La ribellione della cultura al regime del generale Franco di Vittorio Gorresio

La ribellione della cultura al regime del generale Franco SCIOPERI m STUDENTI SPAGNUOL1 La ribellione della cultura al regime del generale Franco Uno degli arrestati in seguito ai disordini universitari è Dionisio Ridruejo, considerato il maggior poeta vivente della Spagna - Egli aveva dedicato un sonetto al «Caudillo», chiamandolo «padre della pace armato» - Ed è uno degli intellettuali che sognarono di correggere la rozzezza dei militari e dei poliziotti franchisti - Tutti questi poeti e universitari sono infatuati di ispanità, e il loro «sovversivismo» è ultra-tradizionalista (Dal nostro corrispondente) Roma, febbraio, c Padre de paz en armas, tu bravura - ya en Occidente extrema la sorpresa...»: sono i versi che intelano le terzine di un sonetto dedicato a Franco, chiamato padre della pace armalo, il cui valore sbalordisce l'Occidente. Anche gli altri tre punti cardinali sono interessati, nei versi che seguono, alla grandezza di Franco. Avvertire che l'autore del sonetto è Dionisio Ridruejo, uno degli arrestati di Madrid in seguito ai disordini nella città universitaria. Considerato il maggiore poeta spagnolo vivente, Ridruejo è ili oltre l'esponente più tipico di quel gruppo di intellettuali spagnoli che hanno sognato, fino dal tempo della guerra civile, di correggere con la cultura la rozzezza dei generali e dei poliziotti e di tutti i retrivi, chierici o laici, che l'impresa di Franco stava portando al sommo dello Stato. Conobbero un momento di fortuna eccezionale. Rafael Sanchez Mazas (che è il padre di Miguel, un altro degli arrestati della città universitaria), giudicato uno dei massimi scrittori spagnoli, fu ministro segretario del partito falangista nel 1940. Durante la guerra civile, rifugiato nella cantina di una Ambasciata straniera aveva scrìtto un romanzo Los ocho enamorados de Rosa Kruger; che è un bel romanzo. Da segretario del partito, scrisse un poema sugli aromi e i profumi: guidava la Falange, ma il più del tempo lo consumava alla ^scoperta del poetico mistero delle essenze. Calzava stivaloni e si copriva della boina basca, ma venne eletto, meritatamente, all'Accademia di Spagini. Gli domandarono un pensiero da stampare, ed egli disse: « Come scrittore non ebbi mai l'aspirazione di essere eletto all'Accademia. Ma poiché sono ministro mi pare che la nomina ora acquisti significati più profondi, e vi dirà che sono molto lieto di potermi dedicare a servire lo Stato nella lette- ratura e la letteratura nello Stato >. Probabilmente anche suo figlio Miguel, oggi in prigione, aveva le stesse ambizioni di un ingentilimento culturale della dittatura. Anche Dionisio Ridruejo sperava di salvare con l'esercizio dello spirito quel tanto di libertà che valesse a rendere la vita non insopportabile del tutto: e c'è da credere che quando scriveva il sonetto a Franco si illudesse di riuscire all'impossibile impresa. Allora il giovane Dionisio (aveva ventisette anni) godeva della qualifica ufficiale di poeta nacional de falange, come dire poeta laureato, anzi poeta di Corte, ed era ministro della Propaganda o Cultura popolare: come Ciano, do. giovane, come Pavolini, parlava del destino della Spagna, il solo- paese al mondo che potesse, < fare » politica, essendo il solo ad avere el sentido de la mlsion, il senso missionario,- e la Spagna sarebbe stato un grande impero di poeti e di signori dello spirito che poco avrebbe avuto in comune con gli altri imperi conoscili- ' U nella storia. Questi intellettuali che da qualche parte ci si è affrettati a definire comunisti, sono difatti tradizionalisti alla maniera spagnola, con qualche vaga aspirazione al liberalismo. Su questo comunque prevale il senso della ispanità, della continuità, della cattolicità, della redenzione, della gloria, della missione da compiersi in qualunque modo ed anche < a sangre y fuego >. t .Ridruejo, dopo la guerra, era stato a Roma qualche anno corrispondente di giornali spagnoli, stava bene in Italia, e ne godeva gioiosamente la libertà, e forse si pentiva di avere scritto in altri tempi anche un sonetto su Mussoliyii; ma non riusciva a nascondere quasi un certo cortese compatimento per un popolo come il nostro: « Italia — ci eliceva- — non puede hacer politica: 110 tiene el sentido de la mision ». Questo senso della missione fu in lui più forte della piacevolezza della esistenza che dolcemente gli si consumava in un paese libero, e ritornò in Spagna dove prese la direzione dei servisi radiofonici dedicati all'America latina. Telegramma a Picasso Se la7nentarsi fra gli amici della condizione politica del proprio Paese vuol dire cospirare, senza alcun dubbio il poeta nazionale della Falange, che alcuni dicono il più grande poeta apparso in Spagna dopo Quevedo, era un cospiratore. Ma in questo stesso senso tutti gli intelIettanti spagnoli sono cospiratori al giorno d'oggi, e lo stato d'animo delle Università non è ignoto a nessuno, e se quelli dell'altro giorno sono stati gli incidenti più claìnorosi, non sono stati certamente i pnmi. Uno, assai tipico e che venne considerato in modo vario, si ebbe quattro anni fa, in occasione di un giro di conferenze che Dali tenne in Spagna. Dal palcoscenico del teatro < Maria Guerrero > di Madrid propose di mandare un telegramma a Picasso con l'invilo a ritornare in patria. Tutto il teatro si alzò in piedi con applausi fragorosi. Dali che aveva già preparato il telegramma, lo lesse al pubblico. Diceva: € Pablo Picasso, Parigi. La spiritualità della Spagna è quanto <" più opposto ci sta oggi al materialismo russo. Tu sai che in Russia si purga perfino la musica per ragioni politiche. Noialtri crediamo nella libertà assoluta 0 cattolica dell'anima uma¬ na. Sappi dunque che, a prescindere dal tuo attuale comunismo, consideriamo il tuo genio anarchico come patrimonio inseparabile dal nostro impero spirituale, e la tua opera come una gloria della pittura spagnola. Dio ti conservi nella Sua santa e degna guardia >. Acclamazioni a non finire, e il telegramma fu firmato a gara dagli intellettuali presenti nel teatro: c'era Ridruejo, naturalmente, e c'era il rettore dell'Università di Madrid, quel Pedro Lain Entralgo che si dice sia stato' rimosso dalla carica per gli incidenti dei giorni scorsi, e c'erano tul-.ingisti della vecchia guardia come Sanchez Mazas senior, e c'era forse anche Miguel, il Sanchez Mazas junior che adesso sta in prigione. Umori del dittatore Perchè potesse venire spedito, il testo del telegramma con l'elenco delle firme fu sottoposto a Franco. Franco non disse nulla, come usa. Sembra del resto, che il suo disi?iteresse per le questioni delle quali sogliono occuparsi gli intellettuali sia inattaccabile e assoluto. Comunque il telegramma fu spedito (e non ebbe risposta da Picassoj, ma sarebbe stato un errore considerare l'episodio della trasmissione e poi l'impunità per i suoi firmatari, come una vittoria della libertà della cultura. Era piuttosto da vedere come un avvenimento che a Franco pareva sfornito della minima importanza. Il dittatore non ha occhio per la cultura, se non nei momenti di cattivo umore, e questi in realtà non glt sono mancati negli anni più recenti, che han visto scioperi ed agitazioni studentesche a ripetizione. Nel libro c Spagna clandestina » dt uno spagnolo che si nasconde sotto lo pseudonimo di Juan Hermanos (Feltrinelli. Milano, 195:,) c'è un racconto esemplare della lotta che si svolge nelle Università fra gli studenti e i gerarchetti del S.E.U. iSindicato Espafwl Universitario), che è qualcosa di corrispondente a quello che era il G.U.F. Gli studenti avevano proclamato uno sciopero: < Abbiamo gridato — rarcotita Hermanos — tutta la mattinata. Gli individui del S.E.U. che cercavano dt ottlmare gli animi non ci sono riusciti: questo è il fatto positivo. Allora è uscito il preside a chiederci che cosa volevamo ». Sarà opportuno dire subito che il preside è quel professore Manuel Torres che è stato destituito in que¬ sti giorni. Prosegue Hermanos: ■ « Un giovane, Roberto, che non è neppure affiliato, si è fatto avanti ed ha parlato. E' stato magnifico. E' vero, c'erano mille giovani a sostenerlo. Non potevano toccarlo. Ha detto che lo sciopero era il nostro unico mezzo d'azione. Quando il delegato del S.E.U. ha protestato, Roberto l'ha messo a tacere: che rappresenta oggi il S.E.U.t Quale studente, iscritto per forza, vi dà mandqtot E tutti hanno approvato. Come si sa, per iscriversi all'Università bisogna prima iscriversi al S.E.U. Allora i responsabili del S.E.U. sono stati costretti a ritirarsi e Roberto ha detto che il S.E.U. invece di rappresentare gli studenti si era trasformato in un ufficio di funzionari governativi. Gli abbiamo battuto le mani e il preside ha promesso di fare il necessario perchè ci sia data soddisfazione. Poi siamo secsi in strada e abbiamo continuato a gridare. Due gruppi della Falange si sono dispersi senza battersi, appena hanno saputo che li mandavano contro di noi. Hanno dovuto ricorrere alla forza armata. Nel frattempo noi abbiamo fermato le automobili governative, rotti i cristalli e chiamato ladri e trafficanti chi v'era dentro. Da anni non grido in pubblico; ma stamane mi sono proprio sfogato. Poi è arrivata la Gestapo. C'è stato uno scontro e ci siamo dispersi gridando: "Viva lo sciopero! " >. Pare il racconto degli avvenimenti dei giorni scorsi. Comunque i personaggi sono gli stessi (a parte il preside Torres, il Roberto di cui si parla potrebbe essere benissimo Sanchez Mazas junior), e infatti a conclusione del racconto di Hermanos si viene a sapere che l'organizzatore dello sciopero non era un giovane di sinistra; era un monarchico. Andò a finire che il giorno dopo lo aggredirono in dieci falangisti, entrati all'università con la camicia azzurra. Lo pestarono in corridoio e lo lasciarono mezzo morto; poco più tardi la polizia venne a prenderselo. Pare, più o metto, che cosi sia avvenuto i oior»ii scorsi, e non è molto importante stabilire il conto esatto delle teste rotte da una parte e dall'altra, e se c'è stata provocazione falangista o attabeo proditorio degli avversari: importa il dato della ribellione alla dittatura di Franco, importa il fatto che per ribellarsi a Franco non è necessario essere comunisti. Vittorio Gorresio