Cattu rato ieri a l'evaso Vincenzo

Cattu rato ieri a l'evaso Vincenzo Era fuggito il S marzo scorso dalle di Mortara Cattu rato ieri a l'evaso Vincenzo Da cinque giorni la polizia era sulle sue tracce in seguito a un tentativo di furto in una pelliccerìa - H «re delie evasioni» è stato sorpreso con un complice davanti a un cinematografo - Era vestito elegantemente e si trovava a bordo di una lussuosa macchina - Nelle sue tasche sono stati rinvenuti documenti falsi intestati al «conte Giulio delia Gherardesca» Roma, lunedì mattina. Vincenzo Barbaro, il famoso < aeso della truffa >, l'uomo che è stato definito < il re delle evasioni > e che era fuggito in modo clamoroso il 5 marzo scorso dalle carceri di Mortara, è stato catturato ieri a Roma. La cattura è avvenuta verso le tredici nel viale XXI Aprile, dinanzi al cinema omonimo. Il Barbaro, vestito elegantemente, si trovava in compagnia di un pregiudicato a bordo di una lussuosa macchina in sosta. Improvvisamente gli son piombati addosso due funzionari della Questura di Roma, Migliorini e Fedeli. Insieme con il complice, certo Ludovico Mlcucci, non ha opposto resistenza: entrambi hanno alzato le braccia ed hanno seguito i poliziotti. Poche ore dopo erano a Regina Coeli. Nella macchina su cui si trovava il Barbaro sono stati trovati numerosi ferri da scasso che hanno fatto supporre che Vincenzo Barbaro fotografato Ieri dopo la cattura. (Telef.) l'evaso stesse per compiere col suo complice qualche impresa ladresca. Le indagini della polizia avrebbero inoltre stabilito che il Barbaro aveva avuto nei giorni scorsi contatti con elementi della malavita romana di cui appunto il Micucci è un esponente. E* stato anzi accertato che nei giorni scorsi il Barbaro aveva, sempre con il Micucci. tentato un grosso furto ai dan¬ ni di una pellicceria di via del Corso e proprio in seguito a questo fatto la polizia si era messa sulle sue tracce e da cinque giorni ne seguiva le mosse: ma soltanto stamane, come ai è detto, è stato, possibile catturar» il truffatore. Nelle tasche del Barbaro, sono state trovate alcune polizze di monti di pegno per macchine calcolatrici e macchine per scrìvere e. inoltre alcuni documenti intestati al falso nome di conte Giulio della Gherardesca, con il quale l'evaso sperava di sfuggire più facilmente alle ricerche. Vincenzo Barbaro era ricercato dal 5 marzo, da quando cioè era riuscito a fuggire dalle carceri mandamentali di Mortara dove era stato trasferito da < Regina Coeli » per un processo per truffa davanti al Pretore di quella città. La fuga era avvenuta secondo il classico schema delle evasioni descritte nei romanzi: nella notte dal 4 al 5 marzo, il Barbaro, segate con una lima le sbarre di ferro della prigione, si calava con un lenzuolo lungo un muro di cinta, si lasciava cadere da tre metri di altézza sulla via silenziosa e deserta, poi spariva nel buio. Soltanto alla mattina il guardiano si accorgeva della fuga e immediatamente aveva inizio la caccia. Ma per oltre due mesi di Vincenzo Barbaro, nonostante le segnalazioni e gli allarmi giunti da diverse località, non si era più avuta alcuna traccia. Viso simpatico, elegante, conversatore arguto dalle battute sempre pronte, dotato di una cultura vasta, esperto specialmente nel campo giuridico, Vincenzo Barbaro nato nel 1916 a Barrafranca in provincia di Enna, cominciò a far parlare di aé nel 1945. Avevano arrestato suo fratello Giuseppe e contro lo stesso Vincenzo si era aperta un'istruttoria perché, con diversi nomi e con la complicità di belle ragazze, si era impadronito di gioielli e preziosi per molti e molti milioni. Pensò allora di far evadere il fratello, che si trovava in carcere a Torino. Lo fece denunciare per un inesistente ! furto di pellicce alla Procura della Repubblica di Genova, la quale ne chiese il trasferimento dalle « Nuove ». Quindi riuscì a far pervenire al fratello una fialetta contenente un li¬ quido rosso, spiegandogli come avrebbe dovuto farne uso. Venuto il giorno del trasferimento, poco prima della partenza del treno dalla stazione di Torino, Giuseppe si accasciò in terra: dalla sua bocca usciva un fiotto di sangue. Si avvicinò un capitano dell'Arma, 11 quale disse: «Quest'uomo ha un'emottisi, bisogna ricoverarlo d'urgenza alla infermeria delle'.carceri. Metto a disposizione la mia automobile ». Fuori della stazione c'era una macchina con la targa dell'Arma. I due soldati salirono sul sedile posteriore, il capitano e il detenuto davanti. Dopo qualche minuto l'auto ebbe una panne e 11 capitano pregò i carabinieri di scendere a dare una spinta Essi obbedirono e la macchina riparti a tutta velocità lasciandoli a terra II <capitano» era Vincenzo Barbaro. Finalmente arrestato, Vincenzo Barbaro promise che sarebbe fuggito. Tentò il colpo alle «Nuove». In cella il suo compagno cantava a squarciagola la «Marsigliese», mentre lui con una lima segava le sbarre. Dopo tre notti, divelta l'inferriata, fuggì con il complice; scavalcò tre muri; all'ultima cinta una mossa falsa del complice li rivelò a una sentinella e il tentativo fallì. Ma al processo di Genova, nel 1952, quando con ventun capi d'imputazione venne condannato a dieci anni e quattro mesi di reclusione, Vincenzo Barbaro riaffermò il suo proposito di fuggire alla prima occasione. E, come si è detto, vi riuscì quattro anni dopo, evadendo dal carcere di Mortara. La "morta,, di Battipaglia