Quasi certa la vittoria di Stevenson nella Convenzione democratica a Chicago di Gino Tomajuoli

Quasi certa la vittoria di Stevenson nella Convenzione democratica a Chicago 11 programma sol problema dei negri ha capovolto la situazione Quasi certa la vittoria di Stevenson nella Convenzione democratica a Chicago 11 suo equilibrio nella questione razziale ha fatto crollare gli arditi progetti di Harriman e le sue probabilità di successo - Truman dichiara che lotterà sino all'ultimo - Già cominciate le votazioni (Dal nostro inviato speciale) Chicago, 16 agosto. Adlai Stevenson si è addormentato la notte scorsa, disfatto dalla stanchezza, rauco e con gli occhi arrossati dai fumo, ma con l'esilarante certezza di aver raggiunto un trionfo personale che gli era stato accanitamente contestato ed insidiato proprio dagli uomini che hanno goduto finora il maggior prestigio fra i membri del partito democratico: egli ha conquistato da solo, contro tutti, la designazione del suo partito a candidato presidenziale e l'ha conquistata in misura così travolgente da autorizzare la previsiono che questa notte, quando il presidente della Convenzione Sam Rayburn darà inizio ai ballottaggi, lo sua nomina avverrà per acclamazione o sarà raggiunta subito dopo il primo ballottaggio. Al termine della drammatica giornata di ieri, una giornata in cui tutte le manovre gli intrighi, le campagne d\ voci e di insinuazioni avevano avvolto i ventisei piani de) « Conrad Hilton » come in una nebbia densissima, egli potèva contare su almeno 300 voti in più di quanti aveva al mattino e, comunque, quasi 100 in più rispetto ai 686 e mezzo necessari per assicurarsi la nomina fin dal primo ballottaggio. Sino a quando il programma politico del partito non venne presentato alla conven zione, nessuno poteva sapere se le delegazioni degli undici Stati del Sud avrebbero accettato definitivamente la formula di compromesso elaborata pazientemente, in tre giorni di manovre e di concessioni reciproche, fra Stevenson e i capi politici sudisti. Ma tutti sapevano che i capi della fazione progressista (i senatori Lehman del New York, Douglas dell'Illinois ed il governatore del Michigan Williams) sostenuti dai capi della minoranza estremista Harriman e Truman, avrebbero lottato; si diceva che avrebbero lottato senza esclusione di colpi per difendere un programma di diritti civili che riconoscesse alla popolazione negra del Sud il pieno appoggio legale delle autorità federali contro le misure dilatorie e velatamente sccessionlste dei credenti nella supremazia bianca. Si temeva che sarebbe bastato una appassionante invocazione di qualche estremista del Nord o del Sud prò o contro la semplice menzione della sentenza della Corte Supremo contro la segregazione nelle scuole nel programma elet- forale, per far scoppiare le passioni razziali e far crollare come un castello di carte la generica riaffermazione del principio democratico sull'eguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge ed ai benefici della cittadinanza. La vittoria o la sconfitta di Stevenson dipendevano dall'accoglienza che la convenzione riunita avrebbe dato a questa parte del programma elettorale. Tutte le altre parti, sulla politica estera, quella interna, quella atomica, quella economica e fiscale esprimevano la ragionevole moderazione tipica di Stevenson e così rispondente al sentimenti dominanti ora in tutti gli Stati Uniti e fra « due partiti. Nessuna seria minaccia poteva- venire dalla discussione su quei punti. Il dramma cominciò quando jil presidente della Convenzione, il vecchio ed espertissimo parlamentare e sostenitore di Stevenson, Sàm Rayburn, capo della maggioranza democratico alla Camera dei rappresentanti, pose alla Convenzione due quesiti: di dover adottare il rapporto di maggioranza sulla formula di compromesso, oppure discutere quello di minoranza, presentato da quattordici dei 108 membri della commissione che aveva elaborato la formula? La Convenzione avrebbe dovuto rispondere con una maggioranza di si o di no. La risposta fu indescrivibile e, per un presidente meno esperto o meno deciso a salvaguardare ad ogni costo l'unità del partito, del tutto incomprensibile. I cijiquemiia delegali balzarono in piedi, urlando in modo inintelleggibile la loro decisione. Le insegne degli Stati. i cartelli di propaganda per questo o quell'aspirante vennero freneticamente agitati pei attirare l'attenzione di Rayburn. Le bande contribuirono al bailamme, attaccando a suonare marce militari o canzoncine che esaltano il modo di vita del Sud. Nel suo palco, su uno dei lati dell'arena, Truman. scuro in volto, sorvegliava ansiosamente la scena di confusione e di fracasso. Immobile sul palco alto dell'arena, il calvo, arcigno, Sam Rayburn scrutava ogni settore della Convenzione. Solo lui seppe leggere in quella confusione o solo lui « volle » leggere in quel frenetico e indecifrabile modo di esprimere una decisione politica, il verdetto che i « no » superavano di gran lunga i « si ». E con viso di sfinge, ma con un'autorità che fece ammutolire come per incanto quegli indemoniati, decretò che la Convenzione decideva di non respingere la relazione della commissione dei 108. Bisognava ora superare il secondo ostacolo prescritto dalle regole di procedura dell'as- semblea: deve ora la Convenzione approvare la versione proposta dalla maggioranza f Ancora una volta la Convenzione tuonò, riempì di suono potente, solido, l'immensa volta dell'arena. Nessuno poteva onestamente sostenere — in buona fede — di distinguere un si da un no. E più ancora del suono, la vista della Convenzione avrebbe confuso ogni osservatore meno provveduto di Rayburn. Decine di delega zioni agitavano le insegne dei loro Stato, significando di vo lere la parola per chiedere un appello nominale di tutti i loro membri; era evidente che molte, se non tutte le delegazioni, erano divise nel loro atesso seno fra sostenitori e oppositori della formula di compromessi e il regolamento procedurale prescrive che in questi casi il presidente della Convenzione deve accoglierne la richiesta. Ma il presidente può esimersene se riesce a determinare, « nella sua coscienza », che le delegazioni favorevoli a le urla di approvazione superano chiaramente quelle sfavorevoli. Le delegazioni contrarie, sot toponcndo le corde vocali dei loro membri ad uno sforzo davvero straordinario, riuscirono per un istante a soverchiare gli altri fragori e farsi fuggevolmente riconoscere da Rayburn. Truman capi che l'ora della sconfitta era suonata anche per lui, oltre che per i sostenitori della politica avanzata e progressista. L'America non vuol sentir parlare, quest'anno, di nuove conquiste sociali, di nuove lotte. Cerca istintivamente, pazientemente, in modo opaco ma irresistibile, soluzioni di compromesso, vuole l'accordo, non la lotta, la moderazione, non l'impegno a combattere per nuove conquiste sociali o ideologiche. E, da buon politico e da lottatore generoso come è sempre stato, si alzò e con poche frasi irose e un poco convulse fece un appello perché la Convenzione accettasse il verdetto della maggioranza e appoggiasse al momento del voto la formula di compromesso su-!la questione dei diritti civili. Egli sapeva che, in quel preciso istante, faceva crollare anche ogni speranza per la candidatura di Harriman e dei progressisti. Ma il vecchio Truman è amato proprio per questo, anche da coloro che egli, nell'ardore della lotta politica, colpisce con ogni arma: perché non solo crede, ma proti ca la democrazia. E continuando a dissentire, .«» inchinò al volere della maggioranza, difendendo come fattibile e realizzabile il programma sui di ritti civili. Da quel momento l'azione passò dall'arena della conven¬ zione ai conciliaboli fra i sostenitori delle opposte fazioni, nascoste dietro il sipario di seta artificiale che avvolge il podio del Presidente. Per due ore, delegazioni di ogni Stato si succedettero dietro quell'ospitale rifugio, mentre la convenzione approvava senza contestazione il programma di politica estera che impone ai democratici, se vinceranno le elezioni, di sostenere Israele contro gli arabi, di assicurare la libertà di navigazione nel Canale di Suez, di cooperare ad ogni progetto di collaborazione internazionale. Alla fine i conciliaboli si conclusero con il trionfo più completo dei liberali moderati, trionfo assicurato dalle regole di procedura, che tolsero ai dissenzienti, con complicate disposizioni legali, ogni possibilità di far udire la loro voce. Erano quasi le due del mattino, quando la convenzione approvò il programma politico. Mezz'ora dopo, Stevenson — che attendeva nella sua stanza d'albergo che la lotta si concludesse — ricevette il primo dei preannunci di vittoria: il capo della delegazione del New Jersey gli fece sapere di aver comunicato ad Harriman che la sua delegazione gli ritirava il suo appoggio, e che lo avrebbe dato a Stevenson. Prima che spuntasse l'alba quell'esempio era ripetuto altre cinque volte: uno dopo l'altro, i grandi Stati che comandano alla Convenzione i maggiori blocchi di voti si dichiararono per lui. Harriman ■ che si è svegliato virtualmente sconfitto ed ha accusato lo scoraggiamento che ormai domina nelle sue file, si è presentato nel pomeriggio alla Convenzione per ripetere questa dichiarazione di intransigenza: lotterò senza tregua per i miei principia qualunque cosa accada. Truman da parte sua ha dichiarato che lotterà sino all'ultimo aiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiifiiiiiiiiiiiiiiiiiiii turno di votazioni per non far eleggere Stevenson; ma la vittoria di quest'ultimo appare già scontata. Quali saranno i rapporti fra Truman e Stevenson è facile prevedere: Truman continuerà come individuo a sostenere principia avanzati e a criticare la impostazione moderata del partito e del candidato presidenziale, ma lo farà in sordina difendendo pubblicamente e sostenendo con la sua abituale energia Stevenson nella campagna elettorale contro t repubblicani, che comincerà in settembre. Ma è diffìcile che ad un politico così accorto e sperimentato come Truman, sfugga il significato profondo della vittoria di Stevenson Mentre per i repubblicani e per Eisenhower, la lotta elettorale contro Truman ed il vecchio partito democratico non presentava alcuna incognita, la lotta contro Stevenson e la sua politica liberalmoderata si presenta difficile. Il programma moderato di Stevenson fa concorrenza a quello moderatissimo di Eisenhower, ma a favore del primo può giocare il fatto di aver saputo unificare su un comune denominatore accettabile da tutta la Nazione, senza distinzione di partito, il Sud ed il Nord. E poiché in onesti anni l'America non è divisa da alcuna grande questione economica e politica, c può esserlo solo dalla questio ne della integrazione fra bian chi e negri nelle scuole e ne gli impieghi, che è stata acuita indubbiamente dalle decisioni del governo repubblicano, aver unificato il Nord ed il Sud, e aver adottato una politica di integrazione di grande moderazione, potrà forse contare sulle decisioni degli elettori di novembre come e quanto la questione della salute di Eisenhower. Gino Tomajuoli rdsPoAldiiiiiiiiiiiiiiiiìiiiitiiiiiiiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiifii Stevenson mentre pronuncia il discorso alla Convenzione del partito democratico (Radiof.)