Nel cielo e sulle acque del selvaggio Orenoco di Paolo Monelli

Nel cielo e sulle acque del selvaggio Orenoco BIZZARRI PAESAGGI, SCONFINATI ORIZZONTI AL VENEZUELA Nel cielo e sulle acque del selvaggio Orenoco La vecchia città di Bolivar, romantica capitale fluviale Intrichi di foreste misteriose, eterni rumori di terra vergine Storia patetica di una medicina amara ■ Un villaggio industriale nella landa deserta - A 3 ore di volo da Caracas, dura battaglia con la natura aspra, irta di strani alberi, popolosa di serpenti ■ Il canto delle pianure e dell'intatta solitudine (Dal nostro inviato speciale) Basso Orenoeo, febbraio. — Qui, — dice l'ingegnere torinese, — verranno i fabbricati per i /or».» destinati alla riduzione del minerale di ferro. Là verso quelle colline metteremo l'acciaieria. Di qui ci sarà il parco ferroviario per il materiale di scarico, e i nastri trasportatori per condurre le materie prime ai forni. E di qua — accenna verso il frastagliato orizzonte, un lontano az¬ zurreggiare di monti — sort iiniitiiiiitiiiiiiiiitiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiitiiiiii geranno » fabbricati per la lavorazione dell'acciaio, il laminatoio, l'officina dei tubi, la trafileria a freddo. Mi guardo intorno un po' stordito. Senza fine si stende la pianura intorno, la savana di terra rossastra rivestita di grama erba e di canne, irta di rigide euforbie, sparsa di alberelli oontorti che paiono da frutta e non danno frutto a'euno, che ricoràa la vuota grandiosa desolazione degli altipiani dell'Africa equatoriale. Taluni di quegli alberelli hanno alla forcata grossi malloppi bruni, come gigantesche noci di cocco, e sono nidi di formiche, minuscole, impercettibili, che si /«seleni piovere su chi passi sotto e lo tormentano poi per ore ed ore. Grandi uccellacci ruotano bassi, s'allontanano con volo greve verso il bosco dietro cui scorre lento e vasto il fiume. Ruzzolìo di casette Siamo scamiciati, immersi nell'atmosfera umida e calda; calziamo scarpe alte fino a metà polpaccio, mi hanno obbligato a procurarmene un paio, perché fra l'erba e i tronchi morti stanno in agguato serpenti dal morso avvelenato, e quel feroce ragno che chiamano la vedova nera, e animaletti che si ficcano sotto le unghie e lasciano nidi di uova invisibili fra le dita dei piedi. Qui la natura è ancora ostile, aspra nelle sue ultime difese; ma l'ingegnere parla tranquillo di trenta chilometri di strada entro l'officina, e altrettanti, asfaltati naturalmente, fino al fiume e alla strada nazionale, e di un impianto per produrre ossigeno, e della città che sorgerà da questa landa per ospitare quattromila famiglie, con chiesa e scuola e cinema e fòro e campi di tennis e di golf, <fra tre anni sarà pronta, anche prima >. Abbiamo passato ìa notte a Ciudad Bolivar, cento chilometri più a occidente; spero di avere il modo in un prossimo articolo di descrivervi come merita questa romantica capitale fluviale, protesa sull'Orenoco con ventagli di giganteschi alberi, con un ruzzolio di casette coloratissime, giù per il verde pendio del mon- te che serra il fiume da sud; ha una storia rivoluzionaria, vi si rifugiò Bolivar a rimettere in ordine le sue forze, vi fu proclamato dopo la vittoria preside»ite della Grande Colombia. Allora la città si chiamava Angostura del Rio, cioè strettoia del fiume, perché qui l'Orenoco imprigionato fra due costoloni di mont» non è più largo di ottonovecento metri; il vecchio nome, angostura, sopravive solo nel celebre amaro, inventato qui l'anno 18B4 da un medico militare che si vedeva morire i figlioletti l'uno dopo l'altro, uccisi dalle febbri che si esalavano dat cento stagni che in tempo di magra butteremo la campagna lungo il fiume. Disperato, cominciò a raccogliere e a far bollire erbe selvagge finché ottenne un miracoloso amaro che guari i figlioli superstiti. Vive ancora una sua pronipote a Ciudad Bolivar che racconta la storia; ma la fabbrica del liquore, per sfuggire alle gravose tasse del dittatore Castro, si trasferi a Trinitad, colonia inglese, dove prospera tuttora. Sfamane un aereo ci ha porteti a Puerto Ordaz, quattro case con opere portuario e le sontuose baracche di una società americana che sfrutta i giacimenti di ferro del Cerro Bolivar (una vera e propria montagna di ferro allo stato quasi puro) e ivi imbarca il minerale. E siamo venuti qui, risalendo in una lancia rozza ed instabile, con due silenziosissimi indii al governo di un motorino rumorosissimo, l'Orenoco; il grande fiume che con ampio giro, nascendo presso la frontiera con il Brasile, raccoglie presso che tutte le acque delle Ande e della Cordigliero della costa e lentamente, per la piana dall'insensibile pendio, se le porta all'oceano con una corrente gialla ed altissima. La staggiane è secca, è tempo di magra, questa fiumana che qui è larga sui due chilometri, dopo le piogge di primavera alzerà il livello di diciassette metri, potranno risalirla senza bisogno di farne dragare il fondo navi di trentamila tonnellate. Abbiamo navigato per due ore lungo la sponda di* destra, un muraglione denso altissimo di piante, di arbusti, di liane da cui balzano fuori le corone di alberi centenari; non una voce dalla riva, non un segno di vita umana, vedemmo solo a un certo punto presso una rima di sabbia una capanna zozza e abbandonata. Accostammo, il torinese saltò a terra a vedere se davvero non ci fosse nessuno nella capanna; Paolo e Virginia, pensava, possono essere di tutti i tempi. E nel silenzio del motorino sono venuti a noi gli eterni rumori della terra vergine, ciarlìo di uccelli, ronzio di grevi insetti, lo schianto di un tronco che st abbatte, di un ramo che si spezza; e balzavano su dall'acqua grossissimi pesci e. si rituffavano in un ribollio di schiuma. Abbiamo approdato alla fine, ad una breve radura aiwrta sulla riva; e abbiamo preso su per un sentiero recente nella foresta fitta, greve, umida, oscura, tronchi e arbusti e spini e canno e liane in un i?itrico antico e misterioso. Balzano su qua e là tronchi enormi, tondi, lisci di alberi che si spingono fino a vedere il cielo oltre la densa cupola impenetrabile alla vista; si chiamano ceibas, sono alberi intelligenti, che quando son già ben bene cresciuti, ma sentono che debbono farsi ancor più grossi e forti cacciano fuori dal pedale, per sostenersi meglio, tre grossi costoloni — rizófori li chiamano l dotti — simili alle alette che tengono in piedi le bombe d'aereo; e dove il pendio è ripido, il primo rizóforo che il ceiba \ caccia fuori, più lungo più forte degli altri, è quello verso il pendio. Siamo venuti su lenti, nella grande calura meridiana, scavalcando tronchi, cercando il posto per il piede fra rocce affioranti; e ogni tanto l'ingegnere torinese che marciava in testa con un colpo di machete (è una solida roncola, arma e strumento indispensabile nella selva), ci faceva più comodo il varco. E cantava la copia del llanero, il solitario abitante della pianura, « Sobre la tierra la palma, - so\ bre la palma los cielos; sobre mi caballo yó; - y sobre yó mi sombrero >. (Ecco, pensavo, perché questa gente il cappello non se lo cava mai, gli sembra inchiodato sul capo). Verso l'infinito Giunti al sommo, usciti del folto, per la campagna sparsa di stagni siamo venuti al luogo di dove ho preso le mosse, ad ascoltare le parole dell'ingegnere torinese; che continua a descrivere, come le avesse già compiute innanzi agli occhi, le opere future. Che in questo luogo remoto, a tre ore di velocissimo volo da Caracas, nella deserta provincia Bolivar che ha un abitante ogni due chilometri^ quadrati e si stende con infinite pianure erbose e grandi selve disabitate dall'Orenoco alla Sierra di Pacaraima, sorgerà in brevissimo tempo la prima grande officina siderurgica del Venezuela, destinata ad elaborare il minerale di ferro dalla riduzione al forno elettrico fino alla produzione della- ghisa e dell'acciaio e al prodotto semilavorato, laminati, profilati, trafilati, tubi destinati alle ricerche petrolifere; per una produzione annua di mezzo milione di tonnellate. Per la costruzione della fabbrica è prevista una spesa di 173 milioni di dollari, 110 miliardi di nostra moneta, e avrà una superficie di circa duecento ettari, con edifici coperti per quaranta ettari, e delle opere connesse, porto fluviale, sottostazione elettrica per 150.000 Kilowatt, cantiere e villaggio per gli operai, etc. etc. Parla ancora il giovane ingegnere torinese, che da quattro mesi conduce qui con due colleghi una vita da anacoreta, e già sente il fascino di questa natura selvaggia e schiva, che pur si accinge a combattere: — Quel colle sarà spianato, tutto il terreno sarà lisciato come una tavola, le officine debbono sorgere da un piano perfetto. Il porto lo faremo là di dove siamo venuti su. Una banchina di SBO metri, a cui potranno attraccare contemporaneamente due navi da 10.000 e due chiatte da 5000 tonnellate. Ha veduto la fonte Matanzas, così limpida e oscura sotto il tumulto delle radici delle liane delle euforbie t La imbriglieremo, la canalizzeremo... Gli dico per tentarlo: — Noi. sente rimorso, Lei che ha già posto affetto a questa intatta solitudine, e sarà uno dei primi e dei più zelanti a farla scomparire t E cosa canta a fare la copia del llanero, se si accinge a fare dei llanos uno squallido mondo industriale? Il torinese sorride. — Non esageri. Resterà sempre bastante pianura per una galoppata verso l'infinito. Del resto, già Romulo Gallegos, il poeta della pianura e dei suoi uomini, ha presentito questo inevitabile incalzare del progresso, là dove parla di queste solitudini silenziose, ma fatalmente per poco: < vastos silenclos para immensos rumores de pueblos futuros >. Paolo Monelli

Persone citate: Bolivar, Puerto Ordaz

Luoghi citati: Africa, Brasile, Caracas, Ciudad, Ciudad Bolivar, Colombia, Venezuela, Virginia