Vincenzo Barbaro evade a Mortara segando le sbarre della sua cella

Vincenzo Barbaro evade a Mortara segando le sbarre della sua cella Vincenzo Barbaro evade a Mortara segando le sbarre della sua cella Si è calato sulla via con un lenzuolo - Forse un complice lo aspettava - Si era fatto trasferire nelle carceri mandamentali per un processo di pretura - Doveva ancora scontare qualche anno - A Torino, vestito da tenente dei carabinieri, aveva favorito la fuga di suo fratello - Le lettere di una misteriosa Doris o Dolly (Dal nostro inviato speciale) Mortara, 5 marzo. Vincenzo Barbaro è fuggito dalle carceri mandamentali di Mortara secondo il classico schema delle evasioni descritte nei romanzi: ha segato le sbarre di ferro della prigione, si è calato con un lenzuolo lungo il muro di cinta, si è lasciato cadere da tre metri di altezza sulla via silenziosa e deserta, poi è sparito nel buio della notte. Si sono accorti della sua assenza dalla cella verso le sei di questa mattina. In meno di mezz'ora i telefoni di tutte le questure e di tutti i comandi dei carabinieri sulla penisola si mettevano a trillare per fonogrammi urgentissimi: dare la caccia a Vincenzo Barbaro. L'immediato spiegamento di forze per catturare il detenuto fuggiasco non deriva dal fatto che egli sia un assassino o un grassatore; anzi egli ha Vincenzo Barbaro Il custode Salvatore Floris un istintivo orrore del sangue e della violenza. Lo ricercano con particolare accanimento perchè la sua evasione ha tutto il sapore di una beffa alle autorità e, da parte sua, non è la prima, nò la più clamorosa. Viso simpatico, elegante, conversatore arguto dalle battute sempre pronte, dotato di una coltura vasta, esperto specialmente nel campo giuridico Vincenzo Barbaro cominciò a trovarsi nei guai alla fine del 1945. Avevano arrestato suo fratello Giuseppe; suo padre, il dott. Bruno radiato dall'albo degli avvocati, era colpito da mandato di cattura; per lui personalmente si era aperta un'istruttoria perchè con i di versi nomi di « principe Pignatelli », « duca Della Quercia », « maggiore Howard delle forze U.S.A. », si era impadronito, con la complicità di belle ragazze, di gioielli e preziosi per molti e molti milioni. Vincenzo temeva che il fra tello « cantasse ». Studiò allora un piano per farlo fuggire D'accordo con la sua giovane e bellissima amica Giuliana Palmieri, detta Dolly, fece denunciare per un inesistente furto di pellicce, Giuseppe, alla Procura della Repubblica di Genova. Da Genova fu subito chiesto alle « Nuove » di Torino il trasferimento di Giuseppe Barbaro. La mattina del 1° aprile 1946 il detenuto scortato da due carabinieri scese dal cellulare davanti alla stazio:..; ferroviaria di Porta Nuova e ai avviò, manette ai polsi, verso il treno diretto alla aflI tj Fece pochi pas- si, vacillo e cadde, i due mill-l tari videro il sangue colargli dalla bocca. La gente intorno faceva ressa. Giuseppe acni- brava agonizzante. Un tenente dei carabinieri, elegantissimo e con piglio autoritario, si fece largo. « Che cosa succede?» domandò guardando severo i due subalterni. « Ma, non sappiamo, è caduto giù » risposero gli altri. « Portatelo via... » ordinò il tenente. ,Nnn nhhinmn niù il et.Hn più ceuu lare , ribattè un carabiniere. « Allora venite sulla mia auto». Il tenente davanti, e gli altri due dietro, sorreggendo il corpo inerte del detenuto, rag- giunsero via Sacchi. Salirono tutti sulla vettura, una 1100 scura con targa « Esercito italiano ». Il tenente tirò il pomello dell'accensione. Il motore rimase spento. « Ah, questa batteria! ». Comandò ad un carabiniere di scendere e di spingere. Ma questo non bastava, scese anche l'altro e in due fecero forza. Un attimo, e rotolarono entrambi per terra: ormai la « 1100 » fuggiva via velocissima guidata dal falso tenente, Vincenzo Barbaro. Lui stesso aveva fatto avere al fratello, nelle « Nuove » di Torino, una fialetta di liquido rossastro somigliante a sangue, da rompere con i denti al momento giusto. I carabinieri, beffati, mobilitarono i loro investigatori più intelligenti. Il tenente Nuvoloni e il maresciallo De Negri, vestiti da venditori di limoni, furono mandati in Liguria dove si sapeva che Vincenzo Barbaro, allora trentenne, viveva allegro con la seducente Dolly. Verso la metà d'aprile sul treno Chiavari-Genova, in una vettura di prima classe, i due carabinieri riconobbero la coppia che cercavano. Quando si sentì chiedere j documenti, Vincenzo Barbaro, sorridendo, porse un passaporto diplomatico intestato al conte Vincenzo De Vincentis; la sua compagna figurava essere la contessa Gisella Della Torre, dama di Corte. Il gioco durò pochissimo. Nella caserma Podgora di Torino, l'autore di quel « pesce d'aprile » alla stazione di Porta Nuova, dovette confessare di non «ssere nè conte, nè principe, ma solo uno scaltro truffatore. « Ora sono qui, ma fuggirò ancora », promise Vincenzo Barbaro al tenente Nuvoloni. Tentò il colpo alle « Nuove ». In cella il suo compagno cantava a squarciagola la « Marsigliese» e lui con una lima, trovata nella pagnotta, segava le sbarre. Dopo tre notti, divelta l'inferriata, fuggi con il complice; scavalcò tre muri; all'ultima cinta una sentinella diede l'allarme; l'evasione fallì. « Un giorno o l'altro fuggirò » ripetè Vincenzo Barbaro al Presidente del Tribunale di Genova, nel 1952, quando con ventuno capi di imputazione venne processato in compagnia del padre, del fratello e della bella Dolly, che lasciata in libertà provvisoria, si era resa latitante. Fu condannato a dieci anni e quattro mesi di reclusione e ad un anno di casa di lavoro; gli altri ricevettero solo cinque anni di carcere. Sembrava ormai che Barbaro avesse dimenticato il suo proposito. In fondo in prigione non stava malissimo: lì era ancora un principe per i detenuti. Tutti anche i più violenti ed i più grossolani lo rispettavano e si rivolgevano a lui per consigli. Lo chiamavano « l'avvocato ». Trasferito da un carcere all'altro, per subire qua e là processi dovuti a reati dimenticati dal tribunale di Genova, Vincenzo Barbaro scrisse le sue memorie e alcuni soggetti cinematografici, uno dei quali, accettato, gli procurò un forte compenso. Ad ogni occasione tornava a dire che sarebbe evaso. L'occasione buona è venuta a Mortara quando ormai pareva che il battagliero e fantasioso pregiudicato avesse deposto le armi. Ormai i suoi capelli cominciano a tingersi di grigio (è nato nel 1915 a Barrafranca in Sicilia) e il momento della sua libertà pareva vicino. Gli rimanevano ancora forse due o tre anni di piccole condanne collezionate fuori di Genova. Suo padre e suo fratello sono già da tempo scarcerati. Forse a rinfocolare l'antico progetto di fuga nel cuore di Vincenzo Barbaro è stato l'amore di una donna. Detenuto nel manicomio criminale di Rebibbia a Roma, egli riceveva da sei mesi lettere e cartoline affettuose firmate col nome di « Doris » o forse « Dolly ». La sua traduzione a Mortara fu richiesta dal pretore per un processo per truffa: era stato denunciato da un altro detenuto, Piero Gallini. IIMI)MIMllll[lliIllllinMltllHllllMIIIMIIIIlMIIIIH Dalla piccola breccia (a destrVincenzo Barbaro giunse a Mortara il 22 febbraio, scorta-to da cinque carabinieri, tre più del normale. Il 26 successivo, sabato, comparve nella piccola aula di pretura, gremita di carabinieri. Il processo fu rinviato, perchè mancava la parte lesa. All'imputato non furono neppure tolte le manette. Barbaro diceva di essere in attesa del mandato di scarcerazione, per il quale si occupava l'avvocato on. Bruno Cassinelli di Roma I carabinieri, che desideravano di liberarsi presto di un detenuto cosi pericoloso, prepararono subito i documenti di viaggio per la traduzione a Roma. Ma, nella mattinata di domenica, Vincenzo Barbaro cominciò ad accusare forti dolori alle gambe e alle braccia: si torceva nella sua branda ed invocava un medico. Fu chiamato il dott. Vincenzo Sapelli, sanitario condotto, che lo visitò accuratamente e non gli riscontrò nessun sintomo di grave affezione. Vincenzo Barbaro era sfebbrato ed aveva solo un po' di catarro bronchiale, probabilmente causato dall'eccessivo fumo di sigarette. Anche in una seconda visita, fatta dopo qualche giorno, il sanitario dichiarò Vin cenzo Barbaro perfettamente sano e in grado di viaggiare. ■iiiiiiiiiiiiiiiimimmniimimiiiiimiiiimiiii ra) Bàrbaro è saltato sul muro (Tuttavia il trasferimento fu 1 rinviato perchè Barbaro risul¬ o e . ta epilettico. Rimase a Mortara, un carcere vecchio . e malandato, di sole se: celle, guardate dal custode Salvatore Floris e da sua moglie. Nella scorsa settimana Barbaro ricevette una lettera di « Doris » o « Dolly ». Poi si fece acquistare due scatole di lucido dalla moglie del custode, dicendo: «E' un mio puntiglio quello di aver sempre le scarpe splendenti ». In realtà il lucido gli servì a ungere le due piccole seghe che aveva con sè, in chi sa quale modo. La scorsa notte verso le 3 sotto le carceri, nell'angusta via che porta al teatro, si udì più volte il frastuono di un motore: forse una motocicletta. La moglie del custode si svegliò, ma non diede importanza al fatto. Forse sulla strada c'era un complice: non si esclude la presenza di Giuseppe, il fratello che deve ricambiare il gesto clamoroso di dieci anni fa a Porta Nuova, Con due piccole lame seghettate lunghe 15 centimetri e larghe quattro, Vincenzo Barbaro ha tagliato due sbarre, si è aperto un piccolo rettangolo e da quello è uscito. Si è trovato cosi sospeso nel vuoto, a un'altezza di sei metri. All'inferriata ha legato un capo del¬ leCzzbnnslrtsmVamiiiii iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii o di cinta e di qui sulla via la corda fatta con il lenzuolo e poi è sceso sulla via. Alle 5,30 l'operaia Pierina Case ha visto pendere il lenzuolo ed ha avvertito lo spazzino Giovanni Corti. Questi ha bussato alle carceri, ha suonato, ha gridato e, non ottenendo risposta, è corso alla stazione per informare la polizia ferroviaria. Di qui si telefonava ai carabinieri. Il maresciallo Reltano si è precipitato verso le prigioni, è salito subito alla cella di Barbaro', m\ troppo tardi. Dove è fuggito Vincenzo Barbaro? Qualcuno, come la signora Maria Balduzzi proprietaria del caffè della stazione crede di averlo visto salire sul treno delle 5,30 per Milano. 1 carabinieri credono che Vincenzo Barbaro se ne sia andato con la moto o l'auto che ha coperto a tratti il rumore delle sue lime. Il Procuratore della Repubblica di Vigevano dott. Martino ha interrogato a lungo il custode Floris, un ex-carabiniere di 28 anni, che giura di non saperne niente. Sarà sentito anche quel Gallini che denunciò Barbaro a Mortara: si crede che il suo esposto sia stato un pretesto come lo fu, dieci anni fa, la querela di Dolly contro Giuseppe. c. n. iiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiniii