D'Annunzio romano

D'Annunzio romano —ci IL LIBRO DEL GIORNO pia— D'Annunzio romano Nel '38, alla morte di Ga-.briele D'Annunzio, i Fratelli Palombi editori pubblicarono un grosso volume d< « ricordi romani > intorno al Poeta, la cui più gustosa e importante novità era costituita dalle notizie intorno all'Ippolita dannunziana, a « i più begli occhi di Roma», cioè quella Barbarella che fu rivelata dal Poeta stesso solo tre anni prima della morte, nel Libro segreto, e conosciuta via via meglio e oggi quasi compiutamente, e non più dagli specialisti ma anche dal pubblico in genere, che ha potuto leggere l'anno scorso trecento delle mille lettere di Gabriele alla donna. La quale fu la più schiettamente amata, con passione giovanile di uomo e con il caldo spirito dell'artista che trova la sua Musa. D'Annunzio amò la sua Barbara, abbandonando la moglie che pure aveva rapito per sé (ed era già madre di tre figli), la rimpianse quando ingannò e perdette anch'essa, la ricordò negli ultimi anni della vita, senza averla mai più veduta per un trentennio, come un emblema della sua giovinezza. Delle altre donne — teniamo a parte il singolare capitolo della Duse — egli fece motivi di apprendimento, com' egli stesso confessò, c Fra tutte le creature della 'erra la donna è quella che noi possiamo più profondamente apprendere: or è così giustificata l'assidua mia frequentazione >. Disinvolto, ma sincero: le donne passano, la poesia resta. Ma Barbarella fu amata con i sensi e con la spiritualità cui egli amava far assurgere i sensi stessi, ma anche con semplicità e forza e dolcezza schiettissime, senza quel mescolato dominio del capriccio, del calcolo, della voluttà, che lo spinsero in troppe altre avventure. Non sorprende che questo nuovo ricco volume, sontuosamente stampato dai Palombi e ornato di Inediti disegni del De Carolis D'Annunzio a Roma esca ancora sotto il segno di Barbarella (anche He per disaccordo di tempi non è stato possibile ai redattori dei vari scritti tener conto delle lettere del Poeta a lei). Non che siano numerose le notizie fresche intorno alla bella cara donna — c'è un ritrattino della sua vecchiaia, un altro della sua recente fine in un ritiro religioso —, ma la si- . figura è meglio conchiusa nel paesaggio e nella vita di Roma, nei cenacoli artistici di allora e in quel giro meravigliosamente patetico di vie, tra il Babuino e Piazza di Spagna, via Sistina, via Gregoriana, che, riconosciamolo, hanno avuto da Gabriele un sigillo di affascinante memorabilità. Quei luoghi sono i consueti e i prediletti del Poeta giovane, che, secondo il curriculum stabilito con la solita esattezza da Guglielmo Gatti, vi soggiornò i dieci anni della sua più esuberante e felice giovinezza, tra 1' '81 e il '91, e poi a tratti, sempre più corti e rapidi, tino al '19 e mai più. Sono anche quelli della sua vita coniugale; e, a un anno di distanza dalla morte della principessa Maria D'Annunzio, con interesse si leggono notizie anche intorno alla moglie che fu bella, leggiadra e semplice donna, buona d'animo e gentilmente tenere del suo infedelissimo consorte anche in anni di più crudo distacco. (Si vedano alcune letterine di lei, pubblicate nel fascicolo I-II dei Quader?ii Dannunziani editi ora dal Vittoriale a cura del suo direttore Emilio Mariano, e ricchi, oltre che di uno scritto complesso e suggestivo di Francesco Flora, di informazioni ben ordinate e documenti e bibliografia di quest'ultimo decennio). La documentazione più curiosa è quella che ci offre il Gatti intorno a una caduta dalla finestra della signora D'Annunzio. Incidente o tentato suicidio? Ose--re ipotesi che dovevano ripetersi press'a poco un giorno per il Poeta stesso. Tentato suicidio, dice il Gatti, e porta addirittura a testimonianza la confessione della signora. Fu perché Gabriele (proprio lui!) la sgridò per gelosia, fu perché ella ebbe dal padre che, a causa del suo matrimonio, non l'aveva più voluta vedere, una nuova prova di durezza, fu comunque per un motivo esasperato di sconforto ch'ella si buttò da una finestra dell'appartamento di via Piemonte n. 1 all'angolo di via delle Finanze. Il volume ha ancora ricordi, rievocazioni, minuzie di vario interesse del Munoz, del Vecchioni, del Regard, del Botter, di Ceccarius, e di alcuni altri (e la fine pagina critica, che altrove avevamo letta, di P. P. Trompeo su una poesiola che ebbe da Barbarella qualche tocco personale); capitoli scritti con amore e per amore di D'Annunzio, a cui nuoce solo un po' di eccesso entusiastico, o di poco freno critico. Ma non di un libro di critica si tratta. Utilmente a questo tema del D'Annunzio romano si può collegare il nuovo volume del commento alla poesia dannunziana che prosegue presso la Casj. ed. Zanichelli per le attente cure di Enzo Palmieri: comprende ì'Isottèo e la Chimera. Due opere sotto la costellazione della moglie Maria di Gallese e del grande amore per Barbara Leoni. Bisogna saper rileggere queste poesie in quell'aura storica, letteraria e sentimentale, e in quell'esaltato musicale languore della Roma fine secolo. Il Poeta vecchio le ricordò, e rimpianse « le primavere melodiose di Isaotta Blanzesmano, di Donna Francesca, di Donna Clara, di Eliana, di Oriana»; e anche dalla giovinezza di molti lettori sorgono le piccole rime fluide di qualche rondò: < Dotcemento muor Febbraio - in un biondo suo colore...». fr. ant.

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