso come condizione di vita. Il grido d'amore di Jean .Du tdrtvnénzcrtcgmcstnzsnsfdd8ftldtdttqaetsscFmgttsscpqpldrgtz tour come tale non può essere discusso e non per nulla il Mauriac ne ha sottolineato la qualità e la forza. Ma, detto questo, va subito aggiunto che il libro non ha una forza di costruzione é — tanto meno — di persuasione: ci sono troppe contraddizioni, troppi passaggi ingiustificati, non documentabili, si direbbe che l'amore abbia impedito a volte allo scrittore di raccogliere i frutti della sua indagine coraggiosa. Dal punto di vista del documento, il libro suggerisce altre cose: per esempio, che qualcosa si muove nella nuova letteratura francese, che stanno per nascere altri eroi e che all'esaltazione dei falliti, dei perdenti si sostituisce finalmente una visione più rosea, un'intelligenza positiva della vita. Qualche mese fa è uscito a dirittura un'epopea dei falliti, il Journal d'un rate di Henri Pollès (pagine 353, ffs. 870; ed. Gallimard), una confessione del nulla e ir libro potrebbe essere l'ultimo di una lunga serie, cominciata prima dell'ultima guerra e che -ha avuto il periodo di maggior splendore con la letteratura di Sartre. Il Dutourd sta dall'altra parte, crede nella vita, punta sulle qualità attive e rifiuta la facile anarchia della gente senza fede e senza speranze. « Non si creda che scriva tutto ciò senza dolore o con quella specie di voluttà odiosa dei pessimisti giustificati! No, è tutto il contrario, quando scrivo: "La Francia muore, la Francia è morta " so di scriverlo col sangue: so di ratificare lamia morte e di trasformarmi in un fantasma errante nell'Occidente deserto ». Il Dutourd crede esclusivamente nell'idea della Francia e qui — caso mai — sta il punto debole della sua difesa: quando sembra proporre il suo paese come l'indice stesso dell'umanità si avverte il pericolo di un ritorno allo sterile e retto-' rico nazionalismo. Ma facciamo la parte dovuta alla polemica e gettiamo tutta la luce sull'impeto del grido, sul gesto d'amore del Dutourd e avremo la sensazione che c'è qualcosa di nuovo, almeno una coraggiosa presa di posizione, il merito di aver parlato per primo. D'altra parte, lo scrittore non vuole proporre nessuna soluzione radicale, si limita a fare la storia di un fenomeno, il racconto delle sue sofferenze di francese e mi sembra che ci sia riuscito. Chissà che il libro non sia davvero l'indice di una trasformazione e di un ritorno a una visione concreta della vita e la condanna di una letteratura negativa che da tempo ha esaurito la sua funzione, il suo compito di rottura. Chissà che non cominci davvero una stagione diversa, fatta di cose semplici di sentimenti elementari e soprattutto di piccole verità rispettate, insomma il tempo di una fede minore, indispensabile all'ordine della vita quotidiana. Carlo Bo

Luoghi citati: Francia, Parigi