Quando si credeva nel progresso
Quando si credeva nel progresso Quando si credeva nel progresso Il 1906, l'anno in cui la galleria del Sempione era solennemente inaugurata, fu anche l'anno di due altri avvenimenti memorabili nella recente storia d'Italia: la conversione della rendita dal 4% al 3,5% e la costituzione, a Torino, della Confederazione Generale del Lavoro. Quest'ultimo fatto, sostanzialmente forse il più importante, non era certo di quelli destinati a colpire la fantasia popolare; ma' i primi due — l'apertura del traforo e l'ardita operazione finanziaria — s'iscrissero subito nella rappresentazione sintetica di quell'epoca; divennero anzi due degli elementi caratteristici di una visione, semplicistica se vogliamo, ma non tanto difforme poi dalla realtà, di un'età particolarmente felice per il nostro Paese. L'età che vide la < liretta * fare aggio sull'oro e stare alla pari col franco svizzero, a prova di una solidità finanziaria ed economica che trovava altresì espressione nel bilancio statale in attivo e nella bilancia commerciale mantenuta anch'essa in equilibrio dalle rimesse degli emigranti e dai proventi del turismo. Dall'altra parte, l'età che celebrava 1 trionfi dell'ardimento umano appunto nel traforo del Sempione e nella relativa Esposizione di Milano. E' facile, oggi, rievocare quell'epoca con un misto di incredulità, quasi si trattasse di un'epoca leggendaria, e di bonaria condisoejidenza verso 1 laudatores temporis acti, sempre pronti a scorgere 1 tempi beati alle proprie spalle. Eppure, quegli anni non si lasciano dissolvere nelle volute del «Balio Bxcelsior*; di essi rimane, più ohe una traccia ed un ricordo, il frutto fecondo, che ancora oggi utilizziamo. Moralmente, l'i Italietta > giollttlanà costituisce tuttora un punto di riferimento, al quale si può guardare con affidamento; non già per ricalcare passo passo una situazione ohe oggi, ovviamente, risulta superata, ma certo per studiare un modello di ' liberalismo progressivo sempre valido e attuale. Materialmente, se l'Italia riuscì a superare la grave prova della prima guerra mondiale e poi a sopravvivere alla bufera del fascismo e della conseguente guerra, lo si deive proprio a quel, periodo di oscuro ma fervido lavoro, durante il quale il nostro Paese si fece veramente le ossaQuanto fosse solida l'armai ih-a costruita allora, lo dimostra meglio di tutto proprio quella costituzione, cui si è accennato, della Confederazione Generale del Lavoro: un punto centrale nella storia del mondo del lavoro, ma anche l'espressione tangibile del completo rovesciamento della situazione Interna che pochi anni di < giollttlsmo > avevano saputo produrre- Senza riandare ad una storia ben conosciuta, basti ricordare quale era l'Italia alla svolta del secolo, dopo l'eccidio di Milano • il regicidio, veramente sull'orlo della guerra civile; e quale si presentava pochissimi anni dopo, appena una politica aperta e intelligente aveva lasciato alle forze popolari quello stesso Ubero gioco che i fautori dell'iniziativa privata richiedevano per le proprie intraprese. Ora, per tornare all'argomento specifico che ha offerto lo spunto a questa rievocazione, il traforo del Sempione si deve precisamente considerare non Bolo un successo eccezionale della tecni-. ca, ma anche, in grado non minore, una vittoria del lavoro umano, italiano in parti' colare. Decine e decine di lavoratori caddero, vorremmo dire sul posto di combattimento, durante i sette anni e mezzo dell'impresa; difficoltà ingenti, dal calore torrido alla pressione delle rocce all'irruzione delle acque, furono superate con brillantezza tecnica uguale solo alla tenacia con cui tutti, dirigenti ed esecutori, volevano riuscire. A cinquant'anni di distanza, ora che siamo entrati nell'era atomica e nulla più ci sembra impossibile, quel risultato — una semplice galleria ferroviaria sotto un monte! — rischia di dirci assai poco; molto meno, comunque, di quanto in essa videro 1 nostri padri. Ancora una volta, facile è l'ironia sulla semplicità di quegli uomini che sapevano entusiasmarsi ad ogni nuova conquista del sapere o della pratica, che credevano ameeramenta alle «magnifi¬ che sorti e progressive >. Ma almeno sotto quella ingenuità stava un fondo di serietà morale, di effettivo amore per il miglioramento della condizione umana e quindi per la sempre maggiore libertà dell'uomo da vincoli e da gravami materiali; potremmo dire lo stesso di noi, che abbiamo spinto il progresso al di là di ogni più ardito sogno a continuiamo a domandarci ansiosi a che serva questo progresso, dove . ci condurrà? Non è nel nostro spirito considerare pessimisticamente l'avvenire solo perché una crisi gigantesca di crescenza travaglia oggi l'umanità; appunto perché di crescenza, crediamo fermamente che la crisi, superato lo stadio acuto, sì risolverà in un ulteriore avanzamento della civiltà. Quindi le parole che nel 1906 si scambiarono il re d'Italia e il precidente della Confederazione elvetica non le vediamo scritte su un foglio ingiallito irrimediabilmente dal tempo; al contrario, scorgiamo in esse »un auspicio, ingenuo soltanto perché espresso nello stile ufficiale dell'epoca, ma che sostanzialmente si è tradotto in realtà. E nulla vieta, solo che lo si voglia sul serio, che un analogo auspicio si possa oggi trarre per 1 devolvimento a beneficio nell'umanità, anziché a sua distruzione, delle invenzioni e delle scoperte ohe di momento in momento si susseguono! f. v.
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