La fortezza del Kalimedgan

La fortezza del Kalimedgan IL LIBRO DEL GIORNO La fortezza del Kalimedgan Non o'è dubbio .ohe La fortezza del Kalimegdan (Bompiani) sia un libro scritto da un giornalista: e veramente Stefano Terra vi ha profuso le sue doti di < reporter », il suo gusto dell'osservazione rapida, sia nello schizzo di un volto o di un carattere, sia nella varietà di Impressioni colte da un paesaggio di città 0 di campagna, riassunte in una linea breve e nervosa. Ma non si tratta qui soltanto di una peregrinazione di terra in terra, alla ricerca di un colore o di una atmosfera; colore ed atmosfera sono piuttosto i mezzi con cui è resa palpitante un'altra ricerca, ben più ricca di umanità. Il protagonista, Ferrerò, giornalista giramondo, si trova impegnato, suo malgrado, in una singolare amicizia: l'amicizia per un uomo che non ha mai veduto, di cui conosce soltanto il nome, Giovanni Brua, e che non è altro che lo spettro della sua prima delusione d'amore, il ragazzo ricco che gli portò via — e più tardi sposò — la ragazza su cut al erano cristallizzate le sue prime aspirazioni amorose. Ma poiché deve ritrovarlo, questo Giovanni senza volto, dichiarato disperso nel Balcani, e ne insegue tenacemente le lievissime tracce attraverso 1 paesi d'Oriente e d'Occidente cosi che a poco a poco diven¬ ta il compagno inseparabile delle sue notti e delle sue giornate, egli si fa più vivo e reale delle vive creature che lo circondano e di cui sa cogliere a rapidi tratti le caratteristiche pittoresche. Il dramma di Giovanni Brua, che è sfociato in quel suo ostinato celarsi, dopo aver tagliato i ponti con tutto il suo passato civile e borghese, è in realtà anche 11 dramma, conscio o inconscio, di Ferrerò stesso, e dei tanti altri della loro particolare generazione perduta, che hanno lasciato 1 brandelli delle proprie illusioni e dei propri ideali sui campi di battaglia. E che alla fine egli rintracci 11 disperso, forse felice, in altro ambiente, chiuso fra altri affetti, e si allontani senza ayerne veduto il volto, è senza dubbio il tratto più efficace e forse sottilmente simbolico, di questa vicenda assai plausibile, narrata senza rettorica e con il piglio veloce del racconto giallo, e pure cosi dolorosamente umana. E' chiaro d'altronde che le premesse spirituali da cui si sviluppa il rifiuto di Giovanni Brua a riaccettare le condizioni della sua vita precedente la grande frattura della guerra, sono le stesse su cui è fondata l'inquietudine del Terra stesso: cosi che il con tributo autobiografico arric chisce di una esperienza vissuta quello che potrebbe parere gratuito e talora superficiale. E mi piace accostare a questo racconto scaturito da uno stato d'animo non riscontrabile forse in altri tempi, uno scarno libretto / lunghi fucili (Einaudi) in cui Cristoforo M. Negri, ex-tenente degli alpini del «Vestone», narra senza enfasi e quasi senza letteratura, ma con una sensibilità poetica ed una esplosiva carica di' amore e di indignazione, le memorie del caposaldo di Ukranska Bullowo sui Don e della ritirata tragica: lo stesso tema che Rigonl Stern, che di quel gruppo era sergente, aveva svolto. In altro registro, in II sergente nella neve, uno del più bei libri scritti sull'ut tima guerra. I lunghi fucili sono quelli che 1 nostri alpini sparavano — quando il gelo non 11 aveva Inceppati — contro 1 parabellum, 1 cannoni e i carri armati russi; ed il loro ufficiale, che ha imparato dai suoi soldati la grande lezione umana della semplicità e della solidarietà, traccia di questi uomini eroici, tutti caduti tranne due, un profilo auste ro, indimenticabile, che va oltre la cronaca, pur appassio nante, di una guerra combattuta senza mezzi e senza spe ranxa. a. gì.

Persone citate: Cristoforo M. Negri, Del Giorno, Einaudi, Giovanni Brua, Rigonl Stern, Stefano Terra

Luoghi citati: Vestone