I libici ci considerano amici sicuri e disinteressati

I libici ci considerano amici sicuri e disinteressati LUNGA INTERVISTA CON IL PRIMO MINISTRO M USTA FA' BEN HALIM I libici ci considerano amici sicuri e disinteressati Dei 40 mila connazionali rimasti in Libia, gli ottomila coloni che strappano all'arido terreno il grano, che coltivano l olivo e gli agrumeti sono la forza più viva che abbiamo lasciato laggiù • Aver capito in tempo l'inopportunità di una politica colonialista, ci ha consentito di conservare il patrimonio più prezioso: la stima e la fiducia degl'indigeni (Dal nostro inviato speciale) Tripoli, marzo. — Se riusciremo a rimanere in Algeria, Tunisia e Marocco nelle condizioni e con la dignità con cui l'Italia è rimasta in Libia, potremo considerarci fortunati. — Riferisco questa frase, pronunciata da un francese dell'ambiente diplomatico di Tripoli, come indicativa dell'opinione internazionale sul modo con cui l'Italia ha risolto i suoi problemi con la Libia e liquidato la questione coloniale. Nel periodo immediatamente successivo alla sua indipendenza, la Libia guardava con sosjìetto ogni atteggiamento del governo italiano, temeva di scoprire ingerenze e non sopite nostalgie di dominio coloniale anche nelle naturali azioni di tutela dei nostri connazionali rimasti laggiù. Alla fine i libici si sono resi conto che l'Italia non intendeva rivendicare nulla, se non il rispetto dei diritti acquisiti dagli italiani con il loro lavoro. Quando ebbe la certezza che la sua giovane indipendenza non era minacciata, la Libia iniziò un'opera di revisione nei nostri confronti e la conclusione di que¬ sto approfondito esame fu che la presenza degli italiani è necessaria alla struttura economica e sociale della Libia. Me lo ha confermato il Primo Ministro Mustafà Ben Halim in una lunga intervista durante la quale abbiamo toccato moltissimi argomenti, anche interessanti, perché la Libia si trova oggi in una posizione di privilegio lusingata com'è da inglesi, americani e russi, che si contendono la sua amicizia a suon di dollari, sferzine e rubli. Noi non diamo quasi nulla, eppure i libici ci considerano gli amici più sicuri e disinteressati. Buoni ricordi Riferisco qui le parole che il Primo Ministro ha detto sulla posizione degli italiani rimasti durante e dopo la guerra, in candteiont certo poco liete, a lavorare quei campi strappati ai deserto. <Il lavoro degli italiani ci è necessario — ha dichiarato Ben Halim. — Noi li consideriamo come ospiti favoriti e intendiamo creare intorno a questi lavoratori una atmosfera di serenità e di fiducia che sarà utile e proficua per noi e per loro. Con l'Italia abbiamo risolto un grosso prò blema. Nel trattato che sarà firmato entro un mese abbiamo regolato i nostri rapporti economici, soprattutto per ciò che si riferisce alle proprietà italiane in Libia. Abbiamo riconosciuto ti diritto a queste proprietà perché intendiamo rafforzare sempre più le nostre relazioni economiche e di amicizia con l'Italia. Se ha parlato con dei libici, se ha osservato lo spirito che governa la nostra vita, ha potuto rendersi conto dei sentimenti che nutriamo verso gli italiani. Simpatia, stima e fiducia regolano i nostri rapporti. Ci auguriamo che gli scambi commerciali e culturali fra i nostri Paesi s'intensifichino sempre più >. Questa era la voce ufficiale, che confermava quanto già avevo potuto constar tare nei contatti con libici di ogni classe sociale. Avevo parlato con molta gente, ma soprattutto avevo osservato gli arabi per coglierli nei momenti meno controllati delle loro espressioni. Dal loro comportamento si dvrebbe che in Libia non et 1 e e , n n a r l e, l e a a a sia stata una vera e propria dominazione coloniale italiana, ma piuttosto una oculata e generosa amministrazione che, andandosene, ha lasciato dietro di sé buoni ricordi. Anche nei momenti più drammatici del dopoguerra, quando la Libia senza governo è rimasta in balìa di se stessa e le dimostrazioni di folla con le ben note esplosioni xenofobe potevano verificarsi, gli italiani non hanno conosciuto gli orrori delle persecuzioni, hanno continuato a lavorare come sempre, senza subire molestie. La pacifica coabitazione di arabi e italiani sullo stesso suolo è stata possibile per quel tanto di buon senso e moderazione che regola sempre le azioni dei nostri lavoratori. Un raffronto tra. la presenza francese nell'Africa Settentrionale con quella italiana in Libia non è possibile, lo spirito che le informava era totalmente diverso. Se la Libia, »n tempo relativamente breve, ha potuto consolidare la propria organizzazione e mettere in piedi una macchina statale che funzioni, una buona parte del merito spetta all' amministrazione italiana che, certo senza prevedere i movimenti nazionalistici che agitano l'intera Africa Settentrionale, ha tuttavia allevato una classe di tecnici e pro/essionisti arabi che oggi formano i quadri del governo e dell'amministrazione libica. Atto di saggezza La maggior parte degli uomini di governo libici si sono laureati nelle università italiane, parlano la nostra lingua alla perfezione, sono gli intermediari ideali per una sempre più stretta collaborazione fra i due Paesi. Questa simpatia per l'Italia non si limita alle élltes arabe, ma è comune a tutto il Paese. Quasi tutti i libici, dal manovale, al contadino, al pastore, ai medico parlano correntemente italiano;, i pochi che lo ignorano sono piovani provenienti dal Fezzan, zona fino a poco fa di influenza francese. Come tutti i Paesi d'indipendenza recente, anche la Libia ha avuto i suoi sbandamenti, le sue impennate nazionalistiche, ma in misura assai inferiore a quelle di Paesi considerati più maturi storicamente e politicamente. Sotto questo aspetto, anzi, la Libia ha dato delle lezioni di moderazione democratica. Molti nomi di vie, è vero, sono stati mutati, ma era il meno che potesse accadere. A Tripoli, anzi, una parte della toponomastica è rimasta inalterata, come la lingua italiana è rimasta la più diffusa dopo l'arabo. Ita, quel che conta, il 90 per cento dei medici che lavorano in Libia, buona parte degli ingegneri, architetti e tecnici sono italiani, stabiliti qui da uno o due anni, quasi a dimostrare ■ che i rapporti tra Libia e Italia non hanno subito rallentamenti. Aver salvato queste posizioni dal disastro della guerra è stato un mezzo miracolo; non perderle ora, seppellendo definitivamente le nostalgie di dominio storicamente superate e condannate, è atto di saggezza. La Libia non è,quello che si dice un grosso mercato, la sua economia non si è ancora solidificata, il milione e duecentomila arabi che là popolano hanno limitate possibilità di consumo; tuttavia non è un mercato da trascurare, l'abitudine ai prodotto italiano può favorire ancor di più l'espansione delle nostre merci. Bilancio positivo Inoltre non bisogna dimenticare che in Libia sono rimasU m connaziona- li, ormai integrati nell'economia libica. Gli ottomila coloni italiani che strappano all'arido terreno il grano, che coltivano l'olivo e gli agrumeti, sono la forza più viva che abbiamo lasciato laggiù. Se la siccità e le co-' vallette non distruggono il raccolto, la vita libica prende slancio, perché tutta la sua economia è basata sull'agricoltura. L'importanza dell'agricoltura e degli ottomila coloni italiant che ne formano l'ossatura è tale che il Governo libico, nel trattato con l'Italia, ha concesso clausole particolarmente favorevoli ai coloni stabiliti nei compressori, prevedendo entro cinque anni il riscatto del podere. Il contadino può, quindi, diventare proprietario del terr.eno ohe ora coltiva quasi in condizioni di salariato. Ero all'aeroporto di Tripoli il giorno in cut il ministro delle Finanze, dottor Sahli, tornava da Roma dove aveva guidato la Commissione tecnica per la definizione dell'accordo tra Libia e Italia. < Tra meno di un mese — ha detto — lo strumento sarà perfezionato e presentato ai due Parlamenti. Sono certo che sarà approvato, perchè non esistono più ragioni di dissapori fra i nostri Paesi. L'Italia ha riconosciuto la nostra indipendenza, noi riconosciamo all'Italia i suoi di- le 1111:11111111111 u 11111111111111111 i 11111111111111 > 1111 ) 11 ritti in Libia. Si tratta, è vero, di accordi principalmente economici, ma jton posso trascurare l'importanza degli accordi culturali. Tra Italia e Libia devono esistere rapporti particolari, la nostra amicizia non è legata soltanto a ciò che si può vendere e comperare, ma a qualche cosa di più, lei mi capisce. Scriva cose simpatiche sulla Libia >. Parlava un italiano perfetto, con leggere inflessioni toscane, ricordava i viaggi a Roma, Firenze e in altre città durante gli anni di università, parlava con ammirazione e affetto di ciò che aveva veduto, come di un patrimonio anche suo. Ho meditato su quella esortazione: € Scriva cose simpatiche sulla Libia». Ho scritto quello che ho veduto e sentito, senza preconcetti. Il facchino d'albergo e il vetturino di piazza, il funzionario governativo e l'ispettore di dogana, il ricco e il povero, il dotto e l'ignorante sentono nell'Italia un Paese che, non avendo fatto discriminazioni razziali nel passato, comprende, rispetta e favorisce oggi 11 loro naturale desiderio di libertà e indipendenza. I libici, come tutti i popoli giovani, sono molto sensibili a questi atteggiamenti. Aver capito al momento opportuno che una politica colonialistica avrebbe potuto metterci nell'identica posizione in cui si dibatte oggi la Francia in Africa, ci ha salvati da un dissanguamento non solo economico e ci ha consentita di conservare l'amicizia dei libici. Tutto sommato possiamo considerarlo un bilancio positivo. Francesco Rosse

Persone citate: Mustafà, Sahli