La mostra dei Carracci a Bologna di Marziano Bernardi

La mostra dei Carracci a Bologna DIPINSERO PER SALVARE UN IDEALE La mostra dei Carracci a Bologna Loro grande compito fu quello di far sopravvivere l'eredità enorme del Rinascimento agonizzante nei suoi valori più alti - Oggi nei locali dell'Archiginnasio si apre lo straordinario torneo in cui si misurano attraverso ben 116 dipinti e 250 disegni i tre grandi artisti: i fratelli Agostino e Annibale e il cugino Lodovico (Dal nostro inviato speciale) Bologna, 5 settembre. Atteso dagli studiosi e intenditori d'arte di tutta Europa, in quanto tra l'ultimo spiro del Rinascimento ed il trionfo del Barocco la famosa « riforma » carraccesca è problema essenziale della civiltà figurativa europea, si apre domani a Bologna, negli illustri ambienti dell'Archiginnasio, lo straordinario torneo in cui si misurano, nelle loro qualità diverse ed eccelse, attraverso ben 116 dipinti e eso disegni, i tre maggiori Carracci, cioè i fratelli Agostino (1551-1602) e Annibale (1560-1609) ed il cugino Lodovico (1555-1619). Tanto più atteso, questo cimento bellissimo, avvincente, perché da esso si attende, due anni dopo , la superba Mostra, nella stessa sede, di Guido Reni (Mostra che sta nella memoria anche per il recente vasto volume di Cesare Gnudi e Gian Carlo Cavalli, edito dal Vallecchi), un ulteriore chiarimento della grande pittura bolognese cinque-secentesca, fino a ieri così poco esplorata da eccitare l'ironia di un erudito quale è il Kurz, circa l'impegno assuntosi di scrivere — a proposito dei disegni relativi a questa pittura — « per un pubblico che non esiste »: mentre trecent'anni fa la rac¬ 11 [11 f : 11111e i m i j ! ! 11:11 ! ! 111111 i11111i 11 m i ! i111 m 11 i o colta e lo studio di tali disegni eran l'orgoglio di collezionisti tipo il Padre Resta, come testimonia il suo « Codice » ambrosiano, adesso pubblicato in magnifico facsimile dall'editore Pizzi, ad iniziativa di un istituto bancario. Chiarimento, ad ogni modo, che, nelle intenzioni dello Gnudi, soprintendente alle Gallerie bolognesi, si perfezionerà con successive mostre del Domenichino, dell'Albani, del Quercino, a illuminare l'eredità della celebre « Accademia » dei Carracci e la parabola del nuovo astro di Cento, che Lodovico, due anni prima di morire, salutava « miracolo da far stupire chi vede le sue opere ». Occorre rilevar subito l'ampiezza culturale di codeste imprese assuntesi da Bologna. Si tratta di vere e proprie mobilitazioni di specialisti, nei quali lo scrupolo dell'indagine filologica è pari alla sensibilità del gusto, alla sottigliezza del giudizio; ed . educati, i più, alla scuola di Roberto Longhi che già nel rS5 dava impulso dalla cattedra a quella ripresa di studi sull'arte bolognese, polemicamente eccitati dal Ragghianti due anni prima. Ne viene che queste mostre, meglio d'una manifestazione temporanea, sono occasione d'una fioritura di ricerche 11111 ì-1 f 11111 r 11111 r 1111111111j 1111 f 11i 11r 11iir 11111 che nella loro fitta dialettica gettano nuove basi critiche all'esame di problemi che senza un simile apparato di erudizione sarebbe impossibile affrontare. Già di per sé il catalogo, nel caso presente, con l'ammirevole prefazione dello Gnudi, con le esemplari schede dell'Arcangeli (per Lodovico), del Calvesi (per Agostino), del Cavalli (per Annibale), con la bibliografia minutamente curata dallo Emiliani, ci dà un testo che fin d'ora si dichiara indispensabile a qualsiasi « ampliamento > (nel senso longhtano) della « officina » carraccesca. Ma ecco, con tempestività felicissima, Francesco Arcangeli, sul fascicolo di Paragone uscito in queste ore, proporci la sua geniale visione relativa agli € Inizi dei Carracci», trenta pagine d'eccezionale rigore esegetico su una delle più ardue questioni della storia artistica italiana, « primo importante frutto — come osserva lo Gnudi — desìi studi sorti nel clima » di una Mostra che appena domani s'inaugura. Diciamolo pure con una punta d'orgoglio, sebbene senza la minima retorica nazionalistica: dove, nella restante Europa, ed anche al di là dell'Atlantico, altrettanta cautela e maturità e serietà r11111 ■ i f » i r1111 )1111 ; 11 )1111r 11111111111j 11 f r 1111t m11111 nel palesarsi della cultura artistica contemporaneat E, qui, Bologna non fa eccezione: è la regola delle altre grandi mostre storiche italiane. Oltre il richiamo all'importanza, in genere, della pittura bolognese fra il Cinque ed il Seicento, in particolare una meditata messa a fuoco di quella dei Carracci s'imponeva, non foss'altro che per sfatare definitivamente il mito di un < eclettismo » che sarebbe stato — « non fu — la tomba della loro arte, e ohe ormai risulta essere il frutto non di una teoria formulata e professata nel seno stesso dell'<Accademia>, bensì di un'errata interpretazione a posteriori (e si rammenti in proposito il < sonetto » che il Malvasia attribuì ad Agostino, e nel quale si paria del < disegno di Roma*, dell'*, ombrar veneziano^ del < degno colorir di Lombardia >, e di quella saggia dosatura di Michelangelo, risiano, Correggio, Raffaello, che avrebbe dovuto costituire l'ideai ricetta del buon dipingere), schematizzata su formule correnti. Dove, nei tanti esempi che la Mostra offre, la fredda scelta dei moduli ed il sagace loro rimpasto t Forse soltanto, a tratti, in Agostino, spesso divulgatore, con l'incisione, degli altrui capolavori. Ma immuni ne restano il candido affettuoso Lodovico, ed il fluente sensuale poeticamente immaginoso Annibale, favolista senza rimorsi e dubbi controriformistici nel capolavoro decorativo di Palazzo Farnese. Altro l'assunto, l'ideale, e talora forse l'illusione dei due Carracci maggiori: del « naturalismo velato di pietà» (Arcangeli), della religiosità schietta, completa, istintivamente assimilatrice delle norme impartite dalla Controriforma (si pensi al « Discorso intorno alle immagini sacre e ' profane » pubblicato dal cardinale Paleotti nel 158S proprio mentre si formava la personalità di Lodovico), del più anziano; e dell'entusiasmo classicistico del più giovane cugino. Per dirlo con le parole dello Gnudi, essi st proposero il grande compito di salvare, superando culturalmente il Manierismo, la eredità enorme del Rinascimento agonizzante nei suoi valori più alti, di « rimeditare la tradizione abbeverandosi alle fonti più genuine con una freschezza nuova di impressioni, con una inusitata larghezza di orizzonte »; insomma di cercare un nuovo rapporto con la natura per inserire quanto avanzava di quella grande civiltà «in un nuovo più scorrevole, comunicativo discorso». Tutto ciò con la consapevolezza del declino della cultura « nella quale essi stessi si erano formati»; ma appunto traendo da questa non passiva consapevolezza la convinzione che la temeraria impresa era possibile. E che lo fosse lo constatò il Longhi (e lo constatiamo davanti ad una buona parte di queste opere, davanti al Battesimo di Cristo di Lodovico, proveniente da Monaco, come davanti alia Madonna in trono di Annibale, proveniente da Dresda) osservando che < la gente dei dipinti carracceschi è più vera, meno distaccata, più cordiale che non siano i personaggi < cromatici > di Tiziano, quelli <ritmici> di Raffaello, o i sassi divinizzati di Michelangelo »; perché ai Carracci sta a cuore non di evocare questo o quello stile, « ma come l'incarnazione affettiva di essi,, ora cioè quella fastosa floridezza, ora quell'atteggiata eleganza, ora quella rupestre potenza, e ridottele a costume, a ethos, muoverle più vicine a noi, in un tono dolcemente illusivo di vero ». Riforma, supr&fna lotta per il salvamento di un ideale, quella dei Carracci; non rivoluzione come quella del Caravaggio, al quale tuttavia, pur nel contrasto, seppero suggerire qualche parola. E se divario grande è fra il lombardo e gli emiliani, il risultato non è connesso con gli intenti, ma con le differenti stature del genio. Marziano Bernardi —■ «-♦-. Annibale Carraccl: Ritratto di una vedova (Parigi, coli. pr.).