Narrando come uccise don Beneggi Giuseppe Bettelle scagiona i fratelli

Narrando come uccise don Beneggi Giuseppe Bettelle scagiona i fratelli "Mi atterrò per i capetti, impugnai la pistola, partirono due colpi...,, Narrando come uccise don Beneggi Giuseppe Bettelle scagiona i fratelli Modesto ideò la rapina, ma non partecipò al delitto - Giancarlo fu trascinato nell'impresa con la scusa di cercare un parroco disposto a unirlo in matrimonio con la fidanzata - Un equivoco provoca uno scatto del più giovane degli imputati (Dal nostro inviato speciale) Milano, 19 giugno. Per tre ore Giuseppe Bettolio ha narrato stamane i particolari dell'uccisione di don Beneggi e delle rapine agli autisti Lumello e Parassole; per altre due ore, nel pomeriggio, ha risposto alle contestazioni del Presidente, del Pubblico Ministero, degli avvocati. La giornata si è conclusa con altre due ore dedicate all'interrogatorio di Modesto Bettelle. Le deposizioni rese dai due imputati hanno dato la chiave della loro linea difensiva: salvare Giancarlo, 11 minore dei fratelli. Nelle loro versio- ni, che coincidono perfettamente, Giancarlo non ha. commesso nulla; è stato trascinato contro la sua volontà ai margini della tragica vicenda di rapine e di sangue, ma egli non ha direttamente partecipato al fatti. E tuttavia questo concorde atteggiamento ha provocato uno scatto d'ira di Giancarlo, sorto però da un equivoco. Stava deponendo Giuseppe, quando Modesto ha chiamato uno dei suoi difensori, l'aw. Sarno, al quale ha detto qualcosa sottovoce. Giancarlo evidentemente ha capito male perché si è scagliato contro il fratello gri dando : « Cosa volete ancora da. me? Non vi basta avermi sempre tradito, non vi basta avermi rovinato?» Sono intervenuti i carabinieri, e il Presi dente dott. Palma ha ordinato che i due venissero distanziati uno dall'altro. Con aria stanca Giuseppe questa mattina all'inizio dell'udienza si è seduto davanti alla Corte, e tutto il suo racconto è stato tenuto su un tono di voce bassa e scialba. Egli non ha avuto una particolare vibrazione nemmeno quando ha detto: «Il parroco mi afferrò per i capelli, io temetti di essere sopraffatto, lq percossi alla testa con il calcio della pistola. Poi sono partiti due colpi ». L'idea della rapina venne a Modesto, suggerita dal desiderio di procurarsi una forte somma, circa un milione, per costituire in proprio un'azienda di mosaicisti. Avevano messo casa insieme, erano disoccupati, avevano debiti; un furto commesso da Giuseppe e Modesto in danno di un loro zio prete a Marsago aveva fruttato 170 ' mila lire. « Una sera Modesto, in as senza di Giancarlo, mi propose di compiere una rapina in una banca di Morano Po, paese che conosceva per avervi lavorato anni prima come cavatore. Accettai, ma poiché occorreva una terza persona per fare da palo decidemmo di portare con noi Giancarlo al quale avremmo detto che si andava alla ricerca di un parroco per farlo sposare con la sua fidanzata Lucia Celant ». A questo punto è avvenuto l'incidente tra Giancarlo e Modesto, subito sedato. Giuseppe ha continuato narrando come acquistò due pistole con cin quanta cartucce e come la mattina del 12 agosto 1954 tutti e tre partirono per Ca sale. Giuseppe, che non cono, sceva la località, si recò dapprima a fare una ricognizio ne a Morano Po, mentre Mo. desto, rimasto a Casale con Giancarlo, acquistò-un paio di occhiali da sole e qualche metro di corda. Montati sul taxi di Lv.mello si diressero a Mo rano Po, ma nei pressi della cascina Scarella, Giuseppe gli puntò la pistola, e con l'aiuto di Modesto lo legò abbandonandolo in un boschetto. « Giancarlo — ha proseguito l'imputato — rimase contraria to, e per rendercelo complice gli rivelammo che il nostro vero scopo era di rapinare una banca. Egli si ribellò, disse che voleva rimanere un ragazzo onesto, e minacciò di denunciarci. Decidemmo allo ra di rinunciare ». Ripresero la strada per Milano, e Modesto tornò al suo antico progetto di cercare un parroco per ottenere un certificato di matrimonio per Gian carlo. « Mi consegnò 50 mila lire, che aveva portato con sé da Milano, da versare al par roco nel caso che egli avesse voluto quattrini ». L'imputato ha continuato riferendo che essi visitarono invano quattro parrocchie, ed infine giunsero verso le 17,30 a Vermezzo. < Modesto rimase in macchina, Giancarlo ed io entrammo in canonica. Don Beneggi era impegnato, ma poco dopo ci raggiunse. Entrai con lui nel¬ 10 studio, mentre Giancarlo rimaneva sulla soglia della canonica. Dissi al parroco che avevo bisogno di un documento che permettesse a mio fratello di sposare una ragazza da lui compromessa». « Ora ci spieghi — ha detto 11 Presidente — che cosa è avvenuto in quel disgraziato momento. Il parroco sembrava disposto ad aiutarvi». Giuseppe Bettelle ha continuato: « Don Beneggi scrisse un biglietto per il parroco di Rosate e me lo consegnò. Insistetti per avere da lui il documento, e aggiunsi che ero disposto a compensarlo. II parroco s'Indignò, e mi disse brusco d'andarmene. Replicai che il documento lo volevo da lui o con le buone o con le cattive. Egli mi strinse per un braccio, spingendomi fuori. MI svincolai, e don Beneggi mi afferrò per i capelli. Temendo di essere sopraffatto presi la pistola che avevo nella borsa, e Impugnandola per la canna Io percossi alla testa. In quel momento mi caddero gli occhiali che tenevo in mano». < E allora ha sparato? » gli chiese il Presidente. < Sono partiti due colpi >. « Non sono partiti da soli. Se lei teneva la pistola per la canna, come sono avvenuti gli spari? ». < Non ricordo come sia stato, non ricordo. In quel momento non capivo più nulla». «E poi?» « Anche dopo essere stato ferito, don Beneggi mi teneva stretto per i capelli. Colluttando giungemmo nel corridoio, dove riuscii a svincolarmi. Correndo verso la macchina vidi Giancarlo ohe mi precedeva, anch'egll di corsa. Non è vero quindi ohe mio fratello sia Intervenuto contro 11 parroco, né prima né dopo gli spari. Salito sulla macchina, di cui Modesto intanto aveva acceso il motore, impugnai la seconda pistola ohe avevo lasciato nel cassetto del cruscotto e minacciai le persone ohe accorrevano. Giunti a Milano abbandonammo la macchina e ci chiudemmo in casa. Ma Giancarlo voleva costituirsi, sia per 11 rimorso, sia per far risultare la sua innocenza, e noi lo sorvegliavamo. Verso la fine di agosto venne a trovarci nostro padre, e Giancarlo gli confidò tutto, e parti con lui per Sanremo senza tornare da noi. A Natale Modesto ed io ci 'recammo a Sanremo per passare le feste con 1 nostri genitori. Mio pa dre voleva ohe ci riconciliassi mo con Giancarlo e che si dimenticasse il passato. Ma nostra madre, ogni mattina, ci portava un giornale In cui si parlava delle indagini del delitto di Vermezzo. Ce lo metteva davanti, senza una parola, e noi credevamo di impazzire » Dopo questo tremendo particolare della madre, custode del suo terribile dolore, Giuseppe Bettelle ha proseguito narrando l'episodio della rapina all'autista Romeo Parasso le di Alessandria, avvenuta la mattina del 28 gennaio '55, con la stessa tecnica adottata cin que mesi prima per Lumello. Per questa rapina egli SI unì a Vittorio Margherita e a Luigi Galletti; avevano per obiettivo la banca di Morano Po. Ma Giuseppe si vantò col Parassole di essere lui l'autore del delitto di Vermezzo, l'autista riferì ai carabinieri di Valenza, e ne segui 11 drammatico arresto dei rapinatori al loro arrivo a Casale. Era oltre la mezza quando il Presidente ha concluso li suo interrogatorio. Mentre i detenuti stavano per rientrare in camera di sicurezza, Giancarlo è stato protagonista di' un secondo episodio di nervosismo. Si è avvicinato un sacerdote, don Pierangelo Car-rugo, nuovo parroco di Vermezzo, pregando il maresciallo di consegnare a Giancarlo una piccola Immagine di don Beneggi. Forse si trattava di un gesto ingenuamente caritatevole. Quando Giancarlo l'ha avuta' in mano,' il,'suo visone divenuto congestionato. Con gesto sprezzante ha deposto l'immagine sul parapetto del' recinto esclamando: «Quandotutto sarà finito mi sentirete!» Una frase di cui non si è capito il significato. Nella udienza pomeridiana Giuseppe Bettelle è tornato al pretorio, per una serie di contestazioni durate oltre due ore. Lo ha seguito il fratello Modesto. Egli ha iniziato la deposizione affermando: « Mi sento il responsabile morale di quanto è avvenuto », evidentissima allusione alla sua iniziativa della rapina per costituire un'azienda. A parte tale dichiarazione, la au^ versióne è cosi fedele a quella di Giuseppe, che è superfluo riferirla. L'interrogatorio di Giancarlo è stato rimandato a domani. Giuseppe Faraci Giuseppe Bettelle