Il cielo deirEnropaLe eliche girano l'aeroplano! Sotto di noi non c'è più heImit segreto di ambivalentiLe eliche girano l'aeroplano Sotto di noi non c'è più he mit segreto di ambivalenti

Il cielo deirEnropaLe eliche girano l'aeroplano! Sotto di noi non c'è più heImit segreto di ambivalentiLe eliche girano l'aeroplano Sotto di noi non c'è più he mit segreto di ambivalenti = UN VIAGGIO IN RUSSIA Il cielo deirEnropaLe eliche girano l'aeroplano! Sotto di noi non c'è più heImit segreto di ambivalentiLe eliche girano l'aeroplano Sotto di noi non c'è più he mit segreto di ambivalenti Le eliche girano, l'aeroplano! vibra e freme immobile, poi cor-[bLe eliche girano, l'aeroplano vibra e freme immobile, poi corre sul campo, ed ecco, è già in cielo. Ciampino, la Via Appia, le Tombe, sono sotto di noi, e i saluti, le cerimonie, gli addii, • il peso del distacco dalle persone, dalle cose della terra. Leggeri più dell'aria ci alziamo, legati ai sedili, senza pensieri, trascinati da un vento che ci deve portare lontano, in luoghi e in tempi, malgrado tutto, misteriosi, al di là di un invisibile muro d'aria, invisibile e compatto come uno specchio che riflette i visi e il terrore ,degli uomini, dove ciascuno, come in uno specchio, non sa più vedere altro che sé stesso e le immagini infantili della meraviglia, dell'immaginazione e dello spavento; al di là di un muro fatto di coscienza incerta, di simboli personali trapiantati dall'anima individuale nel cuore dell'Europa. Navighiamo nel crepuscolo della notte, sulla campagna di Roma, compaiono lumi rossi lontani, si accendono intermittenti le luci rosse dell'ala, si va verso un rosso cielo di tramonto pieno di nubi allungate, di fumi e di vapori, si vola su una costa indeterminata, sopra un'ombra fonda e azzurra che forse è il mare. Già il rosso del cielo occidentale ingiallisce e si smorza in marrone e in grigio, e il cielo li fa giallo e verde, confuso di ombre marine, sempre più cupo e più fitto, e l'Italia, in quell'ombra, scompare sotto di noi. E' scomparsa anche vicino a noi. I viaggiatori sono tutti stranieri, le voci sono diverse, i problemi che ci hanno occupato fino a poco fa sembrano estranei e lontanissimi. Il -mio vicino ha voglia di attaccare discorso, ma non ha lingua per parlarmi. E' un giovane bruno, peloso, con lunghi baffi neri, e l'aspetto polveroso di chi ha subito dei torti e dei soprusi e si sente inseguito e va fuggendo chissà dove, e guarda lo sconosciuto che gli è seduto accanto con gli occhi miti e paurosi di un cane che spera amore, e, insieme, per lunga esperienza, diffida. E' uno degli uomini di una Europa che abbiamo dimenticato (quanto presto abbiamo dimenticato le nostre stesse esperienze, che continuano tuttavia altrove, in altri uomini, in altri Paesi). E' un greco, non parla che greco, e un po' lo intendo per antiche reminiscenze. Mi mostra, chissà perchè, le sue carte, i suoi documenti: tutti quei timbri, quei bolli, quelle dichiarazioni, quelle domande, quelle garanzie, quei visti che hanno richiesto mesi e anni per essere ottenuti, per fuggire la fame e il terrore. E' un profugo, un emigrante, un refugee, come sta scritto sulle sue carte americane: il signor Kastoris, che ha dovuto abbandonare la sua patria e va, con abiti da povero, pieno di speranza e di paura, di sollievo e di angoscia, in un Paese che non conosce e di cui sa appena il nome, a Loneville, nel Texas, dove forse troverà un suo zio, il signor Pappas. Mi parla a lungo e vagamente, in quella sua lingua che ricorda la adolescenza e la scuola e i caldi pomeriggi liceali pieni di esametri di Omero, delle sue sventure, delle difficoltà estenuanti per quelle carte preziose, e mi scandisce, con cadenza eroica e arcaica, le sue tristi vicende di polizia. Già dietro di noi è passata la nera pianura del Po, e i termini d'Italia, e appare la Svizzera, illuminata come dal di dentro con una luce soffice e diffusa di cui non si scorgono le sorgenti, e già scendiamo al moderno aeroporto di Zurigo. L'albergo dove passo la notte in città, è pessimo. Ma all'alba, dalla finestra, appare un grigio incantevole, il primo grigio del Nord, dietro i platani spogli, sui bordi del fiume giallastro e muscoso. Il cielo è un altro cielo; non importa dove sono, sono altrove. All'aeroporto un meraviglioso, enorme orologio segna insieme tutti i tempi di tutti i luoghi. Con nuovi compagni entriamo sulla Germania. Subito la terra scompare sotto un mare di nuvole bianche e rotte dove cammina la nostra ombra. Oggi la Germania è tutta coperta di nubi. Ma sulla nostra destra si leva, come un muro dentellato, lunghissimo, compatto, scintillante, la catena delle Alpi: mille e mille punte di neve azzurra che chiudono l'orizzonte e nascondono il Sud agli uomini che vivono sotto le nuvole. Questo muro bianco e azzurro, fatto di lontananze, costringe al sogno gli uomini di mezzo Di quassù, in alto, da questa solitudine in movimento, col corpo fermo e riposato (nulla è meglio per scrivere e contemplare: per scrivere in modo straordinariamente realistico) si vede tutto benissimo: la pianura coperta di un cotone bianco di nuvole spesse e opache, e poi, avvolte in nebbie sempre più leggere, le prealpi, in catene successive sempre più alte e limpide, e dietro, chiari e superbi, i monti scintillanti. Quale azzurra e calda felicità, quale sole dietro quelle montagne! bsqsoGcilzsodtunasavlasqnslsitàdèbemttaslsdnFcPbnvplgdlGrnrfsiqsdcmstacs Sotto di noi non c'è più cheImbambagia abbagliante: in uno | paa e , o a i i e a o e i i a , o i o , ù e , Sotto di noi non c'è più che bambagia abbagliante: in uno squarcio si vede un paese, uno solo, nella grande pianura di Germania: è Dachau. Dopo Dachau anche le Alpi scompaiono, il Sud si perde di là dell'orizzonte: sulle carte dell'aereo non sono segnati i confini politici, le distanze tra i Paesi sembrano tutte diverse da quelle a cui la nostra mente è abituata, e ci si accorge che luoghi che si pensavano separati e lontani sono invece vicinissimi. Sui confini della nascosta Baviera le nuvole si squarciano sopra selve sterminate; entriamo rapidi sulla Cecoslovacchia, così vicina; e ci posiamo sul campo dell'antica città di Praga. Ma non la vedrò: sull'erba del campo, sotto il pallido sole, è già pronto, piccolo e grigio, il bimotore delle linee sovietiche, e decido di ripartire senza fermarmi. Ma passano le ore e l'altoparlante non ci chiama. Ho tempo di mangiare con degli aviatori belgi, di curiosare nelle stanze dei bambini piene di culle e di dondoli, di fermarmi a seguire i giocatori di scacchi e di dama, di entrare e di uscire nel cinematografo permanente. Finalmente, con ore di ritardo, compare in cielo l'aeroplano di Parigi, arriva ad aspettarlo Tarn-' basciatore di Francia, e scendono, svelti, eleganti, allegri nel vento teso e freddo, con i cappotti di cammello, le pellicce leggere, le sciarpe colorate, un gruppo inatteso di viaggiatori dai visi ben noti. C'è René Clair, la sua signora, c'è il bellissimo Gerard Philipe, c'è Danielle Darrieux, ci sono altre attrici giovani e belle, altri attori, produttori e dirigenti della cinematografia francese; e insieme saliamo sull'aeroplano sovietico. Aspetto invano che si accenda il solito quadro, così imperativo e noioso, che impone di non fumare e di legarsi con le cinghie: non c'è il quadro e non ci sono nemmeno le cinghie. Non ho mai saputo se esse servano veramente a qualche cosa, ma la loro assenza mi riempie di un anarchico piacere di libertà. La hostess non passa a controllare e a distribuire, con un sorriso professionale, consigli e caramelle E' una ragazza robusta e bionda, che sembra una vecchia cugina, e si avvolge, per il freddo, in uno scialletto di lana grigia, fatto in casa all'uncinetto. Poiché nessuno me lo impedisce, accendo il mio sigaro toscano. E così, tranquillamente, fumando, partiamo, come per una passeggiata familiare, per una scampagnata fuori porta. Non sappiamo dove ci fermeremo lungo la strada, se a Vilna o i Minsk, nè quante ore dovrà durare il nostro viaggio per Mosca. Sotto di noi si stende la grande pianura, già grigia e uniforme a perdita d'occhio, verso il Nord indeterminato, in quegli ultimi momenti di luce. Il sole rotondo e roseo sta basso sull'orizzonte alla mia sinistra, ed ecco, a poco a poco, comincia a immergersi nella pianura, i tramonta, come sul mare. Quel la nostra camera chiusa sembra ferma nell'aria, sopra la nera pianura senza lumi: e si va scal dando, e cominciamo a conver sare. Gli amici francesi viaggiano come dentro una loro atmosfera che essi portano dietro con sè, e che sembra quasi fisi camente visibile, come le aureole dei santi, un'atmosfera luminosa e brillante di intelligente sottigliezza: ma così luminosa e co sì brillante che è come uno schermo che impedisce di vedere le cose di fuori. E' un altro mondo, così chiuso, così perfetto, grigio e azzurro, trepidante, spirituale, tenero, caustico, pieno di sottintesi, di chiarezza e di rifiuto, di legami interni, di sin tassi, di una aerea architettura di un colore che tinge di ragione ogni cosa, e che si difende con altera naturalezza, da ogni altra realtà. Ma che grazia ine briante, che spuma educata, che eccitante sicurezza. Così, conversando, eravamo scesi, nel vento a un aeroporto sconosciuto: era Varsavia. Qui, altro ambasciatore di Francia, altri saluti, altri fiori, altri giochi di spirito nelPattesa che si prolunga: mezz'ora, un'ora, un'ora e mezza, e la conversazione cifrata, come di ragazzi di scuola, dell'acuto René Clair e dell'incantevole Gerard Philipe. Inventano una canzonetta, un nonsense grazioso e piccante, su un'aria di René Clair. Mi ricordo, e glielo dico, di un inno dei giovani partigiani, che durante la battaglia di Firenze ero stato incaricato di scrivere, e per il quale avevamo scelto l'aria di « A nous la liberti t: « Man vieux copain, la vie est belle — Quand on vit contine vivent les fleurs: — n'attendons plus., partons vers elle... ». Le ore passavano sulla grande pianura e, spente ormai le anarchiche fantasie, i francesi dormivano tutti come fiori notturni. La hostess era scomparsa nella cabina: ero solo. Sotto di me, come un vago pensiero informe, un'onda inespressa di sentimento, si svolgeva il paese ster¬ mpadedisodosal'acounmmqumdecoinfilnomnopisonaremGscbiuuntrgndma msuMridoImedAnddrvvddgmaddafsbd minato, segreto di ambivalenti passioni, avvolto nel mantellominato, segreto di ambivalenti passioni, avvolto nel mantello della sua storia e delle contraddittorie mitologie degli uomini. In cielo si era levata la luna, solitaria in quel misterioso mondo di ombra; e l'occhio si posava soltanto sul lume rosso dell'ala, che pareva lontanissimo, come il fuoco di un altoforno di una città remota. Ma già l'altimetro scende, la lancetta segna mille metri, e ottocento, e cinquecento, e appaiono sotto di me le prime luci dei sobborghi della grande città, e il geroglifico luminoso delle strade. Ci si inclina nella curva, sulla doppia fila dei lumi rossi dell'aeroporto. Si apre la porta dell'aeroplano. Sono le due di notte: al lume dei riflettori appare una folin attesa. Le signore scendono per prime, abbagliate dai lampi di uno stuolo di fotografi e sommerse da un esercito di giornalisti, e già si avanza una marea di donne che ci coprono di mazzi di fiori. Sono i fiori per Gerard Philipe: anch'io, che scendo per ultimo, vengo scambiato per un attore francese, e una ragazza mi mette in braccio un immenso mazzo di dalie, mentre continuano i lampi di magnesio e un terzo ambasciatore di Francia si fa strada nella folA metà della scaletta, con le mani ingombre per i fiori, sosto a guardare la gente e la facciata modesta dell'aeroporto, con le sue colonne bianche e la parola Moskvà in grandi caratteri neri, a respirare l'aria eccitante della notte, a sentire il primo odore della terra. Carlo Levi ETam

Persone citate: Carlo Levi, Danielle Darrieux, Gerard Philipe, Pappas, René Clair