Patria, Stato e funzionari

Patria, Stato e funzionari Patria, Stato e funzionari Ricorre spesso, anche in persone non certo sovversive, e tende a divenire luogo comune la frase, che, specie in certe regioni, le nostre popolazioni non hanno incontrato lo Stato se non sotto l'aspetto dell'esattore delle imposte o dell'agente di polizia, sicché non si può chiedere loro di amarlo. Dubito che, nei quasi cento anni di sua vita, il nostro abbia dato molto meno di quanto abbiano dato ai loro popoli altri Stati, in corrispondenti condizioni di povertà. Certamente diede strade, ferrovie, scuole, la sicurezza, che in troppe regioni mancava (si scorrano le spaventose cronache del decennio 18601870), e che per lunghi periodi fu raggiunta, e solo in parte riperduta dopo la seconda guerra. Nè scrittori democratici, convinti che le finanze statali debbano poggiare sulle imposte dirette più che sulle indirette, dovrebbero guardare come a simbolo di oppressione all'esattore delle imposte, nè le varie burocrazie erano e sono cattive (soprattutto se si dia un giudizio complessivo, che guardi ai dipendenti dello Stato nel loro insieme ed ai novantacinque anni di vita dello Stato italiano). Anche delle meno popolari si hanno alcune impressioni favorevoli. In qualche accesso in uffici di pubblica sicurezza per pratiche di rinnovo di passaporto o di smarrimento di patente, ho visto commissari o marescialli che discutevano pazienti intorno ad un tavolo per conciliare una vertenza tra affittacamere ed inquilino o tra padrona e servetta; e, nel periodo razziale, rammento gli accorgimenti che un brigadiere suggeriva ad un israelita per poter legalmente conservare la radio Eppure è esatta la con' statazione che nel nostro popolo non c'è alcun amore per lo Stato, che ai più de gl'italiani sembrerebbe strana l'affermazione che Patria e Stato siano termini inseparabili; e die non nossa dirsi buon italiano quegli che: elude il fisco; studen te o candidato a concorsi cerca d'ingannare gli esami natori ; non vuole essere giù. rato; se vede per strada un incidente od una rissa scantona, per il timore di essere chiamato a testimonio; se giunge ad essere uomo politico pensa arò! accaparrare posti e posticini per i suoi elettori. E poiché non è neppure da pensare ad una indole particolarmente anarchica degli italiani, che in altre consociazioni — Chiesa, partiti, sindacati, e nello stes so esercito — non si mani' festa, occorre considerare in colpa i governi che si sono succeduti in quasi un secolo per non essere riusciti a fare amare, anzi a fare sen tire lo Stato. Il compito era più difficile che altrove; giacché è più arduo amare la casa na' terna povera che non quel la ricca e comi da. Ma in altri Paesi poveri lo Stato è pure amato. Da noi cominciò poco do po l'unificazione ed andò sempre accrescendosi un iato tra la burocrazia (nella più larga accezione del termine, comprendendo anche insegnanti e giudici) ed il Paese. Condizione ideale perchè il popolo si senta tutt'uno con lo Stato è che gli organi di questo con cui comunica siano formati da uomini che abbiano la sua mentalità, parlino il suo linguaggio. E non si ha equilibrio se in uno Stato gli organi che ne formano ed esprimono la volontà dàn no una risultante di sentimenti, un orientamento politico, che non corrisponde apnieno a quello del Paese • H regionalismo, le varie tendenze che volevano affidato ai Comuni quanto più possibile di poteri dello Stato, miravano, negli anni do po l'unificazione, a fare sì che le popolazioni venissero a contatto con lo Stato attraverso uomini loro. Ma vinse la centralizzazione: e più tardi, imposti concorsi nazionali per la nomina ad ogni posto, ed accentuatosi lo squilibrio di fortune e le possibilità di occupazione tra regioni e regioni, le stesse piccole burocrazie comunali finirono in gran parte di essere coperte da estranei. Dovunque si volgesse, il cittadino (parlo degli umili; per il legale o per l'uomo d'affari non c'è una mentalità regionale ), trovava negli uffici con cui era a contatto persone che non ragionavano com'egli era solito ragionare. Ed era pur naturr'^ che questa burocrazia, reclutata di preferenza in certe regioni, rispecchiasse le opinioni politiche prevalenti in queste, anche se non collimassero con quelle di tutta la penisola: ciò che direi si avverta di più da dieci anni in qua. E che il sentirsi separata dai suoi amministrati la portasse a cementare il proprio spirito di corpo, a sentire una sua unità, un dovere di appoggiarsi tra uffici ed uffici, rami e rami. Soprattutto furono, in difetto i governanti. Non solo quelli che mancavano di senso dell'amministrazione (perchè abbiamo avuto' uomini politici c' e consideravano accessorio noioso, da lasciare a specialisti, tutto il meccanismo amministrativo e persino il bilancio dello Stato), ma pur duelli che avevano tale sensibilità. Dimenticarono che il ministro, prima di essere il capo di un ramo dell'amministrazione, è quegli chiamato al governo in seguito alla designazione del corpo elettorale, e così è l'espressione della volontà popolare. Sicché deve curare che quel ramo funzioni nell'in teresse generale, e che la burocrazia ricordi di essere al servizio del Paese. '' Man mano che il meccanismo dell'amministrazione è divenuto più complesso ed altresì che i ministri SO' no rimasti più impegnati nel serrato gioco dei loro Bllllllllllllllllll i ! 1111 i 11111 i 111111111111111111 i 1 partiti, questa visuale del popolo che ha diritti di fronte alla burocrazia, del compito del ministro d'impedire che si formino gruppi chiusi, è andata sempre più impallidendo. Oggi non ci consta mai che un ministro prevalga sulla sua burocrazia, le imponga le proprie direttive. Soprattutto, il popolo non sente mai che un funzionario sia sconfessato, che un ministro dichiari in Parlamento che un'indagine nersonale lo ha persuaso che le informazioni dei suoi r" fici non erano esatte, che a ragione l'opinione pubblica era insorta contro un certo abuso. Anche i più esperti uomini politici sono convinti che se agissero in tal modo distruggerebbero il prestigio dell'amministrazione: non dicono, ma pensano, che di fronte alla complessità dell'opera statale, essi sono il responsabile della macchina che ha bisogno dei meccanici per condurla; e credono impresa disperata dare ai loro collaboratori quell'affetto alla funzione, che sa dare la Chiesa, che sanno dare certi partiti, per cui si accetta il riconoscimento pubblico del proprio torto, anche la propria umiliazione, purché la Chiesa, il partito, nulla perdano del loro dominio sugli spiriti. Qui pure tui.i seguono la via più piana, del minimo sforzo. Ma gli italiani pensano sempre meno che si debba amare lo Stato. A. C. Jemolo 11 ! r i ! 11 : i [ 11 ^ 111m i 11 ! i ! i i ! 1111 : > i j 11 e i i [ 111 ■ i 11 [ 111 a 111 > 111

Persone citate: A. C. Jemolo