Di lebbra si può guarire di Angelo Viziano

Di lebbra si può guarire Di lebbra si può guarire II problema della lebbra è anche di questo vecchio nostro continente, sia per certi piccoli focolai endemici, sia per le comunicazioni intercontinentali oggi estremamente facilitate dai viaggi aerei, che permettono più frequenti e rapidi contatti tra europei e popolazioni ove il bacillo di Hansen, responsabile della malattia, ha ancora larga diffusione. E' per ciò che al Congresso internazionale sulla difesa sociale dei lebbrosi in questi giorni sono convenuti a Roma molti delegati dai vari Stati d'Europa, oltre quelli di Innumeri lontani Paesi, dalle Americhe e dall'India, dal Giappone e dal Congo. In Italia il numero dei ricoverati nei lebbrosari è di ben poche centinaia; ma dato che da molti anni si può ritenere invariato, bisogna pensare che una certa quantità di casi autoctoni vada di mano in mano ancora sorgendo pure da noi, per giustificare il rimpiazzamento di quelli che evidentemente si sono andati spegnen1o col tempo. Un'esperienza e un brivido, in India, tra i lebbrosi acuti - Vecchie e nuovissime terapie associate permettono ai contagiati di non essere contagiosi e di ritornare in seno alla società Raoul Follerau, chiamato il pellegrino della lebbra per la instancabilità del suoi viaggi a favore della riabilitazione dei lebbrosi, ha detto al Congresso di Roma che l'individuo colpito dal bacillo di Hansen porta due. grosse croci, cioè la lebbra ed il fatto di essere lebbroso. Ciò per ammonire che occorre non solo curarlo, ma anche reinserirlo nella società, liberandolo dall'inoubo di un isolamento perpetuo. Se ne deduce che della lebbra si può guarire o che, perlomeno, il lebbroso può essere portato al punto di non contagiare alcuno, 'alla stessa stregua del tubercolotico. Che ci si possa incontrare a tu per tu con lebbrosi, senza paura e senza rischio, paiono averlo voluto dimostrare certe fotografie recentemente pubblicate su tutti i fogli a rotocalco, rappresentanti membri di famiglie reali, in Africa od in India, proprio a cordiale colloquio con qualche lebbroso del luogo. Si pensa, naturalmente, che quei malati non fossero più contagianti; che, cioè, neppure più 11 loro muco nasale, la secrezione più pericolosa, pullulasse ancora di germi disseminatoli. Difatti, finché i lebbrosi non siano stati « negativizzatl », come si dice per analogia con i tubercolotici che non emettono più bacilli con l'espettorato, le precauzioni debbono essere sempre scrupolose. Andare a cacciarsi ove circolano malati attivi, con aperte lesioni cutanee positive, non è invitante e può indurre un certo brivido, almeno la prima volta, anche ad essere medici,- esperti nel muoversi con circospezione. Ve lo dico io, reduce da una ancor fresca esperienza in quel gran serbatoio di lebbrosi che è l'India. Ne avevo visto qualche esemplare libero, qualcuno dalla caratteristica maschera leontina, qua e là accanto a « Templi » che andavo visitando nell'interno del vasto Paese, e avevo finito col non farvi più caso dopo settimane e settimane di peregrinazione, cosi come non si fa più caso, ad un certo momento al vagabondaggio delle mucche sacre per le vie d'una grande città indiana. D'altronde in certe contrade urgeva per me un problema più immediato, evitare il colera là dove è endemico, sfuggire al rischio di una peste ove i casi non mancano, scartare l'acqua che in certe contrade mi avrebbe esposto ad un tifo o ad una amebiasl, e via dicendo. Ciò per due ragioni: prima, perché il piano igienico quinquennale di risanamento dell'India, di cui mi aveva parlato con dovizia di particolari il Ministro della Sanità dell' Unione indiana, una brillante e snella signora che ebbi la ventura di interrogare nella residenza di Nehru, alla stessa presenza del Primo Ministro, è appena avviato; secondo, perché — e ciò fu colpa della mia affrettata partenza ero giunto in India appena appena con una vecchia, sebbene non ancora scaduta vaccinazione obbligatoria contro il vaiolo, e nient'affatto vaccinato, come fortemente raccomandasi, contro tanti altri malanni. Poi c'era da stare attenti a non pestare la coda di qualche cobra e contro le punzecchiature di zanzare malariche ingurgitare settimanalmente due pasticche d'uno speciale composto di chinino. (Che gioia fare l'inviato speciale!). Nessun farmaco preventivo, d'altronde, e nessuna vaccinazione avrebbero potuto immunizzarmi preventivamente contro l'Infezione lebbrosa. Attenzione, attenzione soltanto ad evitare contatti diretti od indiretti. Ed ecco, agguerrito solo di queste buone intenzioni, dirigermi un giorno verso Chingleput per visitare 11 più rinomato istituto di ricerche sul terribile male, il «Leprosy Research Institute », ove corrono studio si di tutto il mondo. E' sito a poche miglia da Madras, ove si può dire che abbia il migliore avamposto in un popolato reparto specialistico del grande ospedale « Stannley ». Fu 11 la mia iniziazione con una malcelata titubanza, che credo non sia sfuggita a quell'aitante medico capo-reparto (tanto aitante da essere campione di sollevamento pesi), nel momento in cui gli venni presentato nel salone dei « positivi ». Per un suo rapido gesto nel lasciare la siringa — con cui attendeva ad iniettare, con trenta brevi e superficiali punture ravvicinate, un miscuglio oleoso intorno al focolaio cutaneo d'un malato — ebbi l'impressione che cortesemente volesse porgermi la mano in un saluto all'europea; ma non so se io sia sembrato altrettanto cortese, o troppo timoroso, nell'essermi affret¬ t e tato a salutarlo all'Indiana, a mani giunte in anticipo e leggermente agitandole, si da evitare l'incontro con le sue, troppo accostate prima ad una possibile fonte di contagio. Poi, com'è naturale per un medico, presi confidenza con l'ambiente, per quanto istintivamente il mio portacarte mi sia rimasto sempre sotto braccio, dopo d'averne estratto taccuino e matita, tanto da tener occupate mano destra e sinistra. Che sfilata di malati mi è toccato vedere, dai più semplici a quelli amputati, ulcerosi od anchilosati, comunque deturpati per lesioni cutanee o nervose; dissociazioni della sensibilità, macchie, bitorzoli, mani a scimmia, fronte, mento e zigomi come impallinati di piombo, e tante altre strambe lesioni. Passati nell'ambulatorio per esterni, un bel librone vi consultai, nel quale meticolosamente erano annotati 1 referti delle visite periodiche di controllo, con particolare riguardo agli esami batteriologici delle secrezioni. Potol cosi sincerarmi della lunga persistenza della negatività, che si ottiene in genere dopo circa tre anni di assidue cure. Se per la terapia l'India si può considerare un vasto banco di prova, va tuttavia detto che sono là i farmaci moderni, che corrono oggi per tutto il mondo, quelli che vanno addomesticando Il grave malanno, ed ho sentito i medici indiani lamentare il fatto che nei centri bene attrezzati di cura arrivino troppo in ritardo i maIati, sovente trattati prima maldestramente da mediconi mediante sorpassate terapie popolari; sicché, mentre è ancor possibile frenare l'agente infettivo, non riparabili sono le deturpazioni acquisite. L'olio che ho visto iniettare nel derma della cute è un olio della fatta di quello classico d< Chaulmoogra ad azione battericida. Ma accanto ad esso nell'India d'oggi sono i solfoni a rendere vantaggiosi servizi, in unione con altri farmaci ausiliari, che in certe occasioni diventano di primaria importanza; quali il cortisone (o suoi derivati) e l'a.c.t.h., pronti a stroncare talune terribili reazioni leprosiche. I solfoni, di cui ora si impiegano derivati speciali diffusibili, Bono parenti prossimi dei sulfamidici e primitivamente indirizzati alla cura della tubercolosi. Alla terapia della lebbra sono stati rivolti in conseguenza della strana somiglianza tra bacillo di Koch e bacillo di Hansen; ragione per cui anche la streptomicina e più recentemente l'isoniazide sono entrate in sperimentazione nell'armamentario enti-lebbra. Nel quale arsenale si annoverano oggi, come batterie d'accompagnamento, gli estratti di fegato e la vitamina B12, per correggere l'anemia concomitante; gli estratti di corteccia surrenale, contro i sintomi dell'insufficienza dei surreni; varie vitamine, dalla B uno, alla C ed alla D, per emendare particolari squilibri; la metionina, per proteggere il fegato. Ma non è qui luogo per inoltrarci nei particolari. Basta che si sappia che la contagiosità della lebbra può essere arrestata e che una sua guarigione clinica è realizzabile. Facendo, dunque, doverosa eco all'invocazione di Follerau, appoggiata in questi giorni dalla parola del Sommo Pontefice, si tratta di riformare l'opinione pubblica nei confronti degli hansenlani, come gradualmente si è andata riformando nei riguardi del tubercolotico, di mano in mano che il progresso terapeutico ne ha concesso il reinserimento nella società. Angelo Viziano IN MARGINE AL CONGRESSO INTERNAZIONALE DI ROMA

Persone citate: Hansen, Koch, Nehru, Raoul Follerau