II villaggio di Duno s'è salvato mettendo tutti i beni in comune

II villaggio di Duno s'è salvato mettendo tutti i beni in comune UN ESEMPIO PER I PAESI MORIBONDI DELLA MONTAGNA II villaggio di Duno s'è salvato mettendo tutti i beni in comune Se osservate che questo potrebbe essere un kolkos, sorridono bonariamente ■ È gente patriarcale, 149 abitanti, e vi fu un momento che se uno moriva, non si trovavano quattro uomini per portare la bara - Ma il consorzio, l'unione nata da un sentimento antico e attuata con spiriti moderni, ha fatto sì che in quésto angolo campestre fiorisca un'autentica civiltà (Dal nostro inviato speciale) Duno, giugno. Vecchia stona: per trovare cose singolari non è necessario girare il mondo e andare lontano. Su un fianco di collina, nella Valcuvia, a trenta chilometri da Varese, c'è una di queste cose singolari: si tratta del comune di Duno e moverebbe la fantasia se avesse anche il fascino della lontananza, se fosse cioè in India o nel Perù, in Finlandia o nell'Australia. Al contrario è a portata di mano e potrebbe essere un traguardo domenicale, da raggiungersi magari con la motoretta. < Ma un paese come il nostro — mi dice il sindaco Alfredo Sonzini — è unico in Italia. Proprio non ce n'è un altro ». Non rivelerò subito la singolarità di Duno. Prima conviene passeggiare su e giù per le sue stradette acciottolate, tra la chiesa e l'asilo, la scuola e un ricovero per i vecchi. In questa visita i saluti si incrociano come se ci si trovasse ad una riunione di parenti. « Già — mi dice l'amico che mi ha trascinato a vedere questa cosa unica in Italia — ci conosciamo tutti. Qua gli abitanti sono centocinquanta. No, scusa, durante l'inverno abbiamo avuto un morto e siamo centoquarantanove. Molti pensano che sia il più pic¬ colo Comune d'Italia, ma non è esatto. Siamo al secondo posto perché Carcoforo, in Val d'Aosta, ci batte, avendo centoquattordici abitanti ». Si svolta per una stradetta ed il mio amico chiama un tale: « Oinetto, Ginetto ». E' Gino Martinoll, da quaranfanni portalettere, messo comunale e qualche cosa d'altro ancora. Infatti è anche capace di aiutare una donna se vien presa in anticipo o all'improvviso dalle doglie del parto. Forse per questo dice: < Le avranno raccontato che Duno è il paese delle donne. Già, sono ottanta contro quarantanove uomini. I bambini, i giovanotti e le ragazze sono una ventina. Già, dovranno cercar marito fuori del paese. Guardi quella, è la Calori Maria, la più vecchia, ha novantasette anni. Ma lei il marito lo ha trovato da un pezzo e in paese, adesso ha già visto i figli dei figli. Guai se sapessero che nella nostra scuola elementare abbiamo in tutto sette scolari: sei femmine ed un maschio, il Giuliano Calvi, lui soltanto ». Con questi discorsi si arriva davanti alla scuola. E' giorno d'esami e la bambina Anelila Calori, tutta sola essendo Punica allieva di terza, la lingua che spunta tra i dentini, sta svolgendo il te¬ ma: < Una persona cara ». La maestra è seduta alla cattedra e due sue colleghe, venute da Varese, formano la commissione esaminatrice; e sono dunque lì in tre per quell'unica ragazzina che io guardo commovendomi perché, tutta sola, non ha nemmeno la possibilità di farsi suggerire qualche cosa da un eventuale compagno più preparato. < Ma l'Ancilla — mi dice la maestra — è brava. Durante l'anno era lei che aiutava gli altri sei compagni ». Si comincia ad avere sott'occhio un'immagine di Duno. E' un tranquillo, piccolo paese in mezzo ad una natura dolce di boschi e di prati, non violenta, quasi arcadica. Nel 1988 Mussolini lo aveva retrocesso a frazione di Cuvio; ma nel 1954, dopo sette anni di lotta, è ridiventato Comune. < Oh bella — mi dice l'albergatore — mio nonno era sindaco nel 1863. Guardi qua il documento, che viene da Torino, perché allora era capitale, e rilasciato in nome di Vittorio Emanuele II. E so non si ridiventava Comune non potevamo salvarci ». Cosi comincia la nuova storia di Duno, che non è certo paese singolare per essere il pentimmo comune d'Italia, né per la sproporzione tra maschi e femmine, né per saper scomodare una Commissione esaminatrice di una sola scolara. La sua singolarità consiste in altre cose, che si risolvono nel salvataggio di tutti gli abitanti; e meraviglia vedere che questo salvataggio fu fatto mescolando idee antiche, come quelle del clan o della tribù, con idee nuove e dinamiche, che tengono conto di quale strada segua l'economia moderna, razionale e tecnica. Qualche anno fa Duno era un - paese moribondo e proprio pareva che già la morte dominasse nelle sue piccole strade. Ma un tempo (ed i vecchi lo sapevano) era stato fiorente, aveva colture e pascoli e la gente viveva abbastanza felice. Però col passare delle generazioni capitava quel che succede in cento altri paesi italiani di montagna o di mezza montagna: alla morte d'un capo famiglia gli eredi si dividono la terra. Dividi una volta e poi una seconda e, magari, una terza volta, la conclusione è che questi eredi si trovano nelle mani un campo, poi un compiccilo, infine un pezzo di terra grande come un giuoco di bocce. Più che inutile, risulta impossibile coltivarlo. Allora gli uomini andarono altrove in cerca di lavoro: emigravano, la Svizzera è lì a portata di mano. Le donne a casa aspettavano in compagnia dei bambini e dei vecchi. < Sa che cosa capitava qualche volta t — mi dice don Ernesto, il parroco —. Quando moriva qualcuno non c'erano uomini per trasportare la bara. Non era possibile farla portare dalle donne o dai bambini o dai vecchi, che faticavano a camminare per conto loro, senza pesi sulle spalle ». L'agonia continuò sino al 1954. e già molti pensavano che la miglior soluzione era quella d'abbandonare tutto e di andar via. Dicono ohe l'Italia sia bella perché varia di caratteri e d'opinioni. Nel Sud del nostro Paese, per risolvere una situazione economica pesante, si assegna un pezzo di terra al contadino, con un sistema di riforma agraria che lascia molto scettico più d'un osservatore. A Duno invece si pensò di risolvere la situazione nella maniera opposta: bisognava combattere il frazionamento per arrivare all'unione. Il merito di questa impresa è del sindaco, al quale non doveva molto piacere l'idea di amministrare un paese moribondo. Esaminato il problema, la soluzione fu presto trovata e per ora riguarda l'Alpe Bis, un pianoro di settanta ettari di buon terreno, che a poco a poco veniva abbandonato come succede in centinaia di altre nostre località montane. Si trattava di persuadere i vari piccolissimi proprietari a riunirsi in consorzio. La proposta, che fu subito accettata, era semplice. Ciascun proprietario consorziava (senza quindi perdere la proprietà, come avviene nelle cooperative) il proprio pezzetto di terra; il consorzio avrebbe pagato come affitto quel che il terreno rendeva al momento in cui veniva consorziato. Gli stessi soci potevano lavorare nel consorzio e la loro mano d'opera sarebbe stata retribuita al prezzo normale. Alla fine dell'anno, detratte tutte le varie spese, l'utile l'avrebbero suddiviso tra i partecipanti. La cosa più difficile fu interpellare i quaranta piccoli proprietari, perché quasi tutti lontani dal paese, in Sviz¬ zera o a Milano come muratori; ma, superato questo scoglio, la faccenda camminò veloce. Adesso, senza far della retorica, si può dire che Duno è come una grande e unica famiglia, con due figli soltanto ostili. Infatti due proprietari non hanno accettato di consorziarsi perché dominati dalla diffidenza, dal timore delle carte da firmare, forse da un'ombra di cocciutaggine o d'orgoglio: « Ma sono molto vecchi e bisogna capirli — mi si dice. — E sa che cosa succeder I figli di questi due proprietari hanno già detto che sono dalla nostra parte, che loro verranno nel consorzio ». Quel che si è fatto a Duno è strabiliante perché in contrasto con le frasi correnti sul carattere del nostro contadino, ritenuto egoista, individualista, insofferente di ogni legame; ed è eccezionale perché realizzato al di fuori d'ogni ideologia politica. E' inutile venir qua e dire che questo è un kolkos sull'esempio di quelli sovietici. Sorridendo bonariamente vi rispondono: « No, questo è il consorzio dei terreni dell'Alpe Bis ». E sorridono poi per un altro motivo, ma questa volta con un velo di ironia. Si sa che la stessa agonia vissuta da Duno sino all'anno scorso, la vivono centinaia di altri piccoli paesi montani d'Italia; e anche si sa che in alcuni casi l'agonia è finita essendo sopravvenuta la morte, cioè l'abbandono. Il problema da un pezzo è così grave che nel 195H si pensò bene di fare una legge, che porta il numero 991, per evitare lo spopolamento della montagna. Questa legge dice infatti che tutti i comuni montani, quando sono capaci di formare consorzi o cooperative, godono d'un appoggio governativo. La legge promette di rifondere persino più della metà di tutte le spese fatte per ricerche idriche, per la costruzione di strade poderali, per case rurali, per acquisti di bestiame selezionato. Quelli di Duno hanno fatto molte di queste cose che la legge elenca, ma sino ad oggi non hanno avuto una lira d'aiuto governativo. «Abbiamo chiesto e reclamato — dicono con un sorriso ironico che fa parte del loro orgoglio — ma da Roma nessuna risposta ». Continuano a sorridere perché si sentono forti: hanno un trattore nuovo, hanno bestiame, si sono rimessi a coltivare granoturco, patate, segala e grano. Sognano di lavorare il latte in un piccolo caseificio; di piantar fiori e di mettere una fabbricherà di profumi. Sono iniziative del consorzio; e se nell'Italia del Sud si insiste nel dar vita ad una agricoltura d'andamento familiare, qua nel Nord si cerca di portarla su un piano collettivo ed industriale. Quelli di Duno si meravigliano che nessuno dei moltissimi altri paesi montani, oggi moribondi, disabitati, tristi, sappia seguire il loro esempio: un bel consorzio dove ognuno al tempo stesso è locatore, salariato e azionista. « Forse — dicono — non hanno un sindaco come il nostro; o forse, meno ingenui di noi, sanno che spesso le leggi sono belle soltanto sulla carta-». Enrico Emanuel!!

Persone citate: Alfredo Sonzini, Calori Maria, Enrico Emanuel, Ginetto, Gino Martinoll, Mussolini, Vittorio Emanuele Ii