Poesia popolare

Poesia popolare Poesia popolare La poesia popolare è poesia prevalentemente d'amore, e gode di mostrarsi tale, rivelandosi l'amore come unica ricchezza degli umili. L'innamorato povero, anzi, nelle sue metafore si appropria regalmente dell'universo, e non si fermerà al piccolo oggetto concreto ma vorrà il mare, le stelle, l'oro, i fiori, le piante, il sole, il cielo. Di fronte alla persona amata, la lode non sarà mai modesta, bensì galantemente grandiosa: «Quando nasceste voi, nacque un giardino »; o candidamente narcissistica: « I son nassuto hit un campo di grano, — La roza in bucca e lo garofo in mano »; oppure spavalda e provocatoria: «Noi semo Popolante e semo donne — Pavura nun ce fanno manco l'arme... ». Abbiamo tolto questi esempi dal « Canzoniere italiano », Antologia della Poesia popolare, edita dal Guandà e curata da Pier Paolo Pasolini. E' questa, oggi, certamente l'opera più importante sull'argomento, e in un saggio introduttivo di ben 125 fitte pagine il Pasolini, che è uno degli scrittori più interessanti e inquietanti della nuova generazione, conferma un ingegno critico e una competenza eccezionali. Partendo dai presupposti del Tommaseo, del Pitré (del quale smonta il troppo facile entusiasmo), del Croce, del Gramsci e di moltissimi altri italiani s stranieri, egli riesce a localizzare esteticamente la poesia popolare, spogliandola delle contaminazioni folcloristiche e dialettali (s'intende, della poesia dialettale d'arte). Ne risultano una riduzione a schemi quasi immutabili, una determinazione di temi e modi espressivi che si ripetono e si scambiano di regione in regione, e che rivelano la loro « novità » soltanto nel diverso dialetto e cioè nella diversa formai Anche di fronte al vecchio problema, se la poesia popolare sia creazione collettiva 0 individuale, il Pasolini sceglie saggiamente una soluzione intermedia: il poeta popolare è l'individuo favorito da nativa grazia, che canta i sentimenti condivisi da tutta la comunità alla quale appartiene, usando formule tradizionali e immutabili. Lontano dunque dai miracolisti che vedono « sgorgare » magicamente la poesia dalla massa anonima, il Pasolini non aderisce neppure alla teoria dell'originalità assoluta, e anzi aggiunge che « non è reperibile nell'enorme corpus della poesia popolare un'invenzióne scandalosa in senso linguistico, stilistico e metrico, e quindi psicologico ». In altre parol. diremmo che un «doganiere» non è possibile in poesia come lo fu in pittura, in quanto al poeta popolare non riesce di uscire dai canoni chiusi e in certo modo accademici, così come invece è riuscito a Rousseau e a tanti altri « primitivi ». Prigioniera di queste formule, quale può essere l'avvenire della poesia popolare? Il Pasolini non si ferma sull'impossibilità «tecnica» di rinnovarsi, ma giunge a una conclusione negativa attraverso le insidie del determinismo economico. Secondo lui la poesia popolare è destinata a scomparire con l'avvento a un certo benessere e a una Certa cultura delle classi povere. Esse, che nel canto trovano uno sfogo (noi diremmo un trionfo del cuore) contro la loro umiliata condizione, tendono oggi ad « ascendere » verso una mediocrità standardizzata, bassamente cosmopolita, quale può essere espressa dalle canzonette dei vari Festival, diffuse in modo ossessivo dalla radio. Se il Pasolini ha ragione (e temiamo che l'abbia) l'umanità si salverà dalla miseria per cadere nella stupidità. Al canto dell'usignolo, che « sì soave piagne » anche nei più puri accenti della poesia popolare, si è del resto già sostituita la leziosità piccolo borghese; tant'è vero che non esiste in tutta la nuova canzonettistica italiana qualcosa di genuino e di poeticamente alto come, ad esempio, questa villotta friulana: « Va pai bosc, pa la montagne — Rosignùl co l'è in amor; — E s'al chate la compagne — I confide il sò dolor ». La poesia popolare, d'altra parte, non sopravvive neppure nei versi dialettali d'arte. Questi ti fanno anzi sempre più raffinati, assumendo i modi e i contenuti della poesia colta (si vedano Dall'Arco, Giotti, lo stesso Pasolini). Ma già cinquantanni fa erano popolareschi soltanto in apparenza, e quindi ben lontani dal vigore « plebeo » di un Porta e di un Belli. Ne abbiamo la riprova nella ristampa di tutto Pascarella (ed. Mondadori) uscita in questi giorni. Qui 1 temi diventano in prevalenza « borghesi ». affermati soprattutto attraverso un patriottismo non immune da nr .ionalistica bonarietà; e l'attribuire al popolo tali ideali, se poteva essere una lieve forzatura nella « Scoperta de l'America », diventa un vero arbitrio in « Storia nostra », dove l'andamento di lungo, interminabile poema epico e l'apparato culturale, sia pur ridotto a un'espressione volutamente ingenua, impediscono quella sponta neità che è del popolo, rendendo altresì opaca e sovente affaticata la resa stilistica. Ci dispiace perciò di rimanere dubbiosi davanti alla difesa affettuosamente ostinata che Emilio Cecchi, nella prefazione al volume, fa di una composizione che, a nostro parere, non potrà mai diventare popolare e, non potrà commuovere i lettori più esigenti. (Del resto lo stesso Cecchi, d'accordo col Carducci e con tutti i critici più sensibili, ritiene che i capolavori di Pascarella rimangano il « Morto de campagna » e la « Screnata », dove, come egli dice benissimo, si trova il « senso d'un arcaismo non combinato letterariamente, ma nativamente consapevole »). Ora potremmo chiederci: di fronte al rapido decadere di un'autentica poesia popolare, e di fronte agli sbandamenti della poesia dialettale d'arte, è possibile evitare al popolo il pericolo di un'adesione totale alla banalità cosmopolita alla quale si accennava? E' possibile, insomma, avviarlo verso una poesia « colta» che esprima gli stessi suoi sentimenti senza cadere nel languido, nel grottesco, nell'insincero? A queste stesse domande, probabilmente, hanno inteso di rispondere Vittorio Masselli e G. A. Cibotto compilando per l'editore Vallecchi l'« Antologia popolare dei poeti del novecento ». Essi hanno riunito tredici poeti, da Saba a Sbarbaro e a Quasimodo, hanno scelto cinque poesie di ciascuno e le hanno « spiegate ». Nobile, caritatevole iniziativa, da lodarsi anche per il coraggio che l'ha determinata; e la scelta è ottima, come precisi, persuasivi sono i commenti. Occorre tuttavia osservare che se i nuovi poeti assumono « contenuti » non dissimili da quelli della poesia popolare, e tendono anch'essi all'essenziale e all'autentico, sono però quasi tutti corresponsabili di quello « scandalo » metrico, stilistico e psicologico di cui parlava il Pasolini, e che quindi debbono lasciar molto perplesso il lettore più tradizionalista che si possa dare: il popolano. Essi, sì, parlano sovente d'amore, ma mediante complicazioni e complessi (memoria, solitudine, ironia, disillusione intellettuale, ecc.) che il popolo ignora; e quanto allo stile, esso deriva tutto da esperienze culturali europee estranee non soltanto al popolo ma alla stessa borghesia. Non basta, dunque, « chiarire il senso »; bisogna rendere accettabile, anzi gradevole, la forma interna ed esterna del componimento. Operazione oltremodo difficile, come par voglia sottintendere Montale nelP autopresentazione premessa alla parte che lo riguarda : « Io non sono fuori del popolo; ma sono un popolano che ha fatto le scuole medie. Dovevo quindi inserirmi in una tradizione viva, cioè passare da una porta che era l'unica (in quel momento) a me accessibi¬ lnturtnnutrbppnaspneprqsgapsprdsti"" MiiiiiiiiiimiiiiiiimiiiiHimiimii le ». Parole oneste, alle quali fanno riscontro quelle di Ungaretti: «La poesia è bene dunque un dono, come comunemente è ritenuta, o meglio, essa è il frutto di un momento di grazia, cui non sia stata estranea, specie nelle lingue di vecchia cultura, una paziente, disperata sollecitazione ». Questo è il punto da superare. La poesia d'arte attuale serba in comune con la poesia popolare il dono, la grazia. Ma la presenza di quella «sollecitazione » non può essere sentita e apprezzata da chi ne misconosce perfino la necessità. E' un problema troppo grosso perchè noi si possa sperare di risolverlo; e temiamo che il divorzio tra poesia popolare e poesia d'arte rimanga effettivo, almeno fin quando il popolo non venga sviato dal canzonettismo che oggi lo attrae, ed esortato invece a più ardui cimenti stilistici e psicologici. Ma anche se questo fosse possibile, risulterebbe poi salutare? Ci converrà lasciare la risposta agli intenditori, che del resto abbondano, di varia sociologia. G. B. Angioletti

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