Una cronaca cantata

Una cronaca cantata Una cronaca cantata Solesmes, giugno. Ognuno di noi, almeno una volta, ha desiderato di darsi alla vita contemplativa. «Beati i monaci! », si dice, e si sogna col facile entusiasmo degli ignari di finire i propri giorni in un convento, magari posto in cima a un monte, o fra gli ulivi e i cipressi di una valle, oppure in faccia al mare. Velleità che svaniscono appena ci si rende conto di come la contemplazione, oltre a una fede pronta a tutte le rinunce, richieda un disinteresse assoluto, tale da escludere perfino il compiacimento per un bel paesaggio o il diletto per la pace dello spirito. Quel « contemplare », infatti, non ha nessun rapporto con la natura o col proprio io, rivolgendosi tutto all'assiduo ripensamento dei misteri celesti. Ce ne siamo persuasi più che altrove nell'Abbazia di Solesmes, dove la vita monacale è regolata da leggi così inflessibili da scoraggiare una volta per sempre qualsiasi profana ambizione. La storia di Saint-Pierre de Solesmes, presso Le Mans, è la storia di tanti altri monasteri che hanno attraversato durante un millennio guerre, rivoluzioni, distruzioni; e se ne vede la conferma negli stessi edifici ricostruiti in riva alla Sarthe i quali, male intonati all'esigua parte antica rimasta in piedi, lasciano intrawedere la decadenza artistica legata ad ogni rifacimento. Quel che invece è •■ rimasto intatto, e anzi pare irrobustito e come filtrato all'estremo, è lo spirito che anima i monaci qui riuniti. Per darne una prima idea, basterà rilevare come uno dei fondamenti della regola ' venga energicamente riassunto da Dom Delatte, uno degli abati che, dopo Dom Guéranger, riportarono nel secolo scorso il convento al suo antico splendore: «Noi dobbiamo impiegare la vita di quaggiù accanto a Colui che è unicamente interessante, unicamente simpatico, unicamente attraente »; e s'intende come in questa dedizione assoluta a Dio ogni ammirazione umana venga annul. lata, e come ogni spiraglio di cordialità sulla terra venga ermeticamente sigillato. Avete cosi la sensazione che neppure il più geniale o benevolo dei viventi potrebbe strappare un sorriso dalle labbra di questi benedettini che, nella loro tonaca nera, si aggirano muti fra le alte muraglie. Con tutto ciò, i Padri di Solesmes ricordano che proprio San Benedetto diffidava « delle prodezze d'ascetismo e delle illusioni che esse generano »; e perciò rifuggono da ogni forma di fanatismo mistico e da ogni superstiziosa idolatria. Di più, tutto nel monastero deve essere subordinato alla preghiera, allo studio, alla meditazione, alla fatica della mente assai più che al lavoro manuale; ed essendo i solesmensi cenobiti e non eremiti, essi cooperano tutti al buon funzionamento di quello che si potrebbe chiamare un minimo « regno », retto con poteri assoluti dell'abate superiore, e cioè secondo «un governo monarchico lontano da qualsiasi forma parlamentare e assistito da Dio solo ». Ordine, obbedienza, umiltà; e, una volta alla settimana, una breve passeggiata in riva al fiume. Il silenzio fa parte della regola, ma non per questo la parola viene bandita; soltanto, essa deve a preferenza assumere nel canto la sua forma più nobile. Tutti sapranno che a Solesmes si deve appunto le restituzione del canto gregoriano alla sua antica in tegrità, ma assai meno noto è che esso non si limita alla liturgia, estendendosi invece anche alle più modeste occasioni quotidiane. Ne avemmo noi stessi una prova. Ammessi, dopo un severo cerimoniale, al refettorio, prima rendemmo omaggio all'abate superiore seduto, solo, solenne e sereno, al suo desco poi prendemmo imposto assegnatoci alla tavola degli ospiti. Cominciammo à mangiare una zuppa di cipolle, cavoli e porri, che ci parve saporitissima. Il silenzio era appena punteggiato dai leggerissimi urti delle posate sulle stoviglie, e ogni nostro gesto un po' scomposto metteva in angustie noi cinque o sei « borghesi », non meno di un monsignore seduto con noi, elegante, ben pettinato, roseo in volto, forse timoroso che i monaci intenti a mangiare o i conversi affaccendati a servirci lo considerassero con qualche ironia: per quel suo aspetto così accomodante e mondano (e non nascondiamo che il suo disagio di buon prelato ci rendeva più sopportabile il nostro di laici inveterati). Intanto un padre, salito su un pulpito, aveva preso a leggere cantando un sacro testo, certo per ricordare ai commensali come le cose dello spirito prevalessero anche su quel frugale usufrutto di beni terreni. Ma ecco che, mentre ci veniva servito il lesso con verdura, (ma ai monaci verdura soltanto), le parole del lettore divennero per noi sorprendenti Sempre scandite su un ritmo musicale, raccontavano gli eventi lì dentro più inattesi: -«Le Par lement, après avoir vote la lai... » « Le generai assieme dans la viiU... » « Mais avec Pappiti de Var- titicGpailsetebpvi dpasdrnriaglevmmresmocQsnfrtsofpmncnasettsscM«ud tillerie... », e così via. Erano notizie del giorno, o forse una vecchia cronaca del monastero? Guardammo il monsignore, perplesso quanto noi, ma nessuno alla nostra tavola, come in tutto il refettorio,, osava aprir bocca se non per continuare parcamente a cibarsi; e le sole parole udibili rimasero quelle cantate dal pulpito in una modulazione grave e malinconica che terminava i periodi in lente risonanze quasi d'organo che si spegne, per riprendere dopo una breve pausa alte e bene accentate nel periodo successivo. Capimmo che anche quel modo di leggere storie profane derivava dalla norma dominante nell'Abbazia, era un esempio di rispetto alla dignità del luogo, e ancor più un richiamo all'obbligo, che tutti si imponevano a Solesmes, di opporsi alla fretta, alia volgarità formale e insomma, come aveva scritto un altro di quei monaci, alle manifestazioni aberranti -di un secolo di « impulsivi e di nevrotici ». La calma, la misura, il ritmo, dovevano essere mantenuti in ogni momento e in ogni funzione della giornata; e c'era da rimanerne estasiati Quando il pranzo finì, i monaci si alzarono, pregarono, riverirò no l'abate, e quindi, piegando fortemente il busto, si inchinarono gli uni agli altri: con tanta gravità e insieme con così spirituale gentilezza, che noi ospiti provammo la tentazione di fare altrettanto; e solo ce lo impedì il nostro aspetto banale e mortificante di turisti: perché, e ne fummo allora più che mai convinti, anche l'abito fa il monaco. Queste sopravvivenze potranno ad alcuni sembrare come una sfida ai tempi. Tempi di scarsa eleganza o, come si dice, di praticità, ai quali si adattano un po' tutti, perfino certi sacerdoti, sempre inclini alla bonarietà, trasandati, ridanciani, e in fin dei conti anche troppo « simpatici ». Ma abbiamo visto che la stessa « simpatia », per i solesmensi, è una dote di esclusiva pertinenza dsermgmtnCiiloadcrisadadcanguaminiWMmimiimiMUiiniiiHimiimmiimii del Signore; e poiché hanno scelto il sacrifìcio e la rinuncia, essi non intendono per nessuna ragione di deviare dal loro cammino. Quanto a noi, incapaci per grave carenza di virtù basilari di metterci al loro fianco, siamo tuttavia contenti che essi esistano c soprattutto che resistano. Come il matematico puro, come il puro poeta o il puro filosofò, il monaco di Solesmes sdegna ogni compromesso, segue con amore la propria vocazione, la difende e sempre più l'affina anche a costo di ininterrotte sofferenze. E in un mondo che adora il frastuono, l'urlo, la fretta dissennata, a noi sembra bello che anche le nostre umane vicissitudini, siano pure una legge votata al Parlamento o un truce episodio di guerra, vengano annunciate da un canto lento, quieto: a significare che anch'esse, oggi nostro cruccio o furore, si scioglieranno un giorno nel ritmo di un tempo senza fine. G. B. Angioletti

Persone citate: Dom Delatte, Dom Guéranger

Luoghi citati: Le Mans, Saint-pierre De Solesmes