Il governo, il soldato e la divisa di Francesco Argenta

Il governo, il soldato e la divisa Il governo, il soldato e la divisa I tribunali militari fanno paura in tempo di guerra, ma fanno paura, anche, in tempo di pace. E non già perché i componenti dei collegi siano dei cerberi, insensibili alle ragioni di umanità da cui potrebbe essere influenzato il giudizio, ma perché la legge che sono chiamati ad applicare è, in ogni caso, severa; ispirata ad un rigore che, per ipotesi analoghe od assimilabili, la legge comune sconosce e ripudia. Ho visto, più di una volta, 1 tribunali militari concedere le più stupefacenti attenuanti (i vecchi codici contemplavano quella della /orza irresistibile, un, formula vaga ed elastica, che trascendeva, nella sua portata discrezionale, i limiti della diminuente prevista dalla legge comune nei casi di infermità mentale) pur di ridurre in qualche modo le conseguenze della pronuncia che erano costretti ad emettere; ho visto, più di una volta, 11 generale od il colonnello che presiedeva il collegio, interrompersi, emozionato, nel dare lettura di una sentenza di condanna, mentre gli occhi dei giudici — tutti uomini che non mancavano, di ardimento e coraggio, come facevan fede i nastrini al valore che avevano appuntati sul petto — si andavano gonfiando di lacrime. Ora, la questione che sorge quando si discorre dei tribunali militari e dei problemi connessi al funzionamento della giustizia militare è, appunto, quella della severità della legge. Dura lex, sed Icx... Anche 1 recenti dibattiti che si sono avuti, entro e fuori del Parlamento, quando è venuto in discussione il progetto di legge sulla competenza dei tribunali militari: le tempestose polemiche che hanno accompagnato e coronato le discussioni, hanno avuto per isfondo o motivo la durezza delle sanzioni che la legge penale militare commina. Chi è insorto contro la competenza dei tribunali militari a giudicare di determinati reati compiuti dai cittadini che non hanno ancora raggiunto il traguardo del congedo illimitato, non si è rifatto solo ai precetti della Costituzione, ma anche al supposto o reale arrière-pensée del governo, consistente, secondo l'o¬ pinione dei più, nel proposito di imporre la giurisdizione militare — più severa di quella comune — per i detrattori del governo e delle istituzioni. Se così fosse, al tribunali militari potrebbe muoversi la taccia di conformismo? Una sentenza del tribunale supremo — pres. Grandini, est. Ciardi, P. M. Galasso (conci, conf.) — toglie ogni dubbio in proposito: conclama l'indipendenza dall'esecutivo dei giudici militari; enuncia principi che mentano di essere segnalati. Al suo arrivo a] reggimento, un soldato, tale Pacor, prese ad inveire contro il governo, sostenendo che il « governo democratico aveva portato nel Paese la miseria e la fame ». Poscia, proseguendo nella sua turbolenta filippica, se l'era presa con il servizio che era chiamato a prestare, con la divisa che g!-' avevano fatto indossare: «Maledetta divisa...; quando ce la terranno sarà sempre tardi... ». Agli sfoghi del Pacor, assisteva un commilitone, tale Miorin, il quale, invece di intervenire, tappando la bocca al compagno, sottolineò, divertito, con sghi gnalzamenti e compiaciuti commenti, le sue apostrofi colorite ' e roventi. Per questo, anche il Miorin fu mandato a giudizio: vilipendio del governo e delle Forze armate. Ebbene, il tribunale supremo ha sentenziato che « affermare che il governo ha portato nel Paese la miseria e la fame, significa criticare, sia pure aspramente, l'opera del governo », ma che il fatto, presentandosi, senza alcuna nota di disprezzo e di ludibrio, non concretizza il reato di vilipendio. E' esatto — ha aggiunto 11 tribunale — che la libertà non deve essere licenza. Ma la stampa, quotidiana e periodica, è rovente, talvolta, in materia: eppure i responsabili non possono essere assoggettati a penale procedimento, quando le frasi pubblicate non rivestono rigorosamente il carattere del vilipendio. Di qui, una logica conseguenza: il cittadino che si regola al metro del quotidiano insegnamento non può, anche se militare, essere trattato in maniera più rigorosa. « Affermare che U governo non debba essere servito per aver portato nel P'"-:s,Ia miseria, la disoccupazione e la 1 fame — ha spiegato ad abun- dantiam il tribunale — signiflca criticare e valutare in senso passivo e deteriore l'opera del governo, valutazione che può, per certi riflessi, anche corrispondere alla realtà delle cose, nonostante gli sforzi e l'opera indefessa, sapiente e patriottica di governanti... ». Tutto questo, ad ogni modo, non può configurare l'ipotesi del vilipendio. Libero, dunque, anche il militare d'inveire contro il governo. Guai, invece, se egli inveisce contro la divisa che « costituisce l'espressione manifesta dell'appartenenza alle Forze armate. Vilipendere la divisa, maledirla, disprezzarla, equivale a vilipendere ciò che essa rappresenta e cioè le "Forze armate"...». Il soldato Pacor aveva Inveito contro il governo ma anche contro la divisa: il commilitone Miorin non era intervenuto, non si era opposto, non gli aveva tappato la bocca, gli aveva tenuto, anzi, bor done. E per aver vilipeso la divisa i fulmini della legge han finito per abbattersi su entrambi. Francesco Argenta

Persone citate: Ciardi, Galasso