Mallarmé nella foresta

Mallarmé nella foresta Mallarmé nella foresta Fontainebleau, maggio. Insulti, sarcasmi, furibonde avversioni accompagnarono la vita del poeta umanamente più riservato, letterariamente più illi• bato che si potesse dare : Mallarmé. Non gli perdonavano di non « parlare come tutti gli altri », quasi che la poesia fosse un discorso comune; e ritenevano di metterlo al muro definendolo un giocoliere, uno che prende a caso le parole da un bussolotto e le mette insieme a capriccio: lui, che prima di usare un vocabolo lo saggiava, 10 calibrava, lo pesava, cambiandone cento prima di trovare quello buono, insostituibile, definitivo. Ma il poeta non si preoccupava di quegli attacchi, non rispondeva mai, e soltanto si stupiva un poco che non volessero lasciarlo in pace. A chi dava fastidio, dopo tutto? Manteneva decentemente la propria famiglia insegnando l'inglese in un liceo parigino, non chiedeva cariche o prebende, non sollecitava recensioni o interviste, né gli era mai passato per la mente di poter diventare' accademico o di godersi una pensione statale per meriti letterari. E se si vuole una dimostrazione irrefutabile che non basta essere innocenti, e neppure innocui, per evitare l'odio e la condanna del prossimo, la sua vita fa proprio al caso nostro. Un altro avrebbe smaniato, perso il' sonno, implorato requie. Mallarmé alzava le spalle, convinto che «la spiegazione orfica della Terra » fosse il «solo dovere del poeta e 11 giuoco letterario per eccellenza ». Lo lasciassero dunque a quella sua naturale missione e a un cosi arduo divertimento. Tutt'al più, aspettava con un po' d'ansia la primavera per andare a Valvins. A Valvins si sentiva più protetto, più libero di pensare e scrivere come . gli piaceva; anzi, proprio quel paesaggio lo stimolava in tal senso: un paesaggio puro come i suoi versi, pieno di misteriosi richiami come la sua poesia; come, per fare un solo esempio, questa bellissima quartina dedicata alla figlia: « Vertige! voici que frissonne — L'espace camme un grand batter — Qui, fou de naitre pour persorme, — Ne peut jaillir ni s'apaiser». Fra le molte foreste che illustrano la Francia, quella di Fontainebleau è forse la più incantevole. Immensa e leggera, fatta di alberi tutti alti e dritti che nella bella stagione si illuminano per la trasparenza delle foglie, non suggerisce mai l'idea di un limite, di qualcosa che finisce. Non sembra possibile scoprirla tutta, cosi come non è possibile, o almeno non piacevole, andar scoprendo ogni angolo del cielo. Ma dove la foresta assume le parvenze di un mito, è nel tratto attraversato- dalla Senna; e più che altrove a Valvins, un villaggio spintosi con le sue casette e i suoi giardini fin quasi a fiore dell'acqua: verde, lucida, di cristallo, fluente tra filari di pioppi e di faggi, sempre rallegrata da squilli felici di uccelli. Mallarmé aveva preso in affitto una di queste case; e attirato, come lo sono sempre i poeti, dal fascino dell'acqua e degli alberi, qui si sentiva finalmente in armonia col mondo. Tra il paesaggio e il suo pensiero avvenivano rapide corrispondenze, come per la trepida follìa del vento nella quartina alla figlia; ed egli poteva ispirarsi a un unico tema variando tuttavia ogni volta le immagini e le parole, appunto perché l'acqua, sempre di una stessa sostanza e sempre mutevole, gli alberi, tutti simili e tutti diversi, lo aiutavano a raggiungere l'unità nella diversità, l'inedito nel consueto. Il «giuoco letterario », al quale credeva come in una legge sacra, trovava allora l'ambiente più propizio. Calmo, educato, signorile, lasciava che la gente ridesse: forse avrebbe riso anche ai giorni della creazione, trovandosi davanti a nuove forme e a nuovi colori, ad animali non prima visti, a fiori ed erbe diversi da quelli destinati alla tribù. Se mai, segretamente si doleva di non riuscire a strappare alla natura tutti i suoi segreti, tutte le sue « varianti », tutti i suoi « accordi »; e di doversi accontentare, sul limite del mistero, di rimormorare un verso perfetto e inaudito: come una favolosa fenice librata sopra un popolo di, domestiche colombe. C'erano di questi eroi, sul finire del secolo scorso. Forse ce ne sono e ce ne saranno ancora, e non potranno sfuggire al loro destino: di essere odiati dai più e venerati* da pochissimi. Ma è probabile che essi debbano sempre invidiare il sorridente signore che veniva qui, in carrozza, appena corretti gli ultimi compiti .dei suoi scolari, appena chiusa la casa parigina attorbidata dal fumo della sta¬ zsaQnslosbdlanbrtqffgszpdppsgvtbpimpssgsrilpodssrvislrmmnrtnptmSmdFMgavcusmgpm«nvedepslqa zione di Saint-Lazare, appena spedito l'ultimo invito in versi amabili e scherzosi a un amico. Quest'aria, questa luce così tenera e diffusa che par salga dal suolo più che scendere dal cielo, questo fiume da ninfe, queste radure da fauni, subito lo liberavano da ogni opacità cittadina. Non lasciava indietro nulla, per conto suo, non rancori, non gelosie, non invidie. Su una barca andava sul fiore della corrente, si beava di questa umidità feconda, di queste rive, di questi silenzi. E avrebbe voluto fermare quell'ora in una musica fatta di sillabe, di vocali, giungendo all'estremo della più disperata e gloriosa fra le astrazioni umane, la parola: quando perfino il ricorrere di una i o di una o nei versi gli offriva la più spirituale delle sensualità possibili, quella di sentire la risonanza, il calore e quasi il sangue dell'intelletto tramutato in verbo: come nel celebre e per tanto tempo indecifrabile « abolì bibelot d'immite sonore ». Come uno che viva per un patto segreto, per compiere una impresa occulta e senza ricompense sulla terra, Mallarmé perseguivi quel sogno. Aveva il sottile prosentimento non della gloria, ■ ma di un'immortalità sempre insidiata e sempre da riproporre ai posteri. Infatti, di lui ancora si parla e a lungo si parlerà alternativamente con odio e con amore, a seconda del variare dei gusti e dei costumi intellettuali: oggi tutti tesi verso le più umiliate apparenze, domani certo ancora rivolti all'impegno inebriante di immaginare l'essere non nella sua attualità ma nei legami con l'eterno e l'idea. Più che un faro, il suo nome sarà forse un monito, un grido d'allarme, o meglio un caritatevole invito a non perderci nella nostra miseria, a non rassegnarci all'immutabile lezione della nostra giornata. Un nome che tornerà sempre, ogni qual volta sul mondo tornerà una speranza; e che rimarrà fin quando le acque della Senna avranno nei bei giorni di maggio questo colore, fin quando gli alberi rinnoveranno a Fontainebleau i rami e le foglie. Mallarmé, come questo paesaggio, insegna che la bellezza è ancora possibile: a patto di non volerla facile, immediata, preconcetta, per mostrare invece un'infinita possibilità di sorprese reinventando il proprio ritmo come l'albero ad ogni stagione, come il fiume ad ogni pioggia. Rodin, quando Mallarmé venne a morire, mormorò: « Quanto tempo occorrerà alla natura per rifare un simile cervello? ». Acutissima frase, che esprimeva proprio la singolarità di questo poeta, diverso da tutti e simile in tutto alla poesia. Un poeta ricco e segreto come la sua foresta; e che imitava « de l'éternel azur la sereine ironie », per portare oltre il tempo una quasi disumana perfezione. G. B. Angioletti aiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiuiiiii iiii

Persone citate: Rodin

Luoghi citati: Francia, Valvins