Quello che c'è dietro di Luigi Salvatorelli

Quello che c'è dietro Quello che c'è dietro La conferenza di Londra si è puntualmente e felicemente aperta (dove sono andate a finire le frettolose previsioni di coloro che la vedevano già deserta, o prorogata?), e lavora regolarmente. Così l'affare di Suez è in mano della diplomazia, nella forma classica della grande conferenza internazionale. Primo compito di una diplomazia che sappia il suo mestiere è quello di svelenire le questioni, di semplificarle, di mostrare che il diavolo non è così brutto come si dipinge, cioè che le parti in controversia non sono così ostili, così lontane come pareva fino a ieri ; che, perfino, già si profila, se non un'intesa concreta, almeno la via non impervia su cui potrebbe essere raggiunta. Non abbiamo nulla da obiettare contro un simile procedimento, e contro i relativi commenti ottimistici dei giornali. A un patto, tuttavia: che non si perda dì vista, dietro le formule semplificatrici e le possibilità generiche di conciliazione, la sostanza della controversia. B colonnello Nasser, nella sua conferenza stampa, che ha trovato così benevo li ascoltatori e commentatori occidentali, ha detto, contemporaneamente, - che nella gestione del Canale nessuno deve ficcare il naso all'infuori delle autorità egiziane — cioè, praticamente all'infuori di lui —; e che egli non è contrario ad una garanzia internazio naie dell'apertura libera e paritaria del Canale mede simo. Come si nassa concretare una garanzia internazionale senza un controllo internazionale; e come un controllo internazionale possa avere risultati effettivi sen za un diritto garantito (cioè, appoggiato ad una forza) d'intervento nella gestione del Canale, il co lonnello Nasser non l'ha spiegato ; e non pare che gli siano state fatte particolari premure perché lo spie gasse. Questa, però, è la que stione essenziale. Il ricono scimento generico, tante volte ripetuto da Nasser, dell'impegno egiziano già esistente, non vale nulla per sé solo, anche se si prescinda — e non si può prescinderne — dalla violazione sistematica che di quell'impegno il Governo egiziano ha fatto da più anni a danno di taluni utenti. Quel riconoscimento generico il colonnello Nasser non può farlo senza denunciare la convenzione di Costantinopoli del 1888 e il trattato anglo-egiziano del 1954. Ma se dietro la libertà del Canale c'è la questione della garanzia effettiva di questa libertà, dietro tutta la controversia insorta tra Nasser e i « grossi » occidentali c'è un'altra questione, che va molto al di là del Canale, dell'Egitto e anche di tutto il Medio Oriente. E' la questione del comportamento dei nuovi governi — « di colore » — tutti, dal più al meno, nazionalistici, e quasi tutti dittatoriali o almeno autoritari — di fronte ai vecchi, e più particolarmente alle Potenze ex-coloniali. Ne abbiamo già toccato; ma è proprio il caso del repetita iuvant. Molti sordi sono in giro per il vasto mondo. La questione, a porla in termini precisi, si può enunciare così. Esistono principi di diritto internazionale comuni ai governi nuovi e ai vecchi? Riconoscono, i governi nuovi, quei principi di convivenza internazionale che i governi vecchi riconoscono e praticano? Nessun dubbio che il presidente Nasser abbia violato principi di diritto internazionale, e tanto più di convivenza internazionale, con la « nazionalizzazione » della Compagnia del Canale di Suez compiuta in quel tempo, in quei modi, in quelle circostanze. Ma egli li ha violati anche più con i suoi discorsi oltraggiosi e incendiari contro gli Occidentali, con i suoi incitamenti e aiuti alle insurrezioni coloniali antifrancesi, con le sue richieste perché Israele sia cancellata dalla carta del globo. In questo ultimo punto hanno gareggiato con lui, e magari l'hanno superato, altri governi arabi; e nessuno ancora ha ricordato loro che uno Stato membro delle Nazioni Unite il quale domandi lo sterminio di un altro Stato membro, diviene indegno di appartenervi. E c'è tutta un'altra serie di violazioni di accordi fondamentali compiute dai nuovi governi a danno dei vecchi. Abbiamo segnalato recentemente un atto del genere da parte dell'Indonesia; ma crediamo che altri anche niù gravi ce ne siano da segnalare in Tunisia e al Marocco. Sarebbe ora che i governi vecchi si intendessero tra loro per domandare il ristabilimento del diritto comune a favore di tutti. Altrimenti gli europei — almeno gli europei occidentali non appartenenti all'impero del Caudillo — finiranno per divenire una specie di paria. E sarebbe bene che i governi occidentali facessero, a questo proposito, un discorso chiaro e onesto all'U.R.S.S. Vogliono, o non vogliono, a Mosca, la convivenza? Oppure essi la intendono nel senso che l'U.R.S.S. rechi maggior numero di noie possibili agli Occidentali, seguitando a richiedere i migliori trattamenti per sé? Luigi Salvatorelli

Persone citate: Nasser