La bestia ed il suo uomo

La bestia ed il suo uomo La bestia ed il suo uomo Salvemini, ricordando la borsa di studio che nel 1890 gli permise l'Università, soggiunge ch'es1sa lo salvò dal destino allora comune ai ragazzi intelligenti e poveri del Mezzogiorno, di diventar prete, « e risparmiò anche, credo, al vescovo del mio paese qualche guaio ». Penso io pure alle noie che avrei date al mio vescovo se certi vaghi propositi di avviamento al sacerdozio ch'ebbi quindicenne fossero maturati. Come sarebbe rimasto perplesso, questo vescovo, di fronte a quel giovane prete che, in fondo, faceva il suoj dovere, ma che aveva un così strano modo di pensare M'immagino in un paese di campagna di quarant'anni or sono, tra vecchi per cui era una verità accettata quella che, «chi vuol bene alle bestie non vuol bene agli uomini », e li immagino sgranare gli occhi alle prediche di questo giovane parroco, che non si sarebbe limitato a raccomandare la pietà per gli animali ed a ricordare l'ovvia verità, che quando il bambino ha fatto per la prima volta soffrire l'animale, si è spezzata in lui la prima e più forte barriera che lo separa dalla crudeltà indiscriminata, ma avrebbe sempre parlato dell'animalità per trarre da essa, come superamento, ciò che è l'essenza della umanità. E che avrebbero detto gl'intellettuali del paese, se avessero appreso che il parroco meditava di scrivere un trattato teologico sul posto che la gioia e la sofferenza degli animali hanno nella economia della creazione? Che sono poi i pensamenti che ho portato con me per tutta la vita. E pur oggi mi assillano i due problemi, del posto dell'animale nella creazione, e di ciò ch'è l'uomo per l'animale. Quel che rappresenta l'animale per l'uomo, è meno complicato. Immaginiamo i campi come forse li vedranno le generazioni future, senza greggi e senza buoi; immaginiamo una scultura che non abbia mai conosciuto cavalli nè leoni; una pittura senza destrieri scalpitanti, senza cervi, senza' pavoni che aprono la coda a ventaglio, senza voli di colombi; una letteratura pur essa senza lane d'agnelli, senza pii buoi, senza cervi morenti; pensiamo a tutto questo per tutti i.secoli, pensiamo ad un dileguare dalle quadrighe, greche ai cavalli di De Chirico, ad un impoverimen-.[ to che svuota d'un tratto la novellistica popolare dell'India e dell'Africa come dell'Europa, Esopo e Fedro. Senza volpi astute, senza corvi sapienti, senza lupi voraci scompare la letteratura infantile, non c'è più cappuccetto rosso, non più il gatto e la volpe compagni di Pinocchio, il grillo parlantesavio mentore. Questo impoverimento tutto colpisce: Polifemo non ha più il gregge, Ulisse non è più riconosciuto dal cane Argo. Non vi si sottraggono Teocrito e Virgilio, Ariosto e Tasso, Carducci D'Annunzio e Pascoli. Ma lasciamo da parte letteratura ed arti figurative. Diciamo anche al bimbo, anche al semplice, d'immaginare un cielo senza rondini, chiome d'alberi da cui non escano più cinguettìi, strade di campagna su cui più non saltellino passeri affamati, muretti su cui più non dardeggino lucertole, ed altresì Presepii senza il bue e l'asino, senza i cammelli che si profilano sulla linea dell'orizzonte; ed abbiamo il senso pauroso di una natura veramente depauperata, di un uomo amputato, non tanto nelle sue possibilità pratiche (tra breve la macchina avrà sostituito ogni lavoro animale), quanto nella fantasia, nell'appagamento della emozione estetica. Io andrei più in là, direi: di un uomo amputato nella sua capacità creativa, abbassato in quello ch'è il suo posto nell'universo. Questo invero risulta, se si medita a ciò che è meno facile fissare: quel che sia l'uomo per l'animale^ I nostri vecchi insegnavano che l'uomo è il re del creato perchè degli animali si nutre e li fa lavorare per sè; ciò cui già da bambino obiettavo che, almeno per il primo titolo, la balena ed il pescecane sarebbero forse più re che non l'uomo. Ma il credente dovrebbe essere tratto a pensare che i rapporti con gli animali sono la dimostrazione di una scintilla divina nell'uomo, la dimostrazione che l'uomo è uscito fuori della scala zoologica, che ha avuto per delega una particella di capacità creatrice. L'esercizio di questa capacità postula peraltro l'amore. L'uomo che non ama le bestie, che se ne serve soltanto, nulla crea. Il cane non si mescola alle pecore, ma resta quello che ringhia al passante, il gatto può infiltrarsi nella casa dell'uomo, ma resta U piccolo felino feroce che cerca la preda. Appena l'uomo ama, appena carezza, col gesto o con la voce o con lo sguardo, la natura è vinta. Sorgono quelle meravigliose, innaturali, adorazioni dell'animale per l'uomo. Solo sotto la spinta del sesso l'animale cerca più il suo simile; diversamente il cane guarda al padrone con occhio di amante, vuole la sua carezza, langue nella sua assenza; il gatto passa le giornate nel grembo o sulle spalle o sul tavolo da lavoro del padrone. Nella casa dell'uomo sorgono le meravigliose amicizie tra animali di razze diverse e nemiche; amicizie che mai s'intreccerebbero nella foresta, nella vita della natura, dove ogni specie animale resta indifferente se non ostile all'altra specie. Venuto meno l'impulso del bisogno, la bestia s'ingentilisce, perde la ferocia, lascia passare dinanzi a se. indifferente, quella che nello stato di natura era la sua preda. Il carnivoro accetta tutti i cibi dell'uomo. L'intelligenza che prima era solo volta alla difesa ed a procurarsi il cibo, ora si dirige al gioco, ad ottenere dall'uomo ciò che questi non vorrebbe spontaneamente dargli. Penso al povero Burzio ed alla sua teoria del demiurgo, e vedo più che mai l'uomo in funzione di demiurgo verso gli animali. Demiurgo da principio corrucciato ed annoiato, che poi di fronte alla insistenza, alla semplicità di una preghiera, agli occhi supplicanti della bestia, finisce di sorridere e di cedere. La preghiera ha vinto. Di fronte all'uomo, divinità ignota, il supplice non sapeva se il suo de¬ siderio rientrasse o meno nelle possibilità, nelle visuali del demiurgo; ma aveva la fede, l'umiltà, l'insistenza, e queste hanno vinto: il demiurgo ha dovuto arrendersi. Il demiurgo finisce di essere conquistato; l'uomo serve il suo cane, esce quando questi glielo impone; lo studioso — che può anche essere il romanziere illustre od il grande filosofo — scrive su un angolo della scrivania per non disturbare il gatto che si è sdraiato nel mezzo. Credo che avrei ricordato questo, come argomento sulla efficacia della preghiera, ai miei parrocchia'ii. E penso che i miei discorsi non sarebbero stati affatto empii nè men che ortodossi. Che non solo questi parrocchiani, abituati fin da bambini a tenere per sacro il dolore dell'animale, inibiti a far soffrire la bestia, avrebbero appreso ad essere buoni con il fratello uomo; ma che la loro fede religiosa, con la concezione dell'uomo che, solo, ha ricevuto la scintilla divina e ne ha la tremenda responsabilità, si sarebbe rafforzata. Si, ma prima, quanti fastidì avrei procurato al mio vescovo! A. C. Jemolo

Persone citate: A. C. Jemolo, Ariosto, Burzio, Carducci D'annunzio, De Chirico, Salvemini, Venuto

Luoghi citati: Africa, Esopo, Europa, Fedro, India