L'indegna povertà della nostra scuola di Paolo Serini

L'indegna povertà della nostra scuola Mancano aule, scolari e insegnanti L'indegna povertà della nostra scuola Nella discussione del bilancio preventivo della Pubblica Istruzione svoltasi recentemente al Senato hanno avuto particolare rilievo i problemi della scuola elementare e secondaria inferiore e di quella tecnicoprofessionale. E s'intende perché. Lo sviluppo della cosiddetta « scuola dell'obbligo » (e di quella professionale) è il problema di base non solo del nostro sistema scolastico, ma della nostra democrazia: la sola fra le democrazie europee che non 10 abbia ancora affrontato in modo organico ed efficace. La Costituzione ha bensì proclamato il principio dell'istruzione gratuita e obbligatoria sino al 14° anno di età. Ma si tratta d'un principio che rischia di rimanere ancora a lungo una semplice enunciazione programmatica (per tradurlo in atto bisognerebbe anzitutto costruire almeno 125 mila nuove aule, con un onere finanziario di circa 450 miliardi, cui si dovrebbe aggiungere quello, annuale, per gli stipendi di decine di migliaia di nuovi insegnanti). Sarà molto anzi se, nel centenario dell'Unità, si sarà provveduto ad assicurare a tutti i ragazzi italiani la possibilità di seguire il normale corso di studi elementari. Oggi, infatti, su 38.000 scuole elementari, più di diecimila non hanno ancora 11 corso completo (4290 mancano della quinta e 5800 della quarta e della quinta). Inconveniente reso più grave, specie nel Mezzogiorno, dall'esistenza di classi superaffollate e di classi plurime, che attendono da anni lo sdoppiamento; dalla fortissima penuria di aule e dalle pessime- con' dizioni di un quinto di quelle esistenti; e dalFinsufficiernza di quell'assistenza scolastico-sociale e sani taria che, soprattutto.nelle zone dove V< evasione » scolastica è dovuta essenzial mente alla miseria, rappresenta una necessita cui non si può certo ovviare con modestissimi mezzi di cui dispongono i patronati. Con la conseguenza che sia la percentuale degli «evasori» dell'obbligo scolastico sia quella degli « eliminati » restano tuttora assai elevate, Specialmente nel Sud: dove la prima si aggira intorno al 25%; e (come ha rilevato il relatore del bilancio sen. Tirabassi) su cento bambini che s'iscrivono al la prima elementare soltan to trentasette arrivano al la quinta (e solo dicianno ve proseguono gli studi si no al 14° anno di età) ; os sia, più della metà dei ragazzi rischia di restare o di ricadere in una condizione di analfabetismo o di se' mianalfabetismo. Per rimediare a tale sta> to di cose, il Ministero del la P. I. ha bensì predispo sto un piano d'emergenza, che ha cominciato a trova re attuazione in sei province « pilota » (Rieti, Benevento, Matera, Foggia, Catanzaro e Sassari) e che, col 1° ottobre, verrà esteso ad altre ventitré province, Ma per mettere tutti i ragazzi italiani fra i sei e gli undici anni in condizione di frequentare con profitto le scuole elementari, bisogne' rebbe — oltre che prowe dere a costruire le 65.000 aule necessarie, a moltiplicare i direttori didattici e gl'insegnanti e a migliora' re la preparazione di questi ultimi — aumentare in forte misura gli stanziamenti di bilancio per la scuola primaria e per l'assistenza (che oggi ammontano rispettivamente a 151 miliar di e a 860 milioni). Ancor più negativa la situazione dell'istruzione se condaria di primo grado: anch'essa teoricamente obbligatoria. Attualmente, infatti, su circa 600.000 alunni che conseguono la licenza elementare, circa 230.000 non proseguono gli studi nelle scuole medie o di avviamento al lavoro. (E, fat to più grave, su 2.400.000 ragazzi fra gli undici e quattordici anni, ne risultano iscritti a scuole secondarie inferiori solo 865.000, pari al 38 %). Né a tale situazione può costituire un rimedio l'istituzione nei piccoli centri o nelle frazioni rurali o montane di classi postelementari, fine a se stesse. Soluzione di ripiego (d'altronde subordinata alla possibilità, per i provveditori, di trovare, mediante la contraz. ,ne di altre classi. Eli insegnanti cui affidare > seste classi), che crea tra l'altro un'ingiusta discrimi nazione fra i ragazzi che vi ▼ono in piccoli centri e quel ldn li che vivono ih località dotate di scuole secondarie. Senza dubbio, il problema dell'adempimento scolastico implica un tale sforzo finanziario (bisognerebbe costruire nel corso di tre anni per lo meno 30.000 aule e immettere nei ruoli altrettanti insegnanti) che esso non può venir risolto che gradualmente. Ma bisogna pur decidersi ad affrontarlo con impegno e secondo un piano organico, se non si voglia perpetuare una situazione non solo sommamente antidemocratica, ma economicamente e socialmente dannosa. Il fatto che, su circa mezzo milione di lavoratori quattordicenni che si rendono annualmente disponibili, ben 200.000 non trovino impiego per mancanza di istruzione attesta quanto grave sia, sotto l'aspetto economico-sociale, il problema. E dimostra quanto sia urgente provvedere a moltiplicare e riorganizza ze le scuole d'avviamento ■ scuole tutt'altro che bene organizzate, con prò grammi pletorici e indirizzo essenzialmente nozionistico e libresco, affidate per lo più a supplenti, — e l'istruzione professionale, giudicata, nel suo complesso, « disorganica e a volte ana cromatica ». Tanto più che l'attuazione d'un programma di svi-: luppo dell'occupazione e del reddito, qual è quello tracciato dal Piano Vanoni, importa così profondi cambia menti nella composizione e nell'utilizzazione delle nostre forze del lavoro da por' re nuovi, rilevanti problemi di preparazione professionale, cui le scuole oggi esistenti appaiono del tutto inadeguate. Si tratta, del resto, di un problema che non concerne solo gli istituti di carattere tecnico-professionale, ma tutto il nostro sistema scolastico: che è vivo soltanto nelle parti che riflettono le esigenze dèlia società tradizionale e che va invece rivelandosi sempre più inefficace e anacronistico in quelle che riflettono le nuove esigenze del mondo del lavoro tecnico. In questo senso, si può dire che il problema dell'istruzione tecnico-professionale, e della democratizzazione della scuola, coincide col più vasto problema del rinnovamento e ammodernamento delle strutture e della vita sociale del nostro paese. E da questo punto di vista, — come ha giustamente osservato nella sua relazione il sen. Tirabassi, —r anche il problema universitario muta aspetto e quel 2,1 °f0 delle forze del lavoro che è provvisto di laurea o ha frequentato l'università appare tutt'altro che eccessivo. Senza dubbio, 3150 nuovi laureati in giurisprudenza all'anno (2073 dei quali a sud di Roma) sono troppi. Ma troppi non possono dirsi i duemila laureati che vanno ogni an no ad alimentare i quadri direttivi dell'industria e che l'attuazione del Piano Vanoni esigerà via via in maggior numero. Paolo Serini

Persone citate: Tirabassi, Vanoni

Luoghi citati: Benevento, Catanzaro, Foggia, Matera, Rieti, Roma, Sassari