«La finta semplice» ©pera buffa di Mozart dodicenne

«La finta semplice» ©pera buffa di Mozart dodicenne NEI CORTILI DI CA> PISANI A VENEZIA ===== «La finta semplice» opera buffa di Mozart dodicenne Il prodigioso fanciullo la compose in quattro mesi - U libretto farraginoso di Goldoni e Coltellini - Nella considerazione critica l'opera è manchevole; né le strofette galanti, né le scene farsesche, né la pantomima d'un ubbriaco riuscirono azzeccate (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 17 settembre. Dei melodrammi che Mozart compose nel terzo lustro solamente La finta • semplice è stata più volte ripetuta durante il bicentenario. Inaugurò nel gennaio le settimane salisburghesi, ha circolato nei teatri d'Europi., ed eccola in Ca' Pisani a soddisfare una duplice curiosità, la biografica e l'artistica. A questa tarda fortuna, che prevedo breve, molto ha concorso l'iniziativa di Bernhard Paumgartner, mozartiano zelantissimo, il quale, oltre a provvedere a concertazioni in parte o in .tutto lodevoli, secondo le locali condizioni, e questa è parsa difettosa specialmente per l'inintelligibilità dei recitativi, ha anche fornito ai lettori di musica una facile sintesi per canto e pianoforte, (edizione Bicordi), utile alla divulgazione, malgrado qualche mutilazione e qualche ritocco. Un'altra commedia avrebbe meritato, a mìo parere, un ricordo, Bastiano e Bastiana. Caratterizzata, benché esile, questa vale più della Finta semplice, anche per la convenienza del soggetto all'animo infantile; ma la maggior corposità, quindi la previsione del pubblico interessamento, ha favorito la scelta dell'* opera buffa in tre atti», che Francesco I desiderò ed ottenne. L'accennata distinzione del¬ la curiosità biografica e della valutazione vuol essere fondamentalmente osservata. L'aver Mozart steso a dodici anni questa impeccabile partitura è indubbia cagione di meraviglia grande, e più grande di quella che le coeve opere per strumenti, meno complesse, ancor oggi destano. E' tuttavia da ammettere che se tanto era lo stupore' dei contemporanei, i quali avevano sotto gli occhi un prodigioso fanciullo e non potevano prevederne il divenire, altrettanto è il nostro, ma anche diverso. Quella straordinaria capacità iniziale ci pare per così dire aneddotica o documentale nel confronto con la maturità alta e illimitata. A quell'eccezionale precoce ciascuno osava proporre qualche ardimento, un'improwisazione al cembalo, una sonata, un oratorio, quasi per goderne la sicura prontezza, l'immancabile precisione. Quella volta, soggiornando i Mozart a Vienna, fu l'Imperatore che gli suggerì il cimento in una commedia. Sema esitazione, ottenuto dal Coltellini, fiorentino,, un libretto che parzialmente rimpastava quello di Goldoni intitolato La Anta semplice, in quattro mesi, dall'aprile al luglio 1768, terminò i ventisei pezzi. Beghe e contrasti, non ancora chiariti, impedirono nella capìtale'la rappresentazione, che avvenne il primo maggio dell'anno seguente nel palazzo dell'Arcivescovo a Salisburgo. Ohe s'aspettasse soltanto una prova di versatilità e un'occasione di divertimento, è attestato. dalla natura del testo, inadatto a un ragazzo, sia per-l'intreccio farraginoso, che, a dipanarlo, leggendo, è fastidioso, quanto faticoso a seguirne in teatro gli episodi, sia per certi accenni erotici, che se stimolavano la ingenua immaginazione, non potevano essere intesi nella intimità. Toccò forse al padre, consigliere e custode scrupoloso, spiegargli le. allusioni di questa strofe'tta: Cosa ha mai la donna Indosso Che mi piace tanto tanto, Se la guardo, in lei m'incanto, Se la tocco mi fo rosso, E che caldo ella mi fa! e di quest'altra: Quando sor. vicino a lei, Vale a dir solus cum sola, A un'occhiata, a una parola. Mi riscaldo, mi fo rosso, Mi par ch'abbia il fuoco addosso, Sento il sangue in ogni vena, Che ribolle e fa blo, blo. / documenti della vita non han finora rivelato a qualche impudente freudiano t dati della sensualità di VoU fango impubere, o appigli alla scoperta dì chi sa quale torbido complesso. Perfino André Michel, psicanalista della musica, ne tace. Sta il fatto che le ariette aggiunte da Mozart a quei medìo- cri versi goldoniani e coltelliniani, (ma il Fiorentino ne fece di migliori, allorché esemplò il Calzabigl), sono insipide, quanto, del resto, le altre, di diverso oggetto, in questo spartito. Da cameriera Ninetta arruffa la matassa. Poiché il capitano Fracasso ama donna Giacinta, i cui due ricchi fratelli, uno femminìere e l'altro misògino, sì oppongono al matrimonio, ella induce la baronessa Rosina, la bella sorella di .Fracasso, a conquistare, fingendosi < semplice », quei due goffi, e beffarli. Alla fine Giacinta sposa Fracasso, e Ninetta il servitore Simone. Dialoghi stupidi, strofette leziose e sparse a caso dilungano i qui prò quo e gli espedienti. Di tali sciocchezze il teatro comico nel Settecento abbondava in tutte le nazioni. Ma non la quantità, e neppure il successo delle cose vili, per quanto diffuse in un tempo, influiscono sull'opinione di chi cerca la qualità. Che un siffatto viluppo scenico gli sia convenuto -meglio d'un altro, cui urgesse'ro osservazioni psicologiche e consapevolezze di espressioni, è probabile. Come avrebbe potuto sbrigarsi t Soltanto tratteggiando, tipeggiando: il vanitoso, lo spavaldo, l'astuto, la frivola, la popolana, la nobile, cosi come nelle commedie d'intrattenimento avevano fatto e ancora fecero i maggiori operisti. Ma egli non seppe. Benché palesemente ricalcasse i modi, gli stili, le risorse, dei più noti italiani cultori delle varie specie dell'opera comica, non gli riuscì di disegnare un carattere, né di far coerente la commedia. Le arie e le altre forme presero per lo più l'avvto da motivi, di cui la grazia o la pesantezza, l'agilità o la lentezza,- sembrano suggerite dall'aspetto esteriore del personaggio o dall'avvenimento; per esempio, una certa agitazione vocale e strumentale nel punto in cui Fracasso e Cassandra grottescamente duellano. Lo svolgimento seguiva meccanico, e perciò riesce uggioso, monotono, quanto più prolisso. Gli insieme, alla conclusione degli atti, pare non debbano mai finire. Gli è che la successione di molti episodi diversi, anziché ravvivare l'attenzione, come accade ascoltando gli elaborati finali delle più ispirate ed organiche commedie, stanca con le inerti aggiunte e con la vana insistenza di frettolose figurazioni orchestrali. Un sol punto m'induce a una speciale considerazione, ed è quello, assai buffonesco, nel libretto, denominato Pantomima. Cassandro s'è ubbrìacato, il fiato gli puzza, e Romina non lo vuole vicino. Ricorrendo ai gesti, come i mutoli, le domanda se vuole amarlo. Rosina, secondo la didascalia, gli « risponde con cenm, a capriccio, che non significano niente ». L'altro le € domanda con cenni se vuole esser sua moglie ». La burletta continua. Poi Cassandro, efacendo dei cenni a piacimento, si va addormentando ». Rosina < piano piano gii si accosta e gli mefite in dito l'anello » rubatogli. Quegli si sveglia e stupisce nel rivedere il gioiello... A questa burletta, tutta di < a parte > recitativi, Mozart diede un accompagnamento prima soave, malinconico, « Adagio», alla maniera d'un notturno, interrotto da qualche battuta c Poco allegretto », poi nuovamente malinconico, e un'altra vol¬ ta brioso, fino all'entrata di Fracasso. Se tentiamo di intendere quale pensiero abbia indotto Mozart a un accento patetico, e tanto improprio, una sola ipotesi sembra verisimile: la morbida cantilena preluderebbe al rilassamento, al spnno di Cassandro. Accettata questa supposizione, non si pud non riconoscere che tanta delicatezza è del tutto sproporzionata alla bassezza della vista. Nelle considerazione dunque non biografica ma critica, La finta semplice è manchevole, manchevolissima, quanto, in ogni secolo e luogo, i mille e mille < melodrammi », di cui il < melos », la . musica, non reca « drammi ». E dramma, come intimo moto lirico, è la sostanza dell'opera d'arte, senza di che si ha, quando si ha, niente altro che un passatempo soddisfacente. Un esempio immediato: nel corso delle stesse < Vacanze ■musicali » s'è qui ascoltato la giocosa Semiramide in villa, dove almeno un abbozzo caratteristico dei personaggi c'è. Ma Paisiello, obietterà qualcuno, aveva allora trent'anni! E chef Neanche fosse vissuto trecento anni, avrebbe dato Don Giovanni. A. Delle Corte

Luoghi citati: Salisburgo, Venezia, Vienna