Speranze, idilli e nostalgie

Speranze, idilli e nostalgie LA SETTIMANA DikL FILM GIAPPONESE A ROMA Speranze, idilli e nostalgie «Sotto qualche parte di cielo» di Kobayasci - «Il bacio» di Naruse, Suzuki e Kakem - «Vita di un artista» di Sasaki Ko (Dai nostro inviato speciale) Roma, 14 marzo. La « Settimana > ha ormai preso lì suo passo di strada, di sera in sera, dinanzi al pub blico dell'Archimede, una sala elegante e non molto ampia dei quartieri alti. Il secondo spettacolo ci ha presentato Kono kiroi sora no (« Sotto qualche parte del cielo »), di Masaki Kobayasci, da un romanzo di Yoseiko Kuauda. Un film particolarmente atteso perché, si diceva, il più sensibile, di questi sette, alla parola del cosiddetto neorealismo italiano. E' infatti, la sua, una realtà umile, quotidiana, indagata con attenzione, persino amorosamente: un piccolo bottegaio, la sua giovane moglie, il fratellastro del marito, una sua sorella rimasta sciancata in un bombardamento, un commesso che di lei è sempre stato timidamente innamorato, un giovane studen¬ te, altri giovani. Sono le nuove generazioni che si affacciano alla vita in questi ultimi anni, dai dubbi angosciosi e dalle speranze assai pallide. < Sotto qualche parte del cielo » dice uno di questi giovani, vive certo la creatura che sarà per lui tutta la sua vita, per tutta la vita. Tema corale, umano, articolato, come era inevitabile, in piccole vicende parallele, e qualcuna, come era prevedibile, si conclude senza una sua conclusione. L'attesa continuerà; e, per continuare, riuscirà ad avere qualche sua altra pallida speranza. Il torto del film è di non almeno accennarsi, ma sufficientemente, i dolori e il marasma dai quali, malgrado tutto, quelle speranze hanno potuto albeggiare. Non basta l'apparizione dì una sciancatlna di guerra; e non bastano alcune parole un po' libertarie di uno studente ma¬ lato di petto. Cosi il film appare immerso in una sua rassegnazione che è timidamente e pudicamente ottimista. Il racconto non è eerto trito, ma un po' pedissequo. Perché mancano a queste figure quegli sfondi e quei presupposti drammatici e umani che, con qualche apertura pungente, e qualche scatto improvviso, avrebbero dovuto avere. Qui si danno per sottintesi, anche troppo; e allora il film un poco galleggia, anche se ricco di episodi riusciti, di tocchi sagaci, e di qualche tono sorprendente (dice una battuta: «Seduto accanto al fuoco, guardo le montagne coperte di un bianco kimono»; e dice un canto: «Monte Higashi, che sembri un dormiente sotto le coltri »). * * Kucizuke, ovvero « Il bacio », è un trittico ispirato da tre racconti di Yogiro Iscizaka, tenero marito dell'umile ancella che ha sposato; la vicenda è semplice e umana, -inquadrata in ambienti sagacemente scelti a Kioto e dintorni: a non pesano, delle due scuole contrapposte, le diatribe artistiche, talvolta risolte a suon di pugni. Ma la sorpresa del film è nell'ultimo ampio episodio, davvero inedito. L'imperatore ha indetto un concorso perché sia dipinto un drago immenso, che dovrà ornare il soffitto di un tempio. I finalisti della gara sono di fronte: e sono, naturalmente, i due alfieri delle due scuole rivali. Campione della « Tosa » è Matahei. Nel cortile più grande dei palazzi imperiali, ciascuno dei due pittori dispone di un foglio di carta, steso a terra, ampio almeno come dieci lenzuola: un pennello pari almeno a tre scope in una; e di due coppie di aiutanti, ciascuna con un mastello di colore. I finalisti dipingeranno quindi a terra, come scenografi; e, compiuta l'opera, 1 due immensi fogli saranno issati su due grandi tralicci, per il giudizio. Attorno, massimi e minimi dignitari, cortigiani, i seguaci delle due scuole, e tutta una folla di curiosi e di tifoni, bene allineati sui margini del campo. La scena sa d'incontro sportivo e di torneo appiedato, ciascuno dei due brandisce il suo pennellone come un'alabar* da. Non so sa la rievocazione sia rigorosa; ma l'episodio è certo tanto singolare quanto avvincente. (Vince Matahei, ■ed a zero). Mario Gromo ciascuno dei quali ha avuto un suo regista: Mikio Naruse per « Il primo bacio », Hideo Suzuki per « Una fanciulla nella nebbia », e Masamori Kakem per « Due donne ». Dei tre episodi il migliore è certo il primo. Pare Infatti, tra le Inquadrature, di vedere come scorrere il racconto dal quale l'episodio è tratto: e non nel senso di una stretta fedeltà al testo letterario, il che non avrebbe nessuna importanza, ma perché si sente, sullo schermo, la delicata coerenza dello scrittore. Si tratta di poco più di un bozzetto, dal quale sboccerà l'amore di una studentessa di liceo e di un suo compagno. Scorgiamo anche la famiglia di lei: ed è soprattutto sua cognata, rimasta vedovarla tre anni, a renderla attenta, esigente. Ora quella le conferma che ha deciso di tornare a sposarsi, e ne è un po' trepida, un po' arrogante, un po' impacciata; e non si accorge del turbamento della ragazza, costretta a scrutarla, a giudicarla. Ma quando poi le annuncerà la sua rinunzia, perché tròppo vivo è in lei il ricordo del marito, e le racconterà come si fossero, allora, fidanzati, la cognatina più che mai penserà al ragazzo che l'ama senza dirlo, sente che sarà il vero amore della sua vita. Toni freschi, gentili, delicati, bozzettismo sentimentale; e molto bello, e rattenuto, il lungo primo piano di Kyoto Aoyama, che fugge da chi l'ha baciata per la primissima volta, e sul suo volto traspaiono turbamento e curiosità, sdegno e tenerezza, il proposito di fuggire e il desiderio di essere raggiunta. Gli altri due episodi del film sono soltanto garbati e corretti, con qualche figurina azzeccata.- * * Con Kiryu Muso (« Vita d'un artista»), di Sasaki Ko, preciso intermezzo proprio alla metà della < Settimana », si torna, in una parentesi assai colorita malgrado il bianco e nero, ai film evocatori e nostalgici dell'antico Giappone feudale. Siamo nel 'Cinquecento a Kioto, la gloriosa capitale anche umanìstica, dove il pennello era forse il simbolo più prezioso, perché in sé riassumeva letteratura e pittura, 1 due grandi influssi della maestra civiltà cinese. Bei tempi, per i pittori. Dicono le leggende che il grandissimo Sesshu, avendo avuto per una sua marachella le caviglie legate ad una colonna, si pose a disegnare, così, per distrarsi, del topi, ma cosi belli, che subito dopo l'ultima pennellata balzarono sulle funi e in un amen le rosicchiarono, liberando così il loro creatore. Ma torniamo al film. Narra una lunga lotta fra due scuole di pittura, la < Kano» che accademicamente guarda il passato, la «Tosa» che animosamente guarda Innanzi (tutto il mondo è paese); e si conclude con la vittoria della seconda, degli artisti veri, fu ed è un fatto tutt'altro che frequente. Non piccolo merito dei soggettisti è di avere impersonato la scuola vittoriosa in Matahei: un pittore di molto talento, un omaccione sbuffante e balbuziente, e, in apparenza, un semplicione (benissimo interpretato da Ciezo Kataoka, un attore molto popolare in Giappone). Matahei ha una sua vita sentimentale, di padre in seconda della figlia del suo maestro, di sa

Persone citate: Aoyama, Hideo Suzuki, Mario Gromo, Masaki, Mikio, Sasaki, Suzuki

Luoghi citati: Giappone, Roma