Cavour e l'Europa di A. Galante Garrone

Cavour e l'Europa 11 congresso di storia del Risorgimento Cavour e l'Europa Domenica 2 e lunedì 3 settembre sono continuati, all'Università di Torino, i lavori del congresso di storia del Risorgimento, folti di comunicazioni di alto livello scientifico e di vivaci dibattiti. Qui non si può che accennare ad alcuni dei temi trattati. Nel complesso, si è raggiunto un notevole ampliamento di orizzonti. Come auspicava il Valsecchi, 11 problema italiano, Imposto da Cavour all'attenzione della diplomazia, è stato in questi giorni veramente < calato > nella realtà europea: una realtà intricata, difficile, ingrata più di quanto comunemente non si pensi. Cospicuo è stato anche l'apporto degli stranieri a questo approfondimento storiografico. Jacques Droz ha lumeggiato l'atteggiamento del Parlamento di Francoforte di fronte ai problemi delle nazionalità nel 1848-49. Contro poche isolate voci di esponenti della sinistra, la maggioranza si oppose alle aspirazioni del Trentino, della Boemia, della Polonia, rivelando una volontà esoansionistica, e una cruda sollecitudine degli interessi della grande borghesia tedesca Caldeggiava, insomma, una politica ben più aggressiva e pericolosa di quella che sarebbe stata più tardi realizzata da Bismarck. Quel parlamento non era, come si crede dal più, un'accolta di professori, bensì di uomini ben attenti ai problemi economici e militari. Il Salvatorelli, che presiedeva, he sottolineato, accanto a queste preoccupazioni realistiche, il peso dei fattori ideologici e sentimentali. Il DI Carlo, il Gohring, li Godechot hanno chiarito altri punti marginali. Il Mack Smith ha illustrato le reazioni inglesi di fronte all'irruzione, che parve anche audace e spregiudicata, di Cavour sulla scena politica europea. Questa comunicazione, ricca di spunti e anche suscitatrice di non infondate obiezioni, ha insistito sulla quasi infastidita preoccupazione britannica per la disinvoltura di Cavour, e sul valore che l'Inghilterra annetteva alla funzione antirussa dell'Austria e alla sua amicizia. Bellissima e documentata la comunicazione del Bariè sull'atteggiamento dei <whigs>; gustosa quella del Blaklston. Il Berti ha parlato della Russia, il Vicens Vives della Spagna; il Tamborra del panslavismo, e delle insanabili fratture fra gli stessi slavi; il Bédarida della opinione francese e 11 Guichonnet della stampa savoiarda durante n Congresso; il Boyer del governo della Seconda Repubblica. E tanti altri lavori dovrebbero ancora esser menzionati. Il Camerani, il Fansini, il Mastellone hanno parlato della Toscana e di Napoli. La sonnolenza del Granducato, la sua professata e attuata < politica dell'oblio > in quegli anni decisivi — quasi che si potesse elu dere, con l'immobilità e col silenzio, la questione italiana — e l'involuzione, inerte e retriva, della politica napoletana confermano che, nel 1856, questi Stati erano ormai irremissibilmente tagliati fuori dal vivo gioco delle forze, e che nel Piemonte, divenuto in quegli anni una « piccola Italia in miniatura > (come ha ricordato il Maturi), si raccoglievano tutte le fondate speranze di un'azione risolutiva sul campo diplomatico. Anche la conferma, alla luce di nuovi documenti, di quel che già era apparso a vecchi storici come Nlcomede Bianchi, è uno dei risultati da mettersi all'attivo di questo congresso. Alla sera, pranzo offerto ai congressisti dall'Amministrazione della Provincia. Al termine, elevate e commosse parole del prof. Grosso, presidente della Provincia, e dei professori Ghisalberti e Bédarida. A. Galante Garrone